Live Report: Black Stone Cherry a Trezzo sull’Adda (MI)
BLACK STONE CHERRY + TOSELAND
15/02/2016 @Live Club, Trezzo Sull’Adda (MI)
I Black Stone Cherry sono ormai ben più che una promessa in ambito hard ‘n’ heavy a livello internazionale e, dopo i primi passaggi in compagnia di band di maggior fama (ci ricordiamo, a questo proposito, il tour di spalla agli Alter Bridge nel 2011), si può dire che abbiano ormai una fanbase piuttosto nutrita nel Belpaese, al punto da concedersi due show milanesi a distanza di poco tempo e in qualità di headliner.
Ad accompagnare i rocker del Kentucky per l’occasione, dovevano essere i Theory Of A Deadman, finora mai passati per l’Italia. Tuttavia, esattamente come l’anno scorso, l’annuncio della defezione di Tyler Connolly e compagnia è arrivato poco prima del concerto, facendo infuriare i (probabilmente) pochi sostenitori della band canadese, rimasti ancora una volta a bocca asciutta. In luogo dei TOAD si sono esibiti i britannici Toseland, capitanati proprio da QUEL James Toseland due volte campione mondiale Superbike in sella a una Ducati, ora nelle vesti di cantante della sua rock band.
Giunti purtroppo in ritardo sulla tabella di marcia rispetto all’inizio dello show dell’ex motocliclista britannico causa imprevisti vari, abbiamo potuto in ogni caso apprezzare la coda dello show dei Toseland, autori di un buon hard rock melodico dai tratti piuttosto tradizionali, animato da un James Toseland tonico e sempre più calato nei nuovi panni di rocker.
Dopo la consueta pausa per il cambio palco giunge il turno degli attesissimi Black Stone Cherry. Nonostante sia lunedì sera è davvero bello e positivo notare come il Live Club sia praticamente pieno: il pit è gremito, con giusto un po’ di spazio libero nella zona antistante il bar e nell’estremo fondo del locale, ma c’è davvero tantissima gente, stipata come nelle grandi occasioni anche sulla scalinata laterale e sul soppalco. L’entrata in scena di Chris Robertson e dei suoi compagni d’avventura sulle note dell’esplosiva “Me And Mary Jane” è accolta con il giusto boato dagli astanti. La voce del corpulento vocalist è profonda, potente ed emozionante: il vero asso nella manica di questa formazione, ma anche il gran tiro e l’attitudine di Ben Wells alla seconda chitarra, John Lawhon al basso e John Fred Young alla batteria, contribuiscono da par loro a definire il sound grosso e vibrante tipico della band americana sin dagli esordi.
La setlist pesca a piene mani dagli ultimi due capitoli in studio (il buonissimo “Magic Mountain” e il precedente “Between The Devil And The Deep Blues Sea”, finora forse l’album più di tutti in grado di sintetizzare le varie anime della band), senza tuttavia dimenticare alcuni dei pezzi che contribuirono a imporli all’attenzione degli appassionati ormai dieci anni fa. Campo libero dunque per le tostissime “Rain Wizard” e “Violator Girl”, estrette dal debut album omonimo, tra le quali si frappone la più morbida – ma non per questo meno efficace – “In My Blood”, benissimo inerpretata da un Chris Robertson in gran forma.
Con “Yeah Man” arriva il turno del primo estratto da “Folklore & Superstition”, un buonissimo hard rock a tinte alternative molto americano nel sound cui, dopo una breve pausa e un divertente intermezzo nel quale i Black Stone Cherry ripropongono il celebre incipit di “Roadhouse Blues” dei The Doors, succede “Soulcreek”, apprezzatissima e incalzante grazie al riffing di matrice zeppeliniana e al gran refrain. “Things My Father Said”, di nuovo estratta dal secondo disco dei ragazzi del Kentucky, è una ballata rurale e poetica di gran pregio trasposta sul palco con la dovuta passione ed energia, cui fa da (non riuscitissimo, ad onor del vero) contraltare il groove quasi nu metal della nuova “In Our Dreams”.
Poco “male” ad ogni modo: è il momento dell’assolo di batteria di John Fred Young e va detto che, anche grazie all’ausilio di un’armonica a bocca, l’esagitato drummer riesce nell’intento di coinvolgere e divertire i presenti. La ripresa è affidata ad un altro inedito, la delicata ballad per sola voce e chitarra “The Rambler”, in pratica agli antipodi rispetto all’altro estratto da “Kentucky” proprosto pochi minuti prima.
Il finale di concerto è poi riservato a un poker a tutta birra composto dall’antica “Maybe Someday”, dalle esplosive “White Trash Millionaire” e “Blame It On The Boom Boom” – cantata a squarciagola dal fomentatissimo pubblico – e dalla sempre grande “Lonely Train”.
Pochi istanti di pausa prima del rientro sul palco dei quattro musicisti e l’encore vede i Black Stone Cherry impegnati in un inconsueto tributo nientemento che a Lemmy Kilmister e ai suoi Motorhead, omaggiati con un’energica cover della sempiterna “Ace Of Spades”, lanciata a gran velocità al grido di battaglia «We are Black Stone Cherry and we play rock ‘n’ roll!». Gli applausi sono molti e la riconoscenza dei quattro americani è sincera. Nonostante il tempo a disposizione sia scaduto i presenti non ne hanno abbastanza e chiedono un secondo encore a gran voce; pochi istanti e il desiderio è esaudito: la bella “Peace Is Free” chiude infatti come meglio non si potrebbe una serata nella quale il Rock l’ha fatta da padrone.
L’ascesa dei Black Stone Cherry è più che mai evidente, come pure l’allargamento della loro fanbase italiana,ma non si tratta certo di una coincidenza e chiunque abbia ascoltato e apprezzato gli album prodotti da questa ancora giovane band e si sia goduto qualcuno dei loro concerti non potrà che esserne felice. Il futuro (e il presente) del nostro amato genere passano obbligatoriamente da qui.
Live Report a cura di Stefano Burini
Setlist
01. Me and Mary Jane
02. Rain Wizard
03. In My Blood
04. Violator Girl
05. Yeah Man
06. Roadhouse Blues (The Doors) intro + Holding On…To Letting Go
07. Soulcreek
08. Things My Father Said
09. In Our Dreams
Drum Solo
10. The Rambler
11. Maybe Someday
12. White Trash Millionaire
13. Blame It On the Boom Boom
14. Lonely Train
15. Ace of Spades [Motorhead]
16. Peace Is Free