Live Report: Black Winter Fest XII, 30/11/2019, Campus Industry, Parma
Il periodo delle prime nebbie e un’importante piena del Po fanno da contorno al dodicesimo Black Winter Fest, che sta per arrivare a un’età adolescenziale in maniera sempre più positiva e si sta imponendo come un ottimo punto di riferimento per tutti gli amanti del metallo nero. La cornice, ormai ben rodata, è quella del Campus Industry di Parma, che col tempo sta diventando quello che era l’Estragon di Bologna alcuni anni orsono. Scaletta di tutto rispetto anche a questo passaggio, col giusto mix di nuove leve, alcune band italiane e navigate vecchie glorie.
Abitando a una mezz’ora scarsa da quella che sta diventando una delle città perno del metal in Italia, arriviamo al Campus attorno alle 15.30. L’impostazione del festival è praticamente la stessa dell’anno scorso con la zona cibo all’esterno e i banchetti all’interno. In aggiunta è stata adibita una saletta intera per il merchandise ufficiale delle band che, rispetto ai tavolini striminziti dell’anno scorso, fa tutto un altro effetto.
Aprono le danze prima gli Shadowthrone poi i Djevelkult: i primi autori di un buon concerto nonostante i suoni, specialmente quelli della batteria, non ottimali. I secondi invece piacevoli ma ancora acerbi sia in fase di songwriting che in presenza scenica. Quest’anno durante i cambi palco viene velocemente allestito un sipario nero, che aumenta hype ed effetto sorpresa per i concerti di lì a venire.
Ricordiamo che l’affluenza, fino almeno ai Mork, è stata davvero bassa e non lasciava presagire nulla di buono. Nonostante un buon numero finale, in ogni caso, i presenti erano per un buon 20-30% in meno rispetto allo scorso anno.
Gli Imago Mortis, chiamati a sostituire gli Handful Of Hate, con molte probabilità si sono fatti qualche nuovo adepto: il loro black metal è molto interessante e i tre suonano veramente bene. I brani sono sì classici ma mai banali e mai fini a loro stessi. Il cantato in italiano, ancorato alle tradizioni, risulta un ottimo valore aggiunto e rende la band una scoperta da fare anche su disco. Il congedo, “condoglianze dagli Imago Mortis”, è stato bellissimo.
Le cose iniziano a diventare serie coi Selvans, band nostrana che sta raccogliendo sempre più consensi e che merita sicuramente la posizione che si ritrova. Complici un valore artistico e un songwriting non indifferenti, i nostri, nella mezz’ora abbondante a loro disposizione, non si risparmiano affatto e offrono una prestazione di tutto rispetto. Si pesca a piene mani dai grandiosi Lupercalia e Faunalia, ci si inserisce una cover di Sadomasochistic dei Carpathian Forest e il concerto scorre che è un piacere. La dipartita di Fulguriator sembra non aver fatto danni e speriamo che il livello rimanga alto anche nelle prossime uscite discografiche. Haruspex in ogni caso è sempre un ottimo frontman, bravo a intrattenere il pubblico e con una prestazione vocale senza cali.
Il Black Winter Fest sembra organizzato da tedeschi: tutto funziona a dovere e la setlist viene rispettata al millimetro. La parola d’ordine è puntualità e gli orari per il secondo anno di fila vengono rispettati in maniera certosina. Un plauso quindi all’organizzazione e anche al fatto che nessuna esibizione abbia avuto problemi rilevanti sul palco.
Come gli Acherontas l’anno scorso, anche l’edizione 2019 offre una band greca. La scena ellenica è attualmente una delle più in forma d’Europa e anche questa sera lo dimostra a piene mani. I Lucifer’s Child offrono un concerto devastante e assolutamente all’altezza del loro bellissimo secondo album. I quattro ateniesi non si risparmiano e il cantante, paurosamente somigliante a Robb Flynn, è di una potenza inaudita. I Lucifer’s Child sono una band recente e che non ha una discografia corposa da cui attingere; The Wiccan e The Order sono in ogni caso 2 opere magnifiche e che dovrebbero essere presenti nelle case di ogni appassionato che si rispetti. L’unico difetto del concerto dei Lucifer’s Child è che dura troppo poco e tutti avremmo desiderato qualche brano in più. Speriamo di rivederli presto da queste parti.
I Mork, nella loro prima calata italica, offrono un concerto di tutto rispetto e che attinge a piene mani dalla ormai corposa discografia. Dalla Grecia ci si sposta in Norvegia e il sound cambia in maniera drastica e marcata. La ferocia e l’istinto lasciano spazio al face painting e ad atmosfere più fredde e ragionate e, col senno di poi, sarebbe stato meglio che le posizioni di queste due band fossero state invertite in modo da garantire un migliore crescendo. La prestazione dei norvegesi rimane in ogni modo buona e senza sbavature, l’interazione col pubblico ridotta al limite e una proposta che sembra più avere come dimensione ideale il disco che la folla di un concerto, che applaude in maniera tiepida ma poco convinta.
Dopo i Mork non c’è Mindy ma quelli che a nostro avviso sono stati i veri e propri mattatori della giornata. I cambi di palco per le ultime tre band sono molto più lunghi e sfibranti (in ogni caso previsti dalla scaletta) e i concerti appaiono poi come una liberazione. La prestazione dei Kampfar è poi semplicemente superiore. Band devastante e il concerto di Dolk è una spanna sopra ai frontman di tutte le altre band. Sembra posseduto dai suoi brani, li sente e li interpreta in maniera molto particolare, teatrale e gestuale e il pubblico apprezza e applaude. Il maggior calore lo si ha verso i vecchi pezzi e inspiegabilmente quelli del bellissimo Ofidians Manifest vengono accolti in maniera tiepida e più distaccata. I suoni sono di livello alto e anche qui possiamo parlare di miglior performance della giornata. L’ora a disposizione dei norvegesi scorre in un batter d’occhio e vale lo stesso discorso fatto per i Lucifer’s Child: ne avremmo voluto di più!
I 1349 sono una band strana, ai piani alti di tutto ma senza un vero e proprio perché. Forse perché ci suona Frost? In ogni modo, il concerto dei norvegesi è tiratissimo e il batterista dei Satyricon risulta assieme a Dolk come il miglior musicista della giornata. La sua prestazione è pazzesca e va talmente forte che in certi casi sembra mandare la band in confusione. Non c’è praticamente respiro durante l’ora concessa e anche questo è un merito; i suoni però, specialmente nella prima fase del concerto, sono pessimi e impastatissimi. Si sente praticamente solo la batteria e tutto il resto è talmente in secondo piano da essere poco percettibile. Col passare dei minuti le cose migliorano ma nulla in confronto al muro sonoro sprigionato dai Kampfar e dalla loro produzione. I 1349 confermano in ogni modo dal palco le stesse e identiche cose che ad ogni release confermano su disco: band con un interprete di un certo livello e il resto è fin troppo normale. Mancano i brani, i grandi brani, e senza quelli si rimane nel limbo. Black metal glaciale, onesto, tirato, ma che a noi non ha lasciato nulla di memorabile; speriamo in qualcosa di migliore il 7 rebbraio quando torneranno con Abbath e gli Vltimas.
Il festival si conclude coi Triumph Of Death, che non sono altro che un progetto di Tom G. Warrior nel quale suona i vecchi brani degli Hellhammer. La formazione, oltre a lui, comprende Mia Wallace al basso, Alessandro Comerio alla batteria e André Mathieu al basso. Fa sempre piacere vedere sul palco una leggenda e anche qui le aspettative non vengono deluse. I suoni migliorano drasticamente rispetto ai 1349 e la chitarra di Tom è sempre il solito, romantico badile tirato sui denti. Il concerto scorre in maniera piacevole e con la bassista diversamente sobria; a voi poi ulteriori discorsi sull’utilità del tutto, che si colloca sul sottilissimo filo che separa la romantica nostalgia dal ben più vil denaro.
Anche per questa edizione è tutto e ce ne andiamo via spossati ma contenti. Dispiace un po’ per la minore affluenza rispetto al 2019 nonostante i nomi di assoluto rilievo; in ogni caso il festival continua ad avere una buona vita e ad essere ben supportato dagli appassionati. L’unica cosa che potremmo suggerire sarebbe un meet and greet con le band per poter soddisfare anche i collezionisti e i feticisti degli autografi; a pensarci bene la location rende l’interazione band-pubblico praticamente nulla e tutto ciò è un peccato. Come l’anno scorso, segnaliamo il solito immorale prezzo di 2 euro per una bottiglietta d’acqua, che comprata al punto di ristoro viene servita col tappo (entrati poi tranquillamente con quella nel locale) mentre al bar interno no. Misteri della fede.