Live Report: Brutal Assault 23 08-11/08/2018
Plini
Siamo arrivati all’ultimo giorno di festival e iniziamo con un artista decisamente fuori tema col Brutal Assault, Plini.
Il chitarrista australiano suona una musica strumentale assolutamente antitetica rispetto al Metal estremo che abbiamo ascoltato i giorni precedenti; eppure, per qualche strano motivo, il pubblico apprezza la musica solare del giovane chitarrista che scherza con i presenti dicendo “questo è il mio festival preferito al mondo perché siete tutti così spaventosi ma per qualche motive ho l’impressione di piacervi”.
Plini è un mostro di bravura alle sei corde e si è circondato di musicisti altrettanto abili, quindi sul palco vediamo anche una seconda chitarra agilissima, un basso spettacolare e una batteria suonata con grande gusto.
Sotto al palco intanto il pubblico dimostra che anche gli amanti del Metal più estremo sanno prendersi poco sul serio, e sulle note delle canzoni più melodiche e tranquille dell’australiano parte un mosh pit al rallentatore e tantissimi si mettono a fare crowdsurfing.
Quello di Plini è un concerto assolutamente inaspettato al festival, ma anche molto divertente.
Hirax
Ci spostiamo nel tendone del Metalgate per il concerto degli Hirax, gruppo storico del Thrash Metal che ci teletrasporta in un secondo nei locali più underground degli anni ’80.
Keaton W. De Pena, il frontman della band, sfoggia uno smanicato pieno di toppe e incita il pubblico che non si fa pregare, il mosh pit è scatenatissimo.
El Diablo Negro (il soprannome del frontman) è una forza della natura e continua a correre su e giù per il palco ed affacciarsi dalle transenne per avvicinarsi il più possibile ai fan; intanto gli altri musicisti suonano in maniera onesta i pezzi, non spiccano particolarmente per fantasia o per presenza scenica ma fanno il loro lavoro adeguatamente.
Il concerto finisce in quello che sembra un attimo, l’ennesimo ottimo concerto Thrash di questo festival.
Pain of Salvation
I Pain of Salvation sono un altro gruppo apparentemente fuori luogo in questo festival, ma che riesce a conquistare il pubblico grazie alla loro grande bravura.
Grande spazio viene dato all’ultimo album, “In the Passing Light of Day”, già dalla prima canzone, ‘Full Throttle Tribe’, che da subito sottolinea quanto gli svedesi siano lontani dalle sonorità medie del festival; ci si mette anche Daniel Gildenlöw che dichiara “We’re gonna fuck you up…in the most beautiful way”, non esattamente la cattiveria a cui ci hanno abituato tanti altri gruppi.
Nonostante tutto, però, il pubblico è numeroso e apparentemente catturato dalla performance dei Salvation; peccato per il mixing non all’altezza che rovina alcuni pezzi, su tutti ‘Meaningless’ la cui intro di tastiera è quasi inudibile.
Alla fine l’esibizione energica conquista comunque tutti i presenti e si conclude dopo una potentissima ‘On a Tuesday’ che si estende per i suoi dieci, struggenti minuti.
Claudio Simonetti’s Goblin
Le prime parole che vengono in mente per descrivere i Goblin sono “Orgoglio Italiano”.
La creatura di Claudio Simonetti ha visto la luce più quarant’anni fa e ancora oggi attira grandi pubblici anche fuori dall’Italia; davanti all’Oriental stage si affolla un grande pubblico che risponde con grande entusiasmo a brani leggendari come ‘Zombi’ e ‘Non ho sonno’.
Come non farsi venire i brividi sentendo pezzi legati così indissolubilmente ai film di Dario Argento come ‘Profondo Rosso’ e ‘Suspiria’; dietro al palco vengono proiettate scene dai film di cui questa musica è colonna sonora, intanto i riflettori non sono mai troppo puntati sui musicisti a sottolineare che quello che conta è la musica (e la paura).
Rispetto ad alcuni concerti dell’anno scorso ci sono due novità, l’aggiunta di Cecilia Nappo al basso che permette al gruppo di essere ancora più solido, e l’esecuzione dei pezzi in versione più dura in stile Daemonia; gli altri musicisti, Bruno Previtali alla chitarra e Titta Tani alla batteria, sono delle macchine di grande precisione e bravura che completano una formazione decisamente solida.
Tanti italiani sono accorsi a supportare questa grande band e tra una canzone e l’altra si sentono non pochi “daje Claudio” e altre incitazioni in italiano; Simonetti del canto suo risponde con un genuino apprezzamento e modestia, e non poche volte tira fuori il cellulare per filmare il pubblico.
A fine concerto non possiamo che confermare per l’ennesima volta che se c’è una cosa di cui l’Italia si può vantare è il Prog italiano e i Goblin.
Danzig
Lo show di Danzig è il classico show difficile da valutare di un personaggio storico.
Da una parte ci troviamo davanti ad un personaggio che per l’appunto ha avuto un ruolo rilevante per il genere, a cui aggiungiamo una setlist di classici meravigliosi; dall’altra però il cantante non ha assolutamente più voce e sentirgli cantare certi pezzi è straziante.
Come dicevamo la setlist è fantastica, pezzi quasi esclusivamente dai primi quattro album, con un focus particolare sul primo album i cui pezzi formano un terzo della setlist: troviamo quindi ‘Mother’, ‘Am I Demon’, ma anche ‘Tired of Being Alive’ e la struggente ‘How the Gods Kill’.
Avere davanti un pezzo di storia che canta cere canzoni fa sempre effetto ma, sebbene il cuore vorrebbe vincere, a volte non si può ignorare il cervello e sentire Glenn Danzig faticare a cantare così – ma pure a parlare tra una canzone e l’altra – non può che farci sperare che il cantante si possa riprendere o che decida di ritirarsi.
Wardruna
Quello dei Wardruna è uno show assolutamente magico, come qualunque concerto dei norvegesi.
In un attimo si viene catapultati in un mondo atavico, spirituale e solenne dalle corde della tagelharpa di Einar Selvik, da uno degli altri strumenti antichi suonati dalla band o dalle magiche voci di Einar e dei suoi compagni.
L’unico difetto dell’esibizione è il pubblico: non conoscendo il gruppo, o semplicemente non capendo la situazione, c’è chi in alcuni momenti urla o cerca di cantare quando per godersi appieno lo show bisognerebbe stare in religioso silenzio perdendosi tra le note.
Al di là di questo fastidio, il concerto colpisce per la sua intensità e gli applausi tra i brani si fanno via via più rumorosi col progredire della serata; avvicinandosi al termine Einar si rivolge al pubblico per la prima volta per ringraziarlo, apparentemente colpito e commosso dall’entusiasmo di chi è accorso a vederli.
Introduce quindi ‘Halvegen’, capolavoro dei Wardruna che conclude un concerto quasi perfetto.
Perturbator
Il concerto di Perturbator è uno di quei fenomeni tipicamente da festival Metal che sembra impossibile spiegare: cosa c’entra della musica elettronica con un festival di Metal estremo?
Eppure il Synthwave del francese ha conquistato tantissimi festival Metal (l’anno scorso ha chiuso l’Hellfest suonando in contemporanea agli Slayer davanti a più di 10.000 spettatori nonostante la “concorrenza” delle leggende del Thrash) e quest’anno ha conquistato anche il Brutal Assault.
Dopo le violentissime bordate Metal di Cannibal Corpse, Marduk, Behemoth e compagnia molti tra il pubblico si scatenano a ballare sulle note delle canzoni di Perturbator.
Sul palco sono presenti solo due musicisti, James Kent, Perturbator, dietro la sua consolle, e un batterista (novità rispetto ai concerti dell’anno scorso) che amplifica l’effetto live del concerto; dietro ai due una serie di impalcature reggono i riflettori che si alternano in un complesso gioco di luci.
I musicisti non interagiscono col pubblico, rimangono concentrati solo sui loro strumenti, e lasciano a musica e luci il compito di parlare agli spettatori; d’altronde un atteggiamento diverso non si abbinerebbe neanche bene alla freddezza cyberpunk del Synthwave.
Come siamo finiti a trovare musica del genere ad un festival Metal?
Non ne abbiamo idea, ma è qualcosa di meraviglioso.