Live Report: Brutal Assault – Fortress Josefov, Jaroměř (Česká Republika) 2/3
Dov’eravamo rimasti al termine della prima parte del Report? Ah sì, i prodi Adso (Joey) e Guglielmo (Tiz), sul finire dell’esibizione dei Leprous (coadiuvati da quel vecchio marpione che risponde al nome di Vegard Sverre Tveitan, al secolo: Ihsahn), decidono di dividere momentaneamente le loro strade. Strade che porteranno Tiz presso l’area meet & greet e, in seguito, verso l’Obscure Stage a caccia degli inafferrabili Solefald e che vedranno invece Joey permanere nello spiazzo principale di fronte al Metalshop Stage e allo Jagermeister Stage, laddove piomberanno in sequenza due pezzi da novanta direttamente da Oltreoceano: i floridiani Trivium e gli Hatebreed, originari del Connecticut.
4. Amleto, principe di Cecoslovacchia… più o meno (Joey)
E’ la terza volta per me con Heafy & Co. e questo fa dei Trivium, incredibile a dirsi, il gruppo che ho visto più volte in assoluto. Nonostante questo, fiducioso della qualità live degli statunitensi, mi cucco il loro spettacolo più che volentieri, dovendo tuttavia rimarcare che quando i classici moderni tratti da “Ascendancy” e “The Crusade“, vengono tagliati mentre le composizioni non sempre all’altezza di “In Waves” rimangono, la differenza di qualità si sente. Eccome. Il set corto penalizza, dunque, i Trivium, esattamente come al Gods Of Metal dell’anno scorso, costringendoli a tagliare un sacco di belle canzoni e ad usare come cavalli di Troia le più che buone buone “Throes Of Perdition”, “Becoming The Dragon” e “Watch The World Burn”. Tra di esse si insinuano “Brave This Storm” e “Strife”, due anticipazioni tratte dal nuovo album “Vengeance Falls” di prossima pubblicazione. Sarà il settaggio imperfetto delle voci, o forse sarà la prestazione, dignitosa ma non esplosiva come lo scorso autunno al Live di Trezzo, da parte di Matt Heafy, eppure le due nuove canzoni, a primo ascolto in versione live, non colpiscono più di tanto. Chiudono lo show l’immancabile (e sempre efficace) doppietta costituita da “Capsizing The Sea” e “In Waves” e l’ormai classica “Pull Harder On The Strings Of Your Martyr”. Prestazione buona ma non eccezionale per i Trivium, decisamente più a loro agio in veste di headliner in club di medie dimensioni piuttosto che a metà pomeriggio in festival di grandi dimensioni e con poco tempo a disposizione.
Setlist Trivium:
01. Throes of Perdition
02. Down from the Sky
03. Becoming the Dragon
04. Brave This Storm
05. Watch the World Burn
06. Strife
Encore:
07. Capsizing the Sea
08. In Waves
09. Pull Harder on the Strings of Your Martyr
Finisce il concerto dei floridiani, e dopo aver sostanzialmente bypassato lo show dei Clawfinger, causa cena a base di noodles alle verdure e birra, una versione moderna e metal-oriented del dilemma shakespeariano per eccellenza torna prepotentemente d’attualità a distanza di 397 anni dalla morte del Bardo, incoraggiata da una sovrapposizione d’orari che definire malefica sarebbe dir poco:
«Hatebreed o Solefald? Questo è il dilemma.»
Non conoscendo sostanzialmente nessuna delle due band e dovendomi basare solo su due pareri illustri – da un lato quello del nostro Vittorio Cafiero, grande appassinanto di hardcore made in U.S.A. e in particolare fanatico della band di Jamey Jasta e dall’altro quello di Tiziano da Baskerville, fervente adepto del verbo Solefaldiano – decido alfine di usare il raziocinio per risolvere l’atroce dilemma. Dalla tasca sinistra dei miei pantaloncini compare lesta lesta una moneta da 20 kC: testa Solefald, croce Hatebreed. E Hatebreed siano. Di energia, Jasta & Co., ce ne mettono senza dubbio molta, tuttavia da spettatore superpartes (diciamo: curioso non competente) mi aspettavo forse qualcosa in più da un nome piuttosto noto negli ambienti legati al thrash/hard/metalcore americano. Le canzoni sono davvero molto simili l’una rispetto all’altra e pur non scorgendo cali di tono, con Jamey intento dal primo all’ultimo secondo ad arringare la folla e a convincerla a sfogarsi e a fare casino, mi risulta davvero difficile dare un giudizio realmente positivo per uno show sostanzialmente tutto giocato sulle stesse sonorità e coordinate e senz’altro lontano per impostazione e contenuti dalla proposta di gruppi di quella scena a me decisamente più congeniali come Vision Of Disorder e Converge. Ma chissà come se la cava Tiziano nel frattempo…
5. A Night With Solefald (Tiz)
Consapevole della mia idiosincrosia verso i Trivium, al contrario del mio coraggioso ma ancora inesperto allievo, mi allontano sapientemente dal loro set notando, piuttosto che la potenza, il palco decorato in un curioso misto tra il set di Conan e un campo da minigolf. E’ l’ora di una buona birra e di uno smažák. O almeno questa era la mia speranza, poiché allo stand della cucina ceca il formaggio è finito e mi sono dunque dovuto accontentare di un più prosaico hamburger. Poco male, l’importante è riuscire a beccare Ihsahn nel solito meet & greet. Ma pure qui i problemi non mancano: in coda ci sono più di cento persone e, come se ciò non bastasse, eccomi catapultato tra un gruppo di polacchi ed un altro di russi, con il relativo timore che i membri di ciascuna nazionalità riportino alla mente dissapori mai sopiti circa spartizioni settecentesche, guerre mondiali e regimi comunisti percepiti con sentimenti opposti. Altro particolare inquietante: entrambi i gruppi sono in coda per un autografo dei Trivium.
«Che faccio, glielo spiego che i Trivium stanno ancora suonando? Razza di balordi, lasciamo perdere, non capiranno mai!»
Va detto che l’area meet & greet è ad un tiro di schioppo dal terzo stage del festival, quello della Obscure Promotion. Sostanzialmente un piccolo tendone in cui ogni giorno del festival si sono esibiti sei gruppi tra le 19:00 e le 2:00 del mattino e dal quale provengono suoni assai gustosi: uno strano metal di matrice nordica, con cantato marcatamente nedlandiano e tanto di sax. Non fosse che conosco a memoria tutte le canzoni dei Solefald e che Lars ha detto «Ten to nine» mentre ora sono le 8:15, verrebbe da chiedersi se in questo momento non siano proprio loro ad esibirsi. Poi parte il sax. «Vuoi vedere che sti due stanno presentando qualche pezzo che fa parte di “Omnipolis”? Vuoi vedere che Lars nel dirmi l’ora ha macchinalmente tradotto dal norvegese. Vuoi vedere pure che in norvegese come in ceco ten to nine significa otto e dieci?»
«Vabbeh, Ihsahn PERDONAMI, salto l’autografo e vado a vedere che succede!»
Fortunatamente non sono i Solefald, il che porta il sollievo di non averli persi e con esso la scoperta della band del giorno, gli In Vain, per i quali vi si rimanda all’ottima rece fatta a suo tempo dal Calderone. Gruppo a dir poco da seguire. E li seguiremo anche noi, dato che si tratta pure della live band dei Solefald, i quali effettivamente salgono sul palco alle 8.50 come da programma e ci offrono LO show della serata. A cominciare da Lazare che sale sul palco brandendo una bottiglia di bianco per arrivare a Cornelius che indossa i suoi leggendari occhiali da sole con visibilità azzerata (tenete pure presente che il sole è ben lontano dal tramonto ma l’Obscure Stage è chiuso e quindi il biondo urlatore probabilmente non vede una beneamata fava). I due comunque sono assolutamente pirotecnici: spesso e volentieri si issano sugli amplificatori, interagiscono col pubblico come raramente succede e lo apostrofano con frasi del tipo: «Sshhhh! Sshhhh! Sshhhh! (e quando il pubblico finalmente tace) The USA don’t exist / Again I’m pissed» (Lazare), «Brutal Assault vi amo… anzi, vi voglio scopare uno per uno!” (Cornelius, che durante “Red View” proverà pure ad incaprettare il suo compagno), «Sì, so che di solito ai concerti si poga, ma noi facciamo musica strana. C’è una danza dentro di voi, ed è il momento di scatenarla! Backpapababa!» (Lazare) e infine «Mah, questa direi che dovreste cantarla a natale sotto l’albero. “Philosophical Revolt”!» (Cornelius). Insomma, siamo prossimi a un’esibizione circense, con i Solefald che suonano da Dio nonostante l’Obscure Stage non offra un impianto audio memorabile. Il pubblico raccoglie volentieri le provocazioni ed altrettanto volentieri si lascia andare – una cosa che succede raramente in Repubblica Ceca – tant’è che, quando “Philosophical Revolt” finisce, un autentico plebiscito costringe la band a tornare sul palco per interpretare un inaspettato bis che si materializza nella forma di una perla rara e sconosciuta: “When The Moon Is On The Wave”, brano conclusivo dell’ormai mitico “The Linear Scaffold“. Dopodiché tripudio generale, omaggi ripetuti ai norvegesi e gente che attraversa l’area del festival a rotta di collo per non perdersi la partita praticamente in casa (il confine polacco è a poche decine di chilometri da Jarom??) dei dominatori incontrastati della serata, i minacciosi deathster Behemoth.
SOLEFALD SETLIST:
01. Ck Chanel n. 6
02. Song Til Stormen
03. Red View
04. The U.S.A. Don’t Exist
05. Back Papa Baba
06. Sun I Call
07. Jernlov
08. Vides Vitt I Verdi
09. Philosophical Revolt
Encore:
10. When The Moon Is On The Wave
6. Behemoth (Joey)
Giunge il tempo del primo headliner di giornata e familiarizzo, finalmente, con un’altra peculiarità del festival ceco in rapporto a quelli italici: l’headliner non è la band che conclude la giornata, bensì semplicemente il gruppo cui viene concesso maggior tempo. Seguiranno infatti, a Behemoth ed Opeth, nomi non certo di scarsa importanza quali Borknagar, Madball, Carpathian Forest e Saturnus. Sarà la vicinanza con il confine polacco, sarà che Nergal è un personaggio che ha comunque il proprio perché, ma l’area di fronte ai due stage principali non è mai stata così gremita durante tutta la giornata, costringendo parte del pubblico ad accalcarsi addirittura contro gli stand presenti sul fondo della distesa. Il Darski, coadiuvato dai fidi Patryk “Seth” Sztyber (chitarra), Tomasz “Orion” Wróblewski (basso) e Zbigniew Robert “Inferno” Promi?ski alla batteria, non tradisce ad ogni modo le attese el o spettacolo, pur da non particolare estimatore del blackened/techical death metal dei Behemoth, è decisamente di alto livello. Le ormai classiche “Ov Fire And The Void”, “Demigod” e “At The Left Hand Ov God” svettano per qualità e impatto all’interno di una setlist che conserva inalterata la carica e la grande teatralità di una band (e, in particolare, di un frontman) che dimostrano di aver superato al 100% i momenti difficili del recente passato. C’è spazio, inoltre, anche per la nuovissima “Blow Your Trumpet Gabriel”, convincente brano che andrà a far parte del prossimo album dei Behemoth intitolato “The Satanist” e che il pubblico del Brutal Assault ha l’occasione di ascoltare in anteprima. Interessante notare come sopra la copertura dei palchi e sulle mura a fianco degli stessi siano installati sei cannoni dai quali vengono sputate fiamme che dovrebbero segnalare la fine di un concerto. Il “buon” Nergal nel concedere il bis se n’è fottuto da par suo (con grande gioia dei presenti) sicché l’esibizione degli Opeth è poi dovuta iniziare con un ritardo di dieci minuti, ma pur sempre 180 secondi dopo la conclusione dei polacchi, in pieno rispetto delle ferree regole del Brutal Assault.
Behemoth Setlist:
01. Ov Fire Aand The Void
02. Demigod
03. Conquer All
04. Blow Your Trumpet Gabriel
05. Alas, Lord Is Upon Me
06. At the Left Hand Ov God
07. Slaves Shall Serve
08. Chant for Eschaton 2000
Encore:
09. Lucifer
Il live Report a cura di Tiziano “vlkodlak” Marasco e Stefano “Joey Federer” Burini si conclude con la terza parte