Live Report: Brutal Assault – Fortress Josefov, Jaroměř (Česká Republika) 3/3
Siete pronti per la terza (e ultima) del report del Brutal Assault 2013? Bene, allora mettetevi comodi.
Nelle puntate precedenti: viaggi in treno sconclusionati e lunghe camminate, fino all’arrivo all’agognata Pevnost Josefov, un vero e proprio paese dei balocchi del Metallo Pesante (ma veramente pesante), in cui esponenti di spicco della siderurgia musicale più estrema si alternano sui ben tre palchi a ritmo serratissimo mentre i bencapitati spettatori possono dilettarsi con le cucine di tutto il mondo e intrattenendosi piacevolmente con la rigogliosa fauna locale. La giornata è lunga eppure, alfine, giunge l’oscurità; la stessa oscurità che ha fatto da meravigliosa cornice all’intensa esibizione dei Behemoth e che accompagnerà anche quelle Opeth, Borknagar, Madball, Carpathian Forest e Saturnus fino a tarda notte. Ma andiamo con ordine.
7. Opeth (Tiz)
Salgono sul palco Akerfeldt e i suoi e la brutta notizia è che la partenza è riservata a “The Devil’s Orchard”. La performance è impeccabile, senz’altro, ma c’è il timore che ancora una volta gli svedesi vogliano proporre solo pezzi di “Heritage”. Åkerfeldt, poi, si lascia precedere dalla sua consueta spocchia ed introduce gli Opeth come la band proveniente dalla superior hockey nation of Sweden. La cosa lascerà indifferente un italiano, ma più o meno è come se i Gamma Ray ci chiamassero piedi a banana durante un set al GOM.
Gli scivoloni finiscono per fortuna lì (anzi, poco più in là tenterà di riprendersi facendo il classico gioco di parole tra Jarom?? e Jaromír Jagr) e anche lo show degli Opeth sale in quota, grazie al rispolvero, oltre che della fantastica “Ghost Of Perdition”, anche di perle come “Demon of The Fall” e “Blackwater Park”, dove Mikael dimostra di sapere padroneggiare ancora alla grande il growl. Ciò che emerge, in ogni caso, incontestabile è che comunque la band ha subito una metamorfosi irreversibile. Anche i vecchi pezzi sono riarrangiati e lo show conquista non per violenza, ma per visionaria psichedelia. Insomma gli Opeth non torneranno indietro; ma non è una brutta notizia, purché Mikael la smetta di credere di essere a capo di una ottima tribute band e ricominci a mettere l’anima in quel che fa. Altro fatto incontestabile poi (ed altrettanto sorprendente) è che lo scontro tra gli headliner è stato vinto a mani basse dai Behemoth. Sarà che ha iniziato a piovere, sarà che la Polonia dista mezz’ora di auto, ma durante l’esibizione degli Opeth il pubblico si è dimezzato.
Opeth Setlist:
01. The Devil’s Orchard
02. Ghost Of Perdition
03. Atonment
04. Deliverance
05. Demon Of The fail
06. Blackwater Park
8. Borknagar (Tiz, e chi altri sennò? ndJ)
Il fatto che il pubblico sia dimezzato, lasciando libera buona parte dell’area concerti, ci permette di raggiungere con maggior agio le primissime file di fronte all’altro stage. Qui, sulle note di “Blackwater Park”, Oystein Brun, ICS Vortex, e Jens Ryland stanno eseguendo il sound check. Sommando i dilungamenti degli headliner, il ritardo con cui iniziano i Borknagar è di almeno mezz’ora. Sarebbe bello ci fosse anche Mr. V, ma l’eccelso ha tirato pacco due giorni prima causa impegni lavorativi (cosa mai avrà da fare in Svezia un insegnante in agosto? ndT).
Il signor Simen Hestnæs, invece, viene a salutarci e, notando la pioggia leggera ma incessante, estrae due latte di birra dalla sacca e le fionda sul pubblico. Dì lì a poco si parte. Lars Nedland giunge sul palco con l’inseparabile bottiglione di bianco di cui già prima s’era detto ed entra in scena pure Pål “Athera” Mathiesen, sostituto per l’occasione del Divino Vintersorg. Il pizzo c’è, i capelli a spazzola no ma il cantato live è approssimativo esattamente come quello del titolare. Anche i Borknagar, comunque, danno vita ad un set sanguigno ed energico in cui la potenza la fa da padrone, e soprattutto Vortex, professionista di lungo corso ed eroe del metal scandinavo, domina incontrastato la scena. Se già tutti i membri della band suonano in maniera irreprensibile, quando giunge il momento le sue parti di clean, Vortex dimostra tutta la sua inverosimile bravura in sede di performance. Il set procede, come da copione, tra incredibili pareti sonore e parti più riflessive, canzoni nuove come “Epochalypse,” che danno modo di valutare i cantanti in contemporanea, alternate ad altre antichissime (“Oceans Rise”, “The Dawn Of The End”), fino ad arrivare a “Frostrite” e “Colossus”, praticamente un solo act dell’istrionico Vortex. Bravi questi Borknagar; suonano una volta ogni morte (o dimissione) di Papa, ma quando escono dalla Norvegia spaccano tutto e tutti. Impressionanti.
Boeknagar Setlist:
01. The Genuine Pulse
02. Oceans Rise
03. Ruins Of The Future
04. Epochalypse
05. Ad Noctum
06. The Dawn Of The End
07. Frostrite
08. Colossus
9. Palle pazze, Foreste Carpatiche e Pianeti ad anelli (Joey)
Terzo gruppo hardcore della giornata e me lo cucco di nuovo io; la mezzanotte è passata da un pezzo, gli headliner hanno già dato e pure i fantastici Borknagar hanno fatto il loro: sarebbe lecito, forse, aspettarsi un lieve ma inesorabile calando fino all’ineluttabile, per quanto procrastinata, ora della nanna. E invece no, di tutti i gruppi di radice hardcore/rapcore visti durante questa terza e ultima giornata, i New-Yorkesi Madball sono di gran lunga quelli che convincono di più: grande tiro e grande presenza scenica, con Freddy Cricien che non lesina energie nonostante la tarda ora, assecondato dai fedeli Mitts alla chitarra, Hoya Roc al basso e Igor Wouters alla batteria. I pezzi si presentano nettamente più vari e dinamici di quelli proposti dagli Hatebreed e il cantante americano trascina il pubblico grazie ad una prestazione vocale finalmente più cantata che declamata rispetto a quanto sentito da Jasta e soci e dai Clawfinger. Impossibile rimanere fermi: saltare e scapocciare è un obbligo; il giorno dopo le vertebre del collo si faranno sentire ma ne è valsa di sicuro la pena.
E’ ormai l’una e, finita l’esibizione dei Madball, è il turno dei veterani blackster Carpathian Forest, un gruppo di cui si al sottoscritto sia al prode Tiz, pur appassionato di metal nordico, risulta difficile scrivere qualcosa di realmente sensato, tale e tanta la distanza dai nostri gusti e dai nostri abituali ascolti. Il finale di questa diciottesima edizione del Brutal Assault Festival spetta ai Saturnus; il pubblico si è ormai decisamente assottigliato e resta davvero poca gente ad ascoltare il pur interessante doom atmosferico dei danesi. Sopraffatti dalla stanchezza e da una temperatura in deciso abbassamento facciamo un giro tra le mura in cerca di qualcosa da mangiare, quando veniamo fermati davanti allo stand della pizza, laddove una ragazzina di forse diciotto anni, ma in compenso con la quinta di airbag, ci ferma e ci chiede (in ceco) se non vogliamo le pizze rimaste. Combinazione perfetta, sicché ne pigliamo due a testa (solo di pizze però) e chiediamo (in ceco) se per caso non sia di Praga. E invece no, è di Olomouc, e non sa dove farà l’università. «Vabbé, ho aspettato 8 anni per vedere Vortex, saprò aspettare anche ora!» (cit.).
E’ ormai notte fonda ed è l’ora di incamminarci verso la stazione e di dormicchiare su una panchina di fronte ad un Doll Grabber che fa molto Toy Story, in attesa del treno delle 5:41 am per Hradec Králové per poi, da lì, muovere verso Praga. E mai ci saremmo aspettati di poterci uniformare così bene ad un sedile socialista.
10. Sul piatto della bilancia
Probabilmente (e in particolare se siete assidui frequentatori di festival esteri) non staremo raccontando nulla di nuovo, nel rimarcare le enormi differenze tra un evento come il nostrano Gods Of Metal (o il Sonisphere di quest’anno) e un evento come il Brutal Assault; vale, ad ogni modo la pena, di illustrare la differenza di “filosofia” che vi sta alla base. Il GOM (e il Sonisphere) vivono in sostanza sulla fama e la popolarità dell’headliner (che 9 volte su 10 è stato fino ad ora un nome compreso nella ristrettissima cerchia composta da Maiden, Sabbath/Ozzy, Judas Priest, Metallica, Manowar, Whitesnake, Motörhead e Mötley Crüe) trattando, il più delle volte, i nomi “di complemento” come puri e semplici comprimari. Anche laddove i nomi sono stati di tutto rilievo. L’impressione, al BA, è che conti più l’evento in sé, che non le specifiche band; con gli accorrenti del tutto fiduciosi (e in anticipo) sulla qualità (e sulla violenza) dei gruppi scelti e convocati dall’organizzazione. Conta, inoltre, l’atmosfera, quella di un vero e proprio “luna park dell’heavy metal”, con i gruppi al posto delle giostre e con gli stand a sostituire le bancarelle con le frittelle e lo zucchero filato; un’esperienza da vivere dal primo all’ultimo secondo in maniera totale, con la possibilità di stare sul posto tutto il giorno e di campeggiare, di notte, ai margini della fortezza per essere pronti al bombardamento del giorno successivo fin dalla mattinata. Se vi interessa un gruppo specifico, forse la soluzione migliore è ancora il presenziare ad eventi singoli e godersi due-tre ore di show dalla prima all’ultima nota; se cercate qualcosa di un pelo più avventuroso ed imprevedibile, in grado di farvi conoscere nell’arco di poche ore o giorni, una tonnellata di band e di realtà come nemmeno nei vostri sogni più sfrenati, forse il Brutal Assault, se già non lo conoscete, merita la vostra attenzione.
Live Report a cura di Tiziano “vlkodlak” Marasco e Stefano “Joey Federer” Burini.