Live Report: Chicago a Roma
Live Report a cura di Francesco Maraglino
E’ altamente improbabile che coloro che si identificano nel motto “born to be wild” – ovvero chi è appena rientrato da una qualsiasi esibizione dei The Big Four – abbiano scelto i Chicago quale propria band preferita, anche in considerazione dell’identificazione che il pubblico generalista percepisce tra tale numeroso combo e le ballate zuccherose che tra gli anni settanta ed ottanta del ventesimo secolo li hanno portati in cima alle classifiche.
Non va dimenticato però che i Chicago, non a caso tredicesimi nella classifica di Billboard degli artisti più importanti di tutti i tempi, hanno sviluppato la prima parte della loro carriera con un formidabile melange tra rock, jazz, soul e progressive, e che, comunque, anche il periodo più commerciale del loro percorso artistico ha talvolta lambito i territori del miglior AOR, ed alcuni dei loro lavori (soprattutto dalla seconda metà degli anni Ottanta fino all’alba del decennio successivo) vengono tutt’oggi citati come esempi di best practice del versante westcoast del rock “adulto”.
Con una storia artistica così lunga ed articolata, era inevitabile che l’altra sera, nella splendida cornice della Cavea dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, ad accogliere i Chicago ci fosse un pubblico (non tantissimo, per la verità) molto variegato (intraviste persino un paio di t-shirt “metallare” qua e là, a dispetto delle considerazioni fatte in premessa) e soprattutto dall’età media piuttosto alta.
La band non ha tradito le aspettative di nessuno, proponendo una carrellata attraverso tutte le fasi del proprio repertorio, dando un colpo al cerchio (il jazz-rock) ed un altro alla botte (le ballatone strappacuore).
L’apertura è affidata a “Make Me Smile”, pescata lì dietro in fondo al secondo album, ed è subito un’esplosione di suoni (resi perfettamente dall’acustica dell’Auditorium) frizzanti e jazzy, che rendono l’idea di un mood solare che tale resterà per tutta la durata del concerto, eclissandosi (ma non troppo) solo in occasione delle songs più malinconiche.
Il repertorio jazz-rock la fa da padrone, ed ecco che questo gruppo di “vecchietti del rock” (definizione calzante almeno per il nucleo storico della band) dimostrano un vigore ed una verve notevoli, snocciolando brani storici come le swinganti “Does Anybody Really Know What Time It Is?” e “Dialogue”, o le catchy “Along Comes a Woman”, “Wake Up Sunshine” e la più rockeggiante “Alive Again”.
Immancabile “la canzone che ha cambiato la nostra vita, il nostro più grande successo” – come la presenta Robert Lamm – e cioè “If You Leave Me Now”, ovvero il brano di tutti i cuori che si sono spezzati nell’anno 1976 e dintorni.
A proposito di broken hearts, passaggio obbligato, verso la fine, anche per una delle power-ballads per antonomasia degli Eighties, ovvero quella ”Hard to Say I’m Sorry” cantata da tutti in coro, pensando a tutti gli amori di gioventù a cui abbiamo sussurrato, sinceri, “You’re just the part of me I can’t let go” e che invece ci siamo lasciati alle spalle…..
Passando anche per una raffinata e latineggiante “Beginnings”, con Robert Lamm che lascia le tastiere per la chitarra, il concerto scivola verso la fine attraversando soprattutto i brani più tirati del repertorio, nei quali i Chicago si muovono non solo in qualità di splendidi musicisti, ma anche di navigati performers, muovendosi sul palco in continuazione, scambiandosi le posizioni ed esibendosi anche in assolo, duetti e terzetti strumentali e vocali (vedi la ballad “Hard Habit to Break”, cantata a tre voci).
Il soul-rock di “I’m A Man” e “Street Player”, la mitica “Saturday In The Park” e la jazzata “Feelin’ stronger Every Day” ci portano alla fine del concerto.
D’obbligo il bis, che si chiude con l’altrettanto leggendaria, per i classic-rockers, “25 or 6 to 4”, che entusiasma con un riffone terremotante di basso e chitarra, degno di un concerto hard, a dimostrazione che questi vecchi leoni del rock sanno ancora ruggire, eccome.
Francesco Maraglino
Line Up:
Robert Lamm – tastiere, voce
Lee Loughnane – tromba
James Pankow – trombone
Walt Parazaider – fiati
Jason Scheff basso – voce
Tris Imboden – batteria
Keith Howland – chitarra
Lou Pardini – tastiere / voce
Drew Hester – percussioni
Setlist:
01. Ballet for a Girl in Buchannon (a-Make Me Smile, b-So much to say, so much to give, c-Anxiety’s moment, d-West Virginia fantasies,e- Make Me Smile reprise)
02. Does Anybody Really Know What Time It Is?
03. Dialogue (Part I & II)
04. Alive Again
05. Call on Me
06. Old Days
07. Along Comes a Woman
08. Wake Up Sunshine
09. If You Leave Me Now
10. (I’ve Been) Searchin’ So Long
11. Mongonucleosis
12. Baby, What a Big Surprise
13. Hard Habit to Break
14. You’re the Inspiration
15. Beginnings
16. I’m a Man (con assolo di batteria e percussioni)
17. Street Player
18. Just You ‘N’ Me
19. Saturday in the Park
20. Hard to Say I’m Sorry / Get Away
21. Feelin’ Stronger Every Day
BIS:
22. Free
23. 25 or 6 to 4