Live Report: Christmas Bash 9/10 Dicembre 2016
Oversense
Come il primo giorno anche il secondo inizia con una band locale, gli Oversense; i giovani tedeschi regalano al pubblico una piacevole mezz’ora passando da un melodico Hard Rock ad un Power Metal più tirato.
Essendo un sabato l’esibizione inizia alcune ore prima rispetto alla prima band del giorno precedente e, probabilmente per lo stesso motivo, fin dall’inizio ci sono più persone.
Gli Oversense iniziano quindi con già alcuni spettatori sotto al palco, ma catturano rapidamente l’attenzione di chi era al bar, ai banchetti di magliette o di chi arriva dopo; il pubblico, infatti, aumenta rapidamente ed è catturato dalla performance della band.
I ragazzi hanno tengono bene il palco muovendosi su e giù ed incitando gli spettatori; punto di forza della band è sicuramente il cantante che riesce a muoversi a proprio agio sia su toni più bassi e melodici sia su quelli più alti, spingendosi anche in momenti più aggressivi e “graffiati”.
La mezz’ora di show passa rapidamente, segno che i tedeschi sono riusciti a convincere e ad intrattenere bene i primi spettatori arrivati nel locale.
Noctura
Il secondo show della giornata ha nuovamente come protagonista una band locale, i Noctura.
La band inizia con un problema tecnico (o un insolito soundcheck?) quando inizia a suonare la prima canzone, i fotografi vengono fatti entrare sotto al palco, il pubblico comincia a radunarsi, ma dopo un minuto la band si ferma e lascia il palco.
Dopo qualche minuto inizia l’intro preregistrata, la band torna ed inizia il concerto.
Sulla tecnica gli si può dire poco, sul palco si muovono ed interagiscono abbastanza col pubblico, ma musicalmente il tentativo di imitare i Children of Bodom (senza riuscire ad avvicinarsi neanche lontanamente alla qualità dei primi dischi dei finldandesi).
Il cantante/chitarrista che scimmiotta le pose di Alexi Laiho più che esaltare mette un po’ di tristezza.
Dopo la seconda canzone non è chiaro cosa succede quando il secondo chitarrista lascia il palco per venire sostituito da un altro che rimarrà fino alla fine dello show.
A questo punto la band suona una cover di “Gimme! Gimme! Gimme!” degli ABBA in versione metal; il pezzo diverte, ma nuovamente ricorda quanto fatto dai Bodom con “Oops! I Did Again” di Britney Spears.
In maniera completamente opposta al gruppo precedente la mezz’ora dei Noctura passa a fatica.
Bocciati.
Setlist:
Praeludium (intro)
Königin der Nacht
Coitus Interruptus
Gimme! Gimme! Gimme! (ABBA cover)
Inquisition
Als Dornröschen Mich Betrog
Legatum Serpentis
Hell
Cosa ci si può aspettare da una band resuscitata dopo 21 anni dallo scioglimento e che pubblica il primo album 29 anni dopo la fondazione?
Se si parla degli Hell ci si deve aspettare un concerto strepitoso, o almeno questo è quello che è successo a Geiselwind.
Sul palco sale il batterista, saluta il pubblico e si accomoda dietro la batteria, poi arrivano i due chitarristi e il bassista con la faccia truccata che danno la prima idea della spettacolarità dello show che sta iniziando.
Li raggiunge poi il cantante David Bower anche lui truccato, una corona di spine in testa, lenti a contatto rosse negli occhi e col microfono fissato vicino alla bocca.
Alcuni cantanti, anche con un microfono in mano, non sanno come muoversi sul palco o cosa fare con le mani; Bower senza microfono, invece, va molto oltre l’essere un frontman, non canta le canzoni, le recita.
“We hope you have been good boys, we hope more you haven’t been good boys!” (Speriamo che siate stati bravi ragazzi, speriamo di più che non lo siate stati) grida il cantante ed il concerto ha inizio.
La band è affiatata e la performance solidissima, ma gli occhi di tutti sono fissi su Bower la maggior parte del tempo; poco prima di “Something Wicked This Way Come” il cantante scompare dal palco per tornare poco dopo a torso nudo e con un gatto a nove code in mano.
Mentre canta si colpisce, si inginocchia, si frusta di nuovo; quelle che su disco sono parte del cantato qui sono urla di sofferenza, fittizia, ovviamente, ma parte di una recitazione come se ne vedono poche nel Metal.
Il concerto finisce in fretta, troppo in fretta, e nell’orario in cui il giorno prima finiva il primo gruppo ora il locale è pieno di fan entusiasti, conquistati dalla band inglese.
Setlist:
Gehennae Incendiis
The Age of Nefarious
Something Wicked This Way Comes
Blasphemy and the Master
End Ov Days
On Earth as It Is in Hell
Gloryhammer
I Gloryhammer sono il progetto secondario di Christopher Bowes, leader degli Alestorm, fondati nel 2013 e già con due album e numerosi concerti all’attivo.
Proprio Bowes in quest’ultimo concerto del 2016 della band non è presente, probabilmente perché vivendo negli USA tornare per una singola data non sarebbe stato possibile economicamente; il tastierista è sostituito da una persona che gli somiglia e, tra il costume di scena ed il fatto che l’assenza non sia sottolineata dal cantante, probabilmente sono in pochi nel pubblico a notare l’assenza.
Chi ha visto più volte negli ultimi tempi la band conoscerà già le battute che vengono fatte sul palco, parte di un copione più o meno fisso; che il pubblico le conoscesse già o meno, però, funzionano e gli spettatori si esaltano e ridono più di quanto ci si aspetterebbe da un concerto Metal.
Musicalmente, se piace il genere, sono ineccepibili e sicuramente sotto il palco tutti mostrano un grande apprezzamento.
Unica differenza, o aggiornamento, rispetto ai concerti precedenti è quando l’”Astral Hammer” viene consegnato ad Angus McFife (il personaggio interpretato dal cantante) da una principessa durante “Legend of the Astral Hammer”.
Il pubblico è coinvolto ed i “sing-along” sono frequenti e ad alto volume; i sorrisi della band mostrano una grande soddisfazione per la reazione del pubblico.
La band esce sulle note del “National Anthem of Unst” mentre il pubblico grida a gran voce “HOOT! HOOT!”; i Gloryhammer hanno conquistato il Christmas Bash.
Setlist:
Infernus Ad Astra (intro)
Rise of the Chaos Wizards
Legend of the Astral Hammer
Hail to Crail
Questlords of Inverness, Ride to the Galactic Fortress!
The Hollywood Hootsman
Angus McFife
Universe on Fire
The Unicorn Invasion of Dundee
The National Anthem Of Unst (outro)
Rage
Dopo l’ultimo album “The Devil Strikes Again” non abbiamo dubbi sullo stato di salute dei Rage, al massimo un po’ di curiosità su come si comporti la nuova formazione.
La risposta è…decisamente bene!
La band inizia con la title-track dell’ultimo album ed infiamma subito il pubblico; avendo purtroppo poco tempo a disposizione questa è l’unica canzone suonata dall’album.
L’alchimia della band, in questa formazione da solo poco più di un anno, è ottima e i musicisti sul palco sembrano suonare insieme da sempre.
Data la brevità dello show i Rage sono costretti a suonare non solo 7 pezzi, tutti da album diversi (tranne “End of All Days” e “Higher Than The Sky” estratte da “End of All Days”), praticamente solo classici che vengono cantati con entusiasmo dal pubblico.
Arriva la fine e Peavy porta facilmente il pubblico a cantare il ritornello, “HIIIIGHER THAN THE SKYYYYY”; la canzone a metà si trasforma in una cover di “Holy Diver” di Dio, anche qui cantata con entusiasmo dal pubblico, con il chitarrista Marcos Rodriguez che prende il ruolo di cantante con un ottimo risultato.
Il concerto finisce dopo 45 brevissimi minuti nell’entusiasmo di tutti.
L’unica domanda che resta è “Perché i Rage suonano prima degli Orden Ogan pur avendo una storia più lunga ed importante (e 17 album all’attivo in più dei secondi)?”.
Non ci sappiamo dare una risposta, ma in un mondo dove gli Accept suonano di supporto ai Sabaton tutto è possibile.
Setlist:
The Devil Strikes Again
Until I Die
From the Cradle to the Grave
End of All Days
Don’t Fear the Winter
Back in Time
Higher Than the Sky (con parte di “Holy Diver” di Dio]
Orden Ogan
Tocca ora ai tedeschi Orden Ogan che sono tanto pomposi nella musica quanto nella scenografia.
Il palco infatti viene allestito con gran numero di teloni con immagini provenienti dai loro album, lasciando solo uno spazio al centro per la batteria; quando il concerto inizia i musicisti salgono sul palco passando attraverso ai teloni agli angoli.
Tutti quanti vestono grossi costumi che sembrano un incrocio di quanto usato dai Behemoth e dai Lordi e, se è vero che l’occhio vuole la sua parte e questo genere di trovate nel Rock/Metal fanno sempre scena, forse in questo caso sono un po’ esagerati anche in rapporto ad un genere musicale che non ha mai abbracciato troppo queste trovate.
L’esibizione è comunque buona e convincente: il pubblico è convinto fin dalla prima canzone, title-track dell’ultimo album “Ravenhead”, i cui ritornelli canta con entusiasmo.
L’entusiasmo aumenta sulla terza canzone “We Are Pirates”, una delle più note della band, che spinge il pubblico a pogare, magari non troppo intensamente (anche perché la musica certo non ispira una grande violenza), ma certamente con trasporto.
Sull’ultima canzone, “The Things We Believe In”, probabilmente il pezzo più famoso in assoluto della band, il pubblico letteralmente esplode e canta la maggior parte dei testi a gran voce (o anche più forte), in particolare il pomposo ritornello.
Lo show è decisamente convincente, ma non siamo ancora convinti che la band meriti un posto nel bill più in alto rispetto ai Rage.
Setlist:
Orden Ogan (intro)
Ravenhead
Here At The End Of The World
We Are Pirates
Deaf Among the Blind
Sorrow Is Your Tale
F.E.V.E.R.
The Things We Believe In
In Grief And Chains (outro)
JBO
Sui JBO è estremamente difficile esprimersi per chi non è tedesco ed è altrettanto difficile capire il loro successo, quantomeno senza averli visti dal vivo davanti ad un pubblico tedesco.
La band suona musica demenziale, una sorta di Nanowar of Steel tedeschi, con testi completamente in tedesco (da qui la difficoltà di esprimerci, non sapendo il tedesco non si può comprendere l’umorismo dei loro testi).
La differenza rispetto ai nostri Nanowar è che i JBO sono incredibilmente popolari e conosciuti, ogni singola canzone viene cantata dalla prima all’ultima parola da tutto il pubblico.
Quello su cui possiamo pronunciarci è che tecnicamente sono validi e la musica è buona, anche se chiaramente il loro punto di forza sono i testi; anche le scenografie sono coinvolgenti, tra due personaggi travestiti che si rincorrono sul palco (forse i protagonisti della canzone suonata in quel momento?), i palloni giganti lanciati sul pubblico, i soldati che marciano sul palco, la comparsa che si aggira sul palco portandosi dietro un cartellone con le parole delle canzoni e altro ancora.
In conclusione i JBO sono una band assolutamente incomprensibile per uno straniero, ma probabilmente un tedesco (a giudicare dalla reazione del pubblico) darebbe anche la lode all’esibizione di questa sera della band.
Setlist:
Bimber Bumber Dödel Dei
Bolle
Panzer Dance
Kuschelmetal
Verteidiger des Blödsinns
Ein Guter Tag zum Sterben
Wacken ist nur einmal im Jahr
Vier Finger für ein Halleluja
Ein Fest
Saxon
“Che classe!” è il primo commento che viene in mento vedendo, o rivedendo, i Saxon.
La band dopo quasi 40 anni dalla fondazione dimostra sempre, concerto dopo concerto, disco dopo disco, una grande passione e dedizione alla propria musica, cosa che non sempre si può dire di altre band storiche.
In un’esplosione di luci i 5 salgono sul palco e attaccano immediatamente con “Battering Ram”, title-track dell’ultimo album, che stabilisce subito la potenza della band.
Alla fine canzone dal pubblico viene lanciato uno smanicato sul palco; anziché lanciarlo indietro o ignorarlo, Biff Byford lo prende, lo indossa e canta per l’intero concerto con la giacca addosso.
Come per tutte le band il tempo è limitato, solo un’ora, e quindi il concerto pesca a piene mani dai classici della band; non vengono però dimenticati i lavori più recenti e viene suonata la title-track del penultimo album “Sacrifice” e un’altra canzone da “Battering Ram”, “The Devil’s Footprint”.
Dopo quest’ultima Biff annuncia al microfono di voler ricordare un amico che ci ha lasciato poco tempo fa; si tratta, come alcuni sospettano subito, del mai troppo compianto Lemmy.
La band attacca quindi con un’ottima cover di “Ace of Spades” su cui il pubblico impazzisce e a fine canzone va avanti per un pezzo il coro “LEMMY! LEMMY!”.
Dopo “Dallas 1 PM” Biff torna a rivolgersi al pubblico e chiede, “Volete una canzone lenta o veloce? Va bene, abbiamo una canzone lenta per voi…20,000 FT.!” e la festa va avanti.
Gli ultimi cinque pezzi sono probabilmente i più noti ed amati dei Saxon, ed è infatti su questi che il pubblico si scatena di più, ma l’entusiasmo è molto grande per tutto il concerto.
Mentre l’ultima canzone, “Wheels of Steel”, sta finendo Biff fa gesti a qualcuno dietro le quinte e arriva subito un membro della crew con un pennarello; il cantante lo prende, autografa la toppa dei Saxon cucita sullo smanicato che indossa, poi se lo sfila e lo restituisce al proprietario che un’ora prima l’aveva lanciato sul palco.
Classe infinita.
Setlist:
It’s a Long Way to the Top (If You Wanna Rock ‘n’ Roll) (intro)
Battering Ram
Heavy Metal Thunder
Sacrifice
Solid Ball of Rock
Never Surrender
Stand Up and Be Counted
The Devil’s Footprint
Ace of Spades (Motörhead cover)
Dallas 1 PM
20,000 Ft
Crusader
Princess of the Night
Wheels of Steel
Blind Guardian
Fin dall’inizio della giornata la band di cui si erano viste più magliette tra gli spettatori sono i Blind Guardian; chiaramente gli headliner sono la band più attesa, probabilmente anche per l’evento speciale che avrà luogo in questo concerto.
I Guardian, infatti, suoneranno tutto il classico “Imaginations From The Other Side” come hanno fatto per tutte le date da settembre, e come faranno fino alla fine del 2017.
Guardando il programma stupisce un po’ vedere come alla band siano stati riservati solo 75 minuti, 5 di meno di quanti ne avevano gli Iced Earth il giorno prima, e più di un’ora di meno di quanto suonano nelle date di questo tour (ma essendo un festival è anche normale avere meno tempo).
Alle 23.45 esatte le luci si spengono e inizia il coro che apre “The Ninth Wave”, prima canzone dell’ultimo album “Beyond the Red Mirror”.
Chi ha visto la band negli ultimi due anni sa quanto sia grandiosa la canzone e come sia perfetta per aprire un concerto ed infatti il pubblico accoglie l’inizio della canzone con un boato.
Il concerto prosegue su lidi più classici con Nightfall e, alla fine di questa canzone, il concerto entra nella fase che tutti aspettavano: Hansi annuncia che la band ora suonerà tutto il classico album, il telo nero alle spalle della batteria cade e rivela la copertina di “Imaginations From The Other Side”.
Chiunque conosca il disco sa che genere di mazzata possa essere sentirlo tutto di fila; “A Past and Future Secret”, “Mordred’s Song” e “Bright Eyes”, le canzoni più calme permettono di riprendere un po’ il fiato (ma neanche troppo dato che il locale trema da tanto forte vengono cantate tutte le parole di tutte le canzoni) tra canzoni devastanti come “I’m Alive” o “Another Holy War”.
Strumentalmente l’esibizione è impeccabile, ma i Blind Guardian lo sono sempre, quello che stupisce è la potenza di Hansi Kürsch che, a 50 anni compiuti da pochi mesi, non si risparmia un secondo con un cantato potentissimo che ricalca in maniera quasi perfetta quello dell’album.
Che si tratti di voce pulita, di acuti o di grida prolungate per più secondi il cantante tedesco non si ferma un secondo e il pubblico va in estasi.
Al termine di “And the Story Ends” i chitarristi vanno a cambiare le chitarre e, quando tornano con due chitarre acustiche, tutto il pubblico capisce subito che è il momento di “The Bard’s Song”, inno immortale che è valso alla band il soprannome di “Bardi”.
Come in ogni concerto dei Blind Guardian questo è il momento del pubblico, Hansi canta a malapena una manciata di parole mentre tutti i fan, dalla prima all’ultima persona presente nel locale, tuonano la Canzone del Bardo.
Il tempo a disposizione della band purtroppo sta finendo, quindi senza tante parole i chitarristi riprendono rapidamente le chitarre elettriche e inizia un altro grande classico, “Valhalla”.
Quando la canzone arriva alla fine, un paio di minuti in ritardo rispetto a quando dovrebbe finire il concerto, il pubblico porta avanti il coro finale “Valhalla – Deliverance, why’ve you ever forgotten me” per vari minuti riprendendosi i 5 minuti che i Bardi avevano in meno rispetto agli Iced Earth.
Il giudizio dello show non può che essere estremamente positivo, sentire un album del calibro di “Imaginations” per intero non può lasciare indifferenti, con la sola punta di amarezza per la breve durata che ha costretto a tagliare classici come “Mirror, Mirror” e “Into The Storm” o altre canzoni che avrebbero potuto essere suonate con un po’ più di tempo a disposizione.
Setlist:
The Ninth Wave
Nightfall
Imaginations from the Other Side
I’m Alive
A Past and Future Secret
The Script for My Requiem
Mordred’s Song
Born in a Mourning Hall
Bright Eyes
Another Holy War
And the Story Ends
The Bard’s Song – In the Forest
Valhalla
Davide Sciaky