Live Report: Copenhell 2018 (Refshaleøen, Copenhagen)
Copenhell 2018
21/22/23 Giugno 2018
Report a cura di Antonio ‘Maestro di Scazzo’ Saracino
Introduzione
Copenhell è ormai diventato uno dei festival principali del nord Europa, vantando circa 23 mila visitatori nella sua edizione del 2018. Già il suo debutto nel 2010 con una line up di tutto rispetto (Megadeth, Behemoth, Suicidal Tendencies e Deftones) l’ha proiettato come festival danese principale, ed in assoluto il primo open-air della nazione scandinava. Situato in Refshaleøen, un porto industriale a pochi chilometri dal centro di Copenhagen, il festival è molto ben collegato con il centro tramite un servizio navetta gratuito che prosegue per tutta la notte, in aggiunta agli autobus regolari. Da parte mia è stata particolarmente apprezzata la vicinanza alla commune hippie di Christiania, una serie di bastioni e caserme in disuso occupate negli anni 70 e in cui vige la massima tolleranza per le droghe leggere.
Uno dei punti di forza del Copenhell è appunto la sua vicinanza con il centro della città, che permette al metallaro itinerante di rilassarsi, specialmente la mattina quando non ci sono concerti previsti. I bus navetta, la cui linea 666 è nominata appropriatamente, collegano Refshaleøen con l’hub urbano di Christianshavn e via metro, tutto il resto dei dintorni. L’efficacia si vede ed è l’utilità della navetta è incontestabile soprattutto quando si vuole risparmiare qualcosa comprando birra nei supermercati.
Christiania merita un paragrafo a parte. È un quartiere pittoresco, ricoperto di graffiti e i cui abitanti si conoscono tutti. Il quartiere nasce come una comune hippie ed è famoso per essere molto aperto verso le droghe leggere. Vedere turisti fumare marijuana e bere birra seduti tranquillamente in piazza mentre una pattuglia di polizia locale vi passa d’avanti è una soddisfazione che non ha prezzo. Gli spacciatori sono tutti riconoscibilissimi dai vestiti non-descript ed è estremamente facile trovare ciò che si cerca.
Mercoledì 20 Giugno
Detto questo, il festival non mi ha lasciato troppo tempo di visitare la città, a parte il circondario e il quartiere di Christianshavn. Sceso dal treno, mi dirigo subito verso la stazione degli autobus per cercare quello che mi porterà verso la mia prima destinazione: una specie di discount di articoli sportivi e di campeggio presso il quale comprerò tenda, materassino e sacco a pelo. Totale spesa: l’equivalente di 40 euro. Fatto ciò mi dirigo presso la fermata, avanzando senza indugi sulla strada del Copenhell.
All’arrivo all’hub di Christianshavn mi attende una discreta folla di metallari, pronti ad imbarcarsi sull’autobus n. 666 in direzione festival. Arrivo, scendo e dò un’occhiata in giro: a sinistra il campeggio, a destra una lunga strada che porta a tre entrate diverse, a seconda del tipo di biglietto. Il campeggio è praticamente un ex molo, ricoperto da un prato e diviso in varie sezioni, una libera e la seconda per le tende precostruite fornite a pagamento dall’organizzazione del festival. Monto la mia, sistemo i miei bagagli e proseguo verso l’area festival.
Dopo I controlli di sicurezza, mi trovo davanti un sentiero su ghiaia, che prosegue all’interno dell’area e si snoda in diverse direzioni. Un metal market discretamente fornito, pochi dischi ma moltissima mercanzia, in cui la gente passa la maggior parte del tempo. E soprattutto una serie di venditori di street food da far impallidire New York. Ce n’è per tutti i gusti: messicano, churros, hamburger, spezzatini, bbq e chi più ne ha più ne metta. Mi vergogno un po’ nel confessare di aver speso la maggior parte del tempo mangiando schifezze.
Proseguendo nella mia esplorazione, sento alcuni rumori decisamente non musicali. Li seguo e mi imbatto in una specie di arena, con un furgoncino bianco in mezzo e una certa fila per entrare. Cosa cazzo ci fa la gente in un furgone in mezzo al nulla? All’improvviso scorgo una serie di strumenti di tortura: mazze, martelli, magli, una cazzo di motosega, punte e aste di ferro. Un essere gigantesco lancia un urlo e si fionda contro il povero furgone con un martello alla Robert Baratheon ed inizia a farlo a pezzi. Subito dopo viene seguito dagli altri apprendisti demolitori. Confermo che la coda è effettivamente per distruggere il suddetto van e liberare per una volta i propri istinti animaleschi. Non c’è da pagare nessun biglietto, l’unica firma che il Diavolo vuole è su una liberatoria. Altamente consigliato l’uso di guanti, elmetto ed occhiali protettivi.
Dopo aver esplorato un po’ l’area festival e tutti i dintorni, procedo verso il primo (e per me ultimo) concerto della serata, ovvero i NEUROSIS. Essendo il giorno di “warm up”, non c’era ancora tanta gente, ma all’entrata in scena vengono accolti da un boato. Ci vuole qualche canzone per i tecnici prima di sistemare il suono ovattato, dopodichè il concerto diventa godibilissimo. Le leggende del post-metal/doom spaccano ogni muro coi loro riff mastodontici e lentissimi, i bassi sono pienissimi e i brani pesanti. È dura per una band con un catalogo così ampio riuscire a condensare il tutto in un’ora di show, ma i Neurosis sono comunque riusciti nel loro intento. Al momento, la composizione dell’aria è 95% marijuana e 5% alito alcolico. Da apprezzare la varietà nella scelta delle band già da questa prima esibizione.
Giovedì 21 Giugno
Il giorno dopo parte ufficialmente il festival danese. Nel primo pomeriggio tocca ai ZEAL AND ARDOR, strano mix di gospel e metal. I loro riff ricordano la tradizione core e nu metal e il cantante principale ha una voce calda e accogliente. Sì perchè ci sono ben tre cantanti, due dei quali sono spesso impegnati in prestazioni corali. Sebbene si tratti di una proposta certamente interessante, le canzoni risultano comunque abbastanza piatte e ripetitive senza profondità.
Subito dopo è il momento dei THE LAST INTERNATIONALE, trio newyorchese politicamente impegnato che ha vantato tra le proprie fila anche il batterista dei Rage Against the Machine. Come si può intuire dal nome, i TLI trattano soprattutto temi vicini alla classe proletaria, così come le ingiustizie sociali. Brani notevoli sono Life, Liberty and the Pursuit of Indian Blood, 1968 e Killing Fields. Si tratta di un folk-blues che mai mi sarei aspettato di vedere ad un festival metal ma che comunque ho apprezzato tantissimo e la bellissima voce di Delilah Paz rende ogni brano estremamente pregno di emozione. Il concerto si chiude sulle note di Wanted Man, un pezzo che potrebbe tranquillamente venir fuori da un western di Tarantino.
I NIGHTWISH sono il primo headliner di questo festival ad esibirsi nel tardo pomeriggio. Pur non essendo un loro fan ed anzi ascoltando normalmente musica di stampo completamente opposto, mi decido per dar loro un’opportunità. Purtroppo non convincono per nulla. I brani sono estremamente ripetitivi, la presenza sul palco quasi inesistente e non coinvolgono il pubblico. Personalmente ho odiato ogni momento che includesse tastiere e fluti. Continuo come si faccia a non capire, dopo 20 anni sulla scena, di essere pessimi e comunque continuare ad esserlo per così tanto tempo senza stancarsi. È quasi encomiabile.
Si prosegue sul palco a fianco con gli ARCH ENEMY, ormai storica band melodeath e per me è la prima volta che li vedo con la nuova cantante. La prestazione risente di qualche problema tecnico: la voce è completamente coperta da chitarre e batteria, mentre cambiando la posizione nel pubblico, la situazione non fa altro che peggiorare, il che si sentirà purtroppo anche con gli AT THE GATES più tardi. La performance è comunque piacevole e rivitalizzante dopo la noia mortale dei Nightwish. Il mio pezzo preferito rimane l’ormai antico Ravenous.
Venerdì 22 Giugno
Ad aprire questa giornata sono per me gli EXODUS! Apre il concerto della storica band thrash della Bay Area una lunga traccia strumentale. Ciò che mi si presenta davanti è un classico concerto a la Exodus: riff cattivi e wall of death causati dai classici Parasite e Toxic Waltz. Nonostante la stazza, Steve Souza sembra cantare senza evidente sforzo fisico e dedica la propria esibizione all’intera nazione danese, patria di King Diamond e Merciful Fate. La folla è in visibilio per un set durissimo e la i veterani del thrash chiudono con Lesson in Violence e Strike of the Beast.
Il momento che ho aspettato trepidante per tutto il viaggio è finalmente arrivato. Gli AT THE GATES, inventori del melodeath e beniamini della mia patria acquisita, salgono finalmente sul palco, forti di un nuovo album e nuovo chitarrista – Jonas Stålhammar di Bombs of Hades, God Macabre ed ex frontman dei The Crown. Mi aspetto parecchi pezzi dal nuovo To Drink from the Night Itself, album decisamente solido e superiore al predecessore At War with Reality. Infatti, i riff richiamano molto i classici di Suicidal e Slaughter. Dopo l’intro del nuovo album, la band si sbizarrisce con To Drink from the Night Itself, Slaughter of the Soul, At War with Reality, le classiche Cold e Under a Serpent Sun e la nuova Chasm, che musicalmente ricalca la tradizione di Slaughter. Purtroppo, il vento comincia a tirare e il suono ne soffre un bel po’ ma rimane comunque un’esibizione solidissima.
Ai concittadini ATG seguono i GRAVEYARD, ormai ultrafamosa band hard rock svedese. Anche loro forti di un nuovo album chiamato Peace, i Graveyard catturano immediatamente con una voce blues profondissima ed accattivante, che costituisce una pausa molto apprezzata dal metallo pesante del secondo giorno. Le nuove canzoni hanno accenni psichedelici che ben accompagnano anche i classici di Hisingen Blues. Il suono e ineccepibile, nonostante per questa esibizione mi sia seduto su una collina in lontananza. I cori dei fan e il cantato blues trasformano l’intera esibizione in un’esperienza intima, che il cantante chiude raccomandandosi al pubblico di prendersi cura l’un l’altro.
Gli ALICE IN CHAINS sembrano richiamare praticamente tutto il pubblico del festival, il che rende difficile avvicinarsi al centro per godere di un suono migliore. La storica band non delude e si piazza bene nel contesto musicale misto del Copenhell. Il marciume espresso dai chitarre e bassi è molto apprezzato, così come pezzi come Bleed the Freak, Check my Brain, Dem Bones e Dam that River, seguiti da Would? e Rooster.
Tocca dunque ai KREATOR, dei del thrash teutonico. Dopo una intro strumentale tratta dall’album dell’anno scorso Gods of Violence, i Kreator si apprestano a scatenare morte e distruzione sul pubblico danese. Ogni brano è naturalmente violentissimo, come praticamente ogni pezzo dei Kreator dal 2000 a questa parte, brani che diventano ancora più violenti col procedere della setlist. Da ricordare Violent Revolution, Pleasure to Kill e Satan is Real.
Non c’è nulla da fare. Quando tocca ad OZZY OSBOURNE il buio è ormai calato e la luna fa capolino da dietro al palco. Come iniziare se non con Bark at the Moon? Ozzy è tornato ed è inspiegabilmente più vivo che mai, nonostante i 70 anni suonati. Molto apprezzata è anche la presenza scenica di Zakk Wylde, che finalmente riesco a vedere live dopo oltre una decade! I due sono intrattenitori nati: una folla immane si è riunita davanti al palco e sconfinando anche nell’area del palco vicino, tutti per ammirare l’iconico duo. Ozzy incita la folla con la sua teatralità, introducendo gli assoli di Mr. Wylde che suddividono la setlist in varie sezioni. Dietro di loro titaneggia una croce enorme fatta di schermi, su cui compare la scritta Ozzy, spesso avvolta nelle fiamme. Zakk Wylde è sempre al centro dell’attenzione grazie ai suoi assoli, così come quelli del batterista. Tutti i brani sono classici sia di Ozzy che dei Black Sabbath e il fantastico concerto si chiude sulle note di War Pigs, Mama I’m Coming Home e Paranoid. Decisamente una delle band migliori che abbia avuto la fortuna di vedere live.
Sabato 23 Giugno
Siamo ahimè giunti all’ultima giornata di questo festival, che per me si apre con gli STEEL PANTHER, che confesso di aver voluto vedere solo per l’altissima probabilità di vedere seni delle fan. Rimango dunque piuttosto sopreso quando dimostrano di essere assolutamente spassosi con siparietti autoironici tra un pezzo e l’altro, soprattutto quello in cui con l’inganno fanno dire al cantante, in danese, di avere un cazzo minuscolo. Oltre a questo, ricordo solo le fan salire tutte sul palco ad un certo punto ma solo una ha mostrato le tette. Lascio l’area concerti un po’ deluso, per rifarmi su un piatto di costolette.
I SUFFOCATION offrono un piacevole cambio di tempo rispetto ai precedenti Steel Panther. Selvaggi come sempre, sono capaci di sollevare il pubblico che si scatena in mosh pit e headbanging senza limiti. Da notare la follia assoluta del nuovo batterista Eric Morotti che pesta come un dannato, mentre il vocalist Ricky Myers si lancia nel suo solito growl profondissimo. Il formato dei pezzi è devastante: rallentamenti, carica, esplosioni ed assoli incrociati. Un massacro che non lascia sopravvissuti, come solo i Suffocation sanno offrire.
Tocca tornare agli anni 80 con i WASP. Blackie si mantiene in forma (almeno sotto l’aspetto performance) ed offre una mitragliata di classici, da Love Machine a Chainsaw Charlie. A mio parere la band offre il meglio di sé nelle ballad e nelle parti più lente, in cui riescono a tirare fuori tutto il loro pathos. Da ricordare le galoppate di I Wanna be Somebody, The Idol e Wild Child.
Inizia a farsi tardi ed il tramonto nordico sull’ultimo giorno del Copenhell accompagna l’entrata in scena dei SATYRICON. La folla si accalca al Pandaemonium Stage e sarebbe stato forse appropriato qualche maxischermo per chi, come me, è rimasto bloccato lontano dal palco. La storica band black suona soprattutto pezzi recenti come Midnight Serpent e Our World, It Rumbles Tonight e gli immancabili K.I.N.G. e Mother North. Sia Satyr che Frost riescono a sprizzare atmosfera black da ogni poro, complice anche la temperatura esterna che si abbassa parecchio. Non manca il tributo a Vinnie Paul, venuto a mancare lo stesso giorno, ed un ricordo del loro primo tour con i Pantera.
Siamo ormai agli sgoccioli ed io mi appresto a tornare in tenda, aspettando l’alba ed il treno che mi porterà a casa. Noto che mancano però ancora i GHOST, band di cui non sono mai stato un grosso fan. Mi decido per guardarli, almeno per passare qualche ora sveglio prima di crollare durante il viaggio di ritorno. Vi è mai capitato di cambiare radicalmente idea su una band dopo averli visti live? Perché i Ghost si presentano vestiti impeccabilmente su un palco, forti del nuovo Prequelle. La scena che mi si presenta davanti agli occhi è incantevole ed irresistibile: un palco addobbato con scale e sfondi suggestivi che mi ricordano l’esibizione di King Diamond, costumi altrettanto suggestivi ed una presenza scenica che ricorda sia la leggenda danese che Bruce Dickinson. Il cantante Tobias Forge, sotto la guisa di Cardinal Copia, balla e si muove con leggiadria da una parte all’altra del palco, comunica con piacere con il pubblico ed ha questo accento vagamente italiano che fa parte del personaggio. Le canzoni mi colpiscono come batoste, nonostante la loro orecchiabilità. Cirice e Square Hammer le mie preferite, nonché Ritual e l’evocativa Year Zero. Da qui partirà per me un’ossessione per questa band scoperta dal vivo che durerà ancora per mesi, e che renderà difficile ascoltare altre band, come se fosse un tormentone estivo. Chiude il concerto il desiderio del cantante, che mi è rimasto impresso: “Questa sera voglio che torniate a casa o in tenda, e che da soli o con il vostro partner vi regaliate un orgasmo. Perché ve lo siete meritati”.
CONCLUSIONE
Termina dunque questo primo Copenhell. Che dire, è stata un’esperienza sicuramente positiva ed una delle poche volte in cui riesco finalmente ad assistere ad un festival nordico. L’organizzazione è ineccepibile, soprattutto sotto l’aspetto igiene: bagni sempre pulitissimi ed anche a terra era difficile trovare rifiuti, grazie al sistema di recupero della caparra per ogni singolo bicchiere. Aspetto dunque le 4 del mattino, quando il cielo si schiarisce abbastanza da permettermi di smontare la tenda e lanciarla allegramente nella spazzatura. Alle 5 e mezza mi tocca il treno per Göteborg, sul quale faccio amicizia con alcuni svedesi che hanno deciso di prolungare la sbronza dalla sera prima per tutto il viaggio fino all’arrivo alle proprie abitazioni. Mi unisco in questo splendido ideale e alcol e stanchezza contribuiscono a fare del mio viaggio di ritorno un ricordo abbastanza confuso.