Live Report: Crashdïet + Poison Rose @ Legend Club, Milano – 28 maggio 2022
Serata sleaze al Legend di Milano. Tornano in Italia gli allegri glamster svedesi Crashdïet per promuovere il nuovissimo album Automaton, seconda produzione con alla voce il giovane e adrenalinico Gabriel Keyes.
Non si può negare il piacere di rivedere finalmente il colorato popolo dell’hard rock ritrovarsi nel locale milanese, dove, tra un tuono e un fulmine, in vero più scenografici che concreti, si affolla una variegata umanità fatta di giovani filologicamente saltati fuori dal Sunset Strip del 1986 e di più attempati rocker che a quegl’anni devono la nascita di una delle passioni della vita.
Genere retro ma ormai eternatosi, lo street metal (così era chiamato ai tempi sulle riviste specializzate) riesce ancora a raccogliere consensi, certo lontanissimi dalle arene che furono ma forse per questo ancor più convinti e sinceri. In questo, i Crashdïet sono tra le punte di diamante di quella new wave scandinava, fatta dei vari H.E.A.T. Eclipse o Hardcore Superstar, che oscilla tra hard rock di classe e, appunto, sleaze metal slabbrato.
La maggior parte del pubblico si gode l’inattesa, ma desiderata, frescura del Parco Nord quando i Poison Rose di Marco Sivo (uno che militava nei Time Machine, tanto per dire) salgono sulle assi del palco del Legend. Hard rock di classe con venature americanegianti e accenni più heavy, la proposta dei Poison Rose esce dinamica e accattivante dalle casse del locale milanese. La sensazione è quella di una ottima band, ben rodata e dalle buone potenzalità di scrittura, che meriterebbe qualcosa di più di un distratto ascolto tra una birra e due chiacchiere sull’eyeliner. Da rivedere volentieri.
Sono le 22:20 quando i Crashdïet salgono sul palco. Pochi fronzoli ed è subito Together Whatever: i suoni sono impastati e l’impatto ne risente, ma la band tira dritto senza batter ciglio e travolge i presenti con le dure Down with the Dust e, soprattutto, Reptile, anche se la qualità e il groove della successiva Cocaine Cowboys suonano di tutt’altro livello.
E finalmente il pubblico inizia a saltare, divertendosi un mondo, che poi è quello che si chiede a questi quattro scalmanati svedesi, che non saranno dei gran musicisti ma certamente sanno fare party. Gabriel Keyes offre una prestazione generosa ma imprecisa, spesso in affanno sulle note alte: certo non lesina headbanging e non risparmia una goccia di sudore, ma ancora deve imparare appieno la difficile arte del frontman.
Martin Sweet è la chitarra giusta per la band giusta: ha sostanzialmente un suono solo, ben distorto, ma è quello che deve essere. Peter London al basso suona l’essenziale richiesto dal genere, mentre Eric Young dietro le pelli è un bel martello da 4/4 che avrebbe anche potuto risparmiare al pubblico un assolo inutile e non esattamente preciso.
Va detto, però, che il terzetto In the Raw (dal gran chorus), Tikket e Riot in Everyone non fa prigionieri. Il pubblico è ormai in buona simbiosi con la band e accoglie a gran voce la buona cover di Territorial Pissing dei Nirvana, cantata da Sweet e London: suoni duri, distortissimi, sporcizia esecutiva, caos sonoro. Va benissimo così. Soltanto, il vecchio rocker, che ben ricorda i giorni della pubblicazione del pezzo su Nevermind (1991), si chiede cosa avrebbe pensato Kurt Cobain al vedere il pubblico di un genere che lui ha contribuito ad affossare scatenarsi proprio con una sua canzone.
It’s a Miracle rallenta un po’ le danze, ma la bella No Man’s Land, il singolo che fu Chemical e l’ormai classica Beautiful Pain riescono a mantenere alta la tensione e divertire le chiome fluenti che sono e che furono.
Gran finale con tre dei pezzi migliori degli svedesi: Breakin’ the Chainz (grandissima lezione di sleaze), Queen Obscene (malata e coinvolgente) e Generation Wild (dal refrain irresistibile) portano il pubblico alla temperatura di combustione. Peccato che proprio al suo apice di coinvolgimento il concerto finisca: sono le 23:35. Un’ora e un quarto per quindici canzoni sa un po’ di coito interrotto: e per una band che fa della lascivia una delle proprie caratteristiche suona come una contraddizione in essere.
Ma il Legend non si lamenta e tributa agli svedesi un saluto caloroso, meritato più per la qualità dei pezzi suonati che per il come sono stati eseguiti. I Crashdïet sono così: sporchi e diretti. Alla fine, non si deve chiedere molto di più a una (eccellente) band sleaze. Sempre piacevoli.
Setlist
Together Whatever
Down with the Dust
Reptile
Cocaine Cowboys
In the Raw
Tikket
Riot in Everyone
Territorial Pissing
It’s a Miracle
No Man’s Land
Chemical
Beautiful Pain
Breakin’ the Chainz
Queen Obscene
Generation Wild