Live Report: Dark Tranquillity a Romagnano Sesia
DARK TRANQUILLITY + ACYL + AMORAL+LEHMANN
13/11/2014 @Rock ‘n’ Roll Arena, Romagnano Sesia
Ebbene sì, i maestri del Melodic Death Metal, nonostante le oltre 150 date già sostenute per il lancio del loro ultimo album “Construct“, non si fermano a meditare sui successi raggiunti ma proseguono con un’incessante attività live. Anche stavolta la location scelta per il Nord Italia è la Rock’n’Roll Arena, già teatro del terremotante show del novembre 2013. Nel frattempo i Nostri hanno avuto modo di modificare la scaletta (questo secondo giro di eventi live prende, in effetti, il nome di “Uniformity Tour”) e, in aggiunta, ci consentono di apprezzare addirittura tre gruppi spalla di genere e provenienza decisamente eterogenei. Parecchia carne al fuoco, insomma, vediamo quindi più nel dettaglio le suggestioni che ci ha saputo regalare questa serata… .
Entriamo nel locale novarese alle 20:20, purtroppo in lieve ritardo sulla nostra tabella di marcia, e veniamo accolti dalla potente musica dei Lehmann, progetto del poliedrico musicista Mat Lehmann (già bassista e voce della thrash metal band romagnola Neurasthenia e particolarmente noto per il suo contributo al basso in “The King of Metal”, album targato 2012 dell’ex-Maiden Blaze Bailey). Mats, stasera, è invece impegnato nel ruolo di cantante nonchè leader di questa formazione, nata nel 2013 e con per ora all’attivo il debut “Lehmanized“, album con cui i bolognesi riscosso consensi a livello internazionale come evidenziato dal recente tour da headliner in Russia. Il sound si discosta dal thrash più classico andando ad incorporare elementi groove metal e sfumature elettroniche che ne arricchiscono la proposta. Peccato essere arrivati un po’ tardi ed aver ascoltato solo gli ultimi 5 minuti della loro esibizione. A questo punto della serata, sebbene il pubblico presente non sia molto numeroso, i Lehmann fanno buon uso del tempo a loro disposizione e si guadagnano un meritato applauso.
Mano a mano che gli spettatori affluiscono arriva il turno dei franco-algerini Acyl (“genuino” in lingua araba), giovane e talentuosa band che potremmo definire Ethnic Metal. L’idea alla base del progetto è alquanto intrigante: unire le moderne sonorità metal alla musica tradizionale berbera dell’area del Maghreb utilizzando i tipici strumenti sia a fiato che a corda, nonchè ipnotici cori eseguiti all’unisono da tutti i componenti. Questa alchimia, oltre ad essere originale, rende l’ascolto gradevolmente vario e stimolante. Se già con il primo EP “The Angel’s Sin” si rimane affascinati dalle atmosfere sahariane che si alternano a sferzate metalliche di grande impatto, è però con il successivo LP “Algebra” che la ricetta viene messa a punto e gli ingredienti raggiungono il perfetto amalgama. Il disco, uscito nel 2012 e e rimasto in ogni caso in ambito underground, potrebbe essere considerato (tanto per rimanere in tema) un’oasi nel deserto per quegli ascoltatori alla ricerca di nuove suggestioni. L’impatto live è molto buono grazie anche ai suoni ben bilanciati ed i presenti sembrano fin dalle prime battute incuriositi da questo tipo di sperimentazione. Amine, il cantante solista, passa con disinvoltura dal cantato pulito alle harsh vocals e tutta la band dimostra di avere la giusta attitudine coinvolgendo gli astanti in frequenti battimani utili anche a dar maggior vigore ai brani. Durante i momenti di maggior folklore maghrebino i Nostri accennano alcuni passi di danza rendendo l’esperienza visiva piacevolmente singolare. Parlando delle singole canzoni, “The Angel’s Sin” ammalia per poi indurirsi nel finale scatenando l’headbanging generale. A detta di chi scrive, l’apice della setlist si raggiunge con l’accoppiata “Head on Crash” – “Ungratefulness”, probabilmente il manifesto ideale dello stile Acyl. Il pubblico, ora piuttosto nutrito, risponde partecipe alle sollecitazioni di Amine e soci per poi acclamare questo giovane gruppo che indubbiamente si sarà guadagnato qualche nuovo fan anche tra chi non li conosceva. Speriamo, magari con un minutaggio maggiore rispetto alla mezz’ora di oggi, di poterli rivedere presto da queste parti!
Dopo un soundcheck piuttosto veloce ecco arrivare sul palco alle 21:20 i finlandesi Amoral. La band, autrice tra il 2004 e il 2007 di tre apprezzati album technical death metal, fece discutere gli appassionati per la sostituzione del dimissionario cantante Niko Kalliojarvi con l’allora fresco vincitore del talent show “Idols” Ari Koivunen. A ciò seguì un repentino cambio di stile che portò i finlandesi a sfornare tre album catalogabili come una via di mezzo tra moderno hard rock e power metal. Questa scelta scontentò alcuni fan della prima ora per quanto, approcciandosi al nuovo corso senza pregiudizi, appaia onesto riconoscere che la nuova formula funzioni, in particolare per quanto riguarda gli ultimi due full length: “Beneath” ed il nuovissimo “Fallen Leaves & Dead Sparrows”. Dal vivo, fin dall’iniziale “No Familar Faces”, il quintetto nordico dimostra di saper fare molto bene il proprio mestiere. I suoni, buoni come con le precedenti esibizioni, aiutano la band a mettere in risalto le capacità dei singoli musicisti, su tutti i due axemen Masi Hukari ed il pirotecnico Ben Varon, vero leader “tecnico” dell’ensemble. Si prosegue con l’ottima “Prolong a Stay”, anch’essa estratta dall’ultimo LP, la quale dà modo ad Ari di spazzare via qualsiasi perplessità riguardo le proprie doti canore. Del resto non è dappertutto come in Italia; altrove (e non è la prima volta) nei talent possono fare strada anche dei veri artisti. Una intro di archi campionata introduce il vero masterpiece del repertorio, quella “Beneath” che non può lasciare indifferente neanche il più scettico tra i presenti. Ancora chitarra solista sugli scudi con riff al fulmicotone ed un assolo di grande gusto; al resto ci pensa Ari, autore di un’interpretazione molto sentita che culmina con una breve sfuriata in growl, a dimostrazione di una buona versatilità. Arriva il momento dell’emozionante singolo “If Not Here, Where?” e il locale si è ormai riempito, forse non a livelli da sold out ma non ci si può certo lamentare. Lo show prosegue con una manciata di pezzi estratti dai lavori più recenti, all’interno dei quali si fa largo una certa vena prog che permette ancora una volta alle chitarre di sfoggiare dei bellissimi assoli, come nell’articolata “On the Other Side”. Gli spettatori apprezzano e anche in questo caso regalano un lungo e meritato applauso ai ragazzi visibilmente soddisfatti. Possiamo tranquillamente affermare che i cosidetti “Special Guests” hanno svolto il proprio dovere di apripista oltre le più rosee aspettative. Cosa aspettarsi ora dai mitici Dark Tranquillity?
Durante la trepidante attesa viene proiettato un conto alla rovescia; idea carina, non fosse che al termine dello stesso non accada nulla! Anzi, dopo qualche attimo, ne comincia un altro nel disappunto generale. Alle 23 ecco finalmente giungere sul palco i padri del Melodic Death Metal, prima i quattro musicisti (non c’è il basso, sostituito già da tempo da arrangiamenti con soluzioni campionate) e, giusto in tempo per l’attacco di “The Science of Noise”, l’imprescindibile Mikael Stanne. L’accoglienza, come è lecito aspettarsi, è fragorosa e il carismatico frontman dimostra fin da subito la propria disponibilità stringendo la mano praticamente a tutta la prima fila. La resa di questo primo pezzo è un filo penalizzata dai suoni non proprio pulitissimi, ma già con la successiva, splendida “Damage Done” è tutto sistemato. Jivarp da dietro le pelli conferma quanto di buono si dica di lui menando fendenti con precisione chirurgica. Fondamentale l’apporto di Martin Brandstrom alle tastiere, elemento che nel corso degli anni ha assunto un peso specifico sempre maggiore nell’economia delle nuove composizioni. Cosa aggiungere, senza scadere nel banale, parlando della coppia Henriksson – Sundin? I due chitarristi non sbagliano un colpo, riversando sulla folla adorante un fiume di riff ed accordi eseguiti con la perizia che da sempre li contraddistingue, dando sempre al sound la necessaria compattezza. Proseguendo con “What Only You Know”, Stanne ha modo di cimentarsi con il cantato pulito, specialità nella quale eccelle fin dai tempi di “Projector“. All’annuncio della grintosa “The Lesser Faith” la platea esplode in un boato; questo sarà solo il primo dei ben cinque estratti dal potente album del 2007 “Fiction“. La scaletta è infatti incentrata per la maggior parte sui successi di quel periodo oltre che, ovviamente, sull’ultima fatica dei Nostri, quel “Construct” che tanto ha fatto discutere al momento della sua uscita (primavera 2013). La sensazione è quella di un pubblico che ha metabolizzato la maggiore ricerca della melodia presente in quest’ultima release (o almeno questo è quanto si può dedurre dall’ottima accoglienza che viene riservata a brani quali “State of Trust”, “Uniformity” e la trascinante “Endtime Hearts”). Con l’indimenticata “The Wonders at Your Feet” facciamo un tuffo all’inizio del 2000, anno di uscita di “Haven“. Stanne, perfettamente a suo agio nell’accentrare su di sè la maggior parte degli sguardi, tiene la scena da vero maestro dell’entertainment e con l’immancabile “The Mundane and the Magic” ricorre ad un divertente escamotage: nelle parti con voce femminile porge il microfono a un paio di ragazze in prima fila, ma ovviamente c’è il trucco; la voce che udiamo è quella (registrata) di Nell Sigland dei Theatre of Tragedy, che prestò la sua ugola angelica per questo azzeccatissimo duetto. La trovata fa in ogni caso il suo effetto e contribuisce ancor di più all’empatia che la band sa creare con i fan. La combo “The Treason Wall” – “White Noise/Black Silence” non fa prigionieri e “ThereIn” rappresenta l’unica gradita incursione negli anni ’90. Con una fantastica esecuzione di “Terminus (Where Death is Most Alive)” la serata si incendia ancor di più: il growl feroce, unito alle contaminazioni elettroniche di questo autentico masterpiece, porta l’esaltazione generale a picchi notevoli. Il moshpit nelle prime file si fa sempre più forsennato e la successiva “Focus Shift” di certo non abbassa i toni. Il rossocrinito singer ringrazia ripetutamente i presenti e in generale l’Italia, che da sempre sa offrir loro una più che calorosa accoglienza. “Final Resistance” offre l’ennesima performance da brivido e la già citata “Endtime Hearts” non sfigura di fianco ai capolavori del decennio scorso grazie anche alle accattivanti melodie intessute da Brandstrom. La conclusione dello show è affidata ad una terremotante interpretazione di un ulteriore estratto da “Fiction”, “Misery’s Crown”, al termine del quale la band ed in particolare Stanne tributano la platea coi ringraziamenti di rito per poi scomparire. Peccato, perchè dopo solo un’ora e 20 di esibizione un bis ci sarebbe potuto stare, vista anche la forma smagliante con la quale i nostri eroi hanno fatto ritorno nel Belpaese. Qualche disappunto serpeggia tra i fan più nostalgici per l’assenza di brani antecedenti a “Projector”. Classici come “Lethe” e “Punish my Heaven” infatti sono stati eclusi dalla setlist, ma in questa serata trascorsa alla Rock’n’Roll Arena c’è comunque molto per poter essere soddisfatti. La resa sonora è stata ottima sin dal nostro arrivo e ha consentito di apprezzare al meglio realtà diverse le une dalle altre, ma tutte accomunate da grande disponibilità e passione. E’ poi sempre un piacere constatare che, malgrado l’incessante attività live, i Dark Tranquillity si mantengano su livelli qualitativi eccelsi, confermandosi in grado di emozionare sia l’appassionato più incallito che il giovane metal kid. Per chi ipotizzava una presunta fase calante della carriera, eventi come questo sono la miglior risposta.
Setlist:
01. The Science of Noise
02. Damage Done
03. What Only You Know
04. The Lesser Faith
05. The Wonders at Your Feet
06. The Mundane and the Magic
07. The Treason Wall
08. White Noise/Black Silence
09. State of Trust
10. ThereIn
11. Terminus (Where Death Is Most Alive)
12. Focus Shift
13. Uniformity
14. Final Resistance
15. Endtime Hearts
16. Misery’s Crown
Live Report a cura di Alberto Arnoldi