Live Report: Dead Poet Society +Ready The Prince @ Legend Club, Milano – 20/02/2024

Di Davide Sciaky - 2 Marzo 2024 - 17:08
Live Report: Dead Poet Society +Ready The Prince @ Legend Club, Milano – 20/02/2024

Live Report: Dead Poet Society +Ready The Prince @ Legend Club, Milano – 20/02/2024
a cura di Valeria Usiello

Una tipica sera fresca e nebbiosa, che riprende perfettamente la locandina del tour, crea la giusta atmosfera intorno al Parco Nord per accogliere i Dead Poet Society che fanno tappa al Legend di Milano per l’unica data italiana del “The Fission Tour 2024”.
In apertura i canadesi Ready the Prince.

Ready The Prince

Si presentano come la nuova ‘Mafia Rock’ i canadesi Ready The Prince: con un messaggio semplice e diretto mandano al diavolo quella che viene generalmente considerata musica rock. Non le mandano a dire, loro rappresentano qualcosa in cui credere e per cui lottare.

Arrivano dai club underground in cui hanno fatto pratica e l’energia, l’esperienza e la musicalità che esibiscono sul palco riesce a coinvolgere da subito il giovanissimo pubblico che ha fatto quasi registrare un sold out per la data italiana.

Si dichiarano da subito soddisfatti della reazione dei presenti, definendo Milano il ‘miglior pubblico sino ad ora!’, tanto da allungare di un paio di pezzi la scaletta presentata negli show precedenti. Tra tutte, degna di nota ‘Backslider’, canzone quasi evocativa dell’emo pop-punk di Pierce The Veil con una impostazione rock tagliente, e soprattutto con Daniel Prada che suona magistralmente alla chitarra.

​Hanno rivoluzionato l’idea di musica rock, portando in scena energia e l’atmosfera tipica dei live Hip Hop, con una cruda interpretazione che genera veramente una ventata di freschezza. Sin dai primi secondi del concerto i suoni di chitarra prolungati, assieme ad una linea di basso quasi rimbalzante, hanno fatto emergere la voce di Stephen DeCiantis ferita e insanguinata. Sembra si basino costantemente sulla musica piuttosto che semplicemente farne parte. E risultano immensamente potenti. Gli strumenti risultano quasi attenuati in loro presenza mentre emerge la furia dell’esibizione. La transizione dalle strofe ai ritornelli aggiunge un altro livello di complessità mentre la voce inizia a rompersi e a distorcersi. Riflettono il desiderio di liberazione, creano una sensazione quasi involontaria di disagio, un’angoscia profondamente viscerale, che lascia inconsciamente disturbati ma stranamente dipendenti.
“Sto combattendo con i miei denti, le mie ossa e il mio cuore di pietra”, grida Steve, dando letteralmente tutto alla canzone mentre la band ti urla nelle orecchie.

Con questo set breve ma intenso, i Ready the Prince hanno dimostrato di incarnare ciò che significa essere vivi nel 2020: ossia essere pieni di dolore, rabbia e caos.
Se questo è il futuro della musica rock, allora potete contare su di me, ci sarò!

SETLIST

1. ŌJI
2. Dead Roads
3. Pb&j
4. Sabertooth
5. Pray
6. Torn Up
7. Backslider
8. Lightning

 

Dead Poet Society

Se appartieni alla lista di persone che affermano che il rock n roll è morto, allora non stai ascoltando la musica giusta!

I giovani rocker Dead Poet Society provengono da Boston, Massachusetts: indossano magliette e jeans, salgono sul palco con il loro inno “Hard to Be God” e dopo due minuti di esibizione hanno già regalato al pubblico un inaspettato crowdsurfing.
L’energia è stata istantanea. Il pubblico si lasciato coinvolgere e si è nutrito di musica per tutta la serata esprimendo il proprio gradimento con un costante headbanging.

Attraverso brani come “.CoDA” e “.SALT”. il pubblico – e la band pure! – sono esplosi in una frenesia che ricorda i primi giorni dei Rage Against the Machine. Passando per “Lo Air” e .SALT., le influenze e le capacità dei Dead Poet Society sono chiaramente emerse dimotrando come il quartetto californiano prenda ispirazione dalle band classiche Green Day, Red Hot Chilli Peppers, Linkin Park e Rage Against the Machine, utilizzando gli elementi migliori di ciascuno per creare il proprio suono distinto ma familiare.
Il bello di Dead Poet Society è che per ogni riff e ritornello c’è la stessa attenzione e lo stesso peso dato ai testi e al significato delle canzoni. Attingono chiaramente dai migliori elementi del movimento Shoegaze e li fondono con il Desert rock, trovando un modo per far tremare il cranio attraverso il lavoro di batteria e basso mentre le chitarre Spaghetti Western elevano l’esperienza dal vivo al livello per cui ogni pelo del corpo sta sull’attenti.
.AmericanBlood. e I Never Loved Myself Like I Loved You sottolineano davvero l’enorme potenziale di crossover di questa band, con massicci ritornelli da cantare insieme all’onnipresente genialità della chitarra, prima di concludere con il loro brano più importante .CoDA., ritorno ai suoni del selvaggio West intrisi di punk che hanno aperto il set.
Con .intoodeep. è invece emerso in chiusura del Bis il lato più pesante della band: le chitarre ardenti e la batteria hanno scosso l’intero edificio, la voce inquietante del frontman Jack Underkofler ha echeggiato nella stanza regalamndo al pubblico il finale perfetto.

Non sono mancati suoni di chitarra western infusi di America, del tipo che sentiresti all’inizio di uno dei classici film di cowboy. Una versione più morbida e allo stesso tempo più pesante della musica rock, per quanto paradossale possa sembrare, i Dead Poet Society non hanno paura di rallentare una canzone subito prima di lanciarsi in un’ondata di rumore per mantenere il flusso del concerto a livelli di marea, incanalando suoni diversi. superano le barriere che ci aspettiamo dalla maggior parte delle band. Quei cambiamenti hanno costantemente fatto rimbalzare la folla.

Per quanto riguarda la presenza sul palco, il bassista Nick Taylor porta avanti lo spettacolo con l’energia rock della vecchia scuola. Il suo movimento elettrico sul palco trasmette l’idea che non ci sarebbe musica senza movimento: dall’apertura alla chiusura del set, il suo corpo e la chitarra vorticavano in un’unica, inarrestabile entità che coinvolge il pubblico con la sua inarrestabile energia. Underkofler ha un fascino e una passione, anche se diversi da quelli di Taylor, facili da seguire e divertenti da guardare. Jack Collins alla chitarra e Will Goodroad alla batteria portano sul palco un’atmosfera californiana dal taglio deciso, un’energia che ben si abbina ai toni più pesanti di Underkofler e Taylor. Sarei negligente se non menzionassi la performance estremamente energica del bassista Dylan Brenner. Dalla prima nota alla fine, Brenner lascia tutto sul palco. È estremamente talentuoso, ma le sue capacità prestazionali sono altrettanto forti. Le sue linee di basso sconvolgenti e accordate, combinate con quell’energia grezza, dovrebbero rappresentare un esempio per i bassisti più stoici del mondo.

La forza di questa band, come di tutte le migliori band rock, sta nel modo in cui combinano il brutale con il bello. Underkofler ha un’estensione vocale straordinaria, capace di passare dall’urlo alla malinconia in un solo battito cardiaco. Anche la band dietro di lui sa come impostare quella scena, essendo per la maggior parte caotica ad alta energia, ma anche guardando attentamente la folla dove appropriato.

Il set di stasera grida davvero grandezza futura molto forte. C’è chiaramente un talento fenomenale qui, e il modo di scrivere canzoni e la musicalità sono sorprendenti. Ci sono molte direzioni in cui potenzialmente può prendere il loro suono.

Scommetto che la prossima volta che passeranno da Milano sarà in una sede più grande.
E io sarò lì.

 

SETLIST

1. Hard to Be God
2. Running in Circles
3. I hope you hate me.
4. .AmericanBlood.
5. HURT
6. Animation
7. 81 Tonnes
8. I Never Loved Myself Like I Loved You
9. .SALT.
10. Lo Air
11. .CoDA.

12. My Condition
13. .intodeep.