Progressive

Live Report: Devin Townsend + Periphery a Milano

Di Stefano Burini - 14 Marzo 2015 - 15:20
Live Report: Devin Townsend + Periphery a Milano

DEVIN TOWNSEND PROJECT + PERIPHERY + SHINING

08/03/2015 @Live Club, Trezzo Sull’Adda (MI)
 

 

Locandina DTP

 

Devin Townsend Project e Periphery, cui si sommano quei mattoidi degli Shining (quelli norvegesi, sostanzialmente jazzisti prestati al metallo più psicotico, non gli Shining svedesi ex blackster): una tripletta a base di genio (tanto) e sregolatezza (altrettanta se non di più) da non mancare a meno di ragioni più che valide (tipo comete che abbiamo colpito la vostra casa nelle ore precedenti lo show). Inutile dire che le aspettative, vista la qualità e il talento messi in campo da ognuna delle tre formazioni, erano elevatissime. Vediamo un po’ com’è andata…
 


 

I primi a fare irruzione sul palco sono i norvegesi Shining, capitanati dal cantante e polistrumentista Jørgen Munkeby, con il loro jazz metal brutale e de-regolato. I quattro musicisti, estremamente concentrati e tutti di nero vestiti, destano sin dai primi istanti una buonissima impressione grazie al feroce impatto di una proposta dominata da un’impostazione ritmica e strutturale di matrice jazz, colorata in maniera unica dal growl/scream follemente aggressivo di Munkeby. Lo show dei norvegesi, più che ad un “normale” (aggettivo quantomai fuoriposto in una serata come questa, NdR) concerto rock o metal, si avvicina più ad un esibizione di arte avanguardista eppure il pubblico – già piuttosto numeroso nonostante i “big” siano ancora ben lungi dal salire on stage – dimostra di apprezzare moltissimo a suon di urla ed applausi, con particolare menzione per il vero e proprio boato in occasione del primo assolo di sassofono ad opera di Munkeby. Se il – legittimo – obiettivo degli Shining era quello di ottenere l’attenzione e l’approvazione del pubblico italiano, l’impresa può dirsi certamente riuscita: saranno in molti, tra i presenti, ad inserire lo spettacolo dei norvegesi nel novero dei “must” e a passare parola: fenomeni!
 


 

Dopo circa mezz’ora di pausa dalla fine del terremotante show ad opera dei norvegesi, tocca ai Periphery. La sala del Live è bella piena e sono davvero in tanti, tra i presenti, ad essere accorsi in quel di Trezzo Sull’Adda per vedere all’opera i ragazzi del Maryland. L’entrata in scena del sestetto viene salutata con grande entusiasmo da tutto il pubblico e se, in generale, la band si presenta all’appuntamento con una mise piuttosto sobria, lo stesso non si può dire di Spencer Sotelo e della sua sua discutibile chioma rosa shocking, alla maniera del peggior Jared Leto. Considerazioni stilistiche (e cromatiche) a parte, va detto che l’esibizione degli americani parte un po’ in sordina, sia a causa di un settaggio dei suoni non ottimale – ma per fortuna migliorato nel volgere di pochi minuti – sia a causa di una scaletta inizialmente incentrata su alcuni dei pezzi più cruenti e meno adatti ad essere riproposti in sede live della loro già vasta discografia (come “Icarus Lives!”, dal debut omonimo e “Make Total Destroy” da “II“). Le cose vanno decisamente meglio quando i Periphery mettono in campo brani più catchy e melodici, apprezzatissimi dal pubblico e sulle cui note è stato possibile avere una graditissima conferma in relazione alle doti vocali di Spencer Sotelo, davvero fenomenale nell’intonare con grande pathos le complesse linee vocali di pezzi come “Alpha” e la favolosa “22 Faces” (da “Juggernaut: Alpha“). La proposta dei Periphery è ostica e colma di sfaccettature, tutt’altro che semplice da rendere appieno dal vivo eppure, al netto di un incipit non brillantissimo  Misha Mansoor e compagnia hanno dimostrato di saperci fare; la speranza è di poterli ri-vedere a breve in veste di headliner, con più tempo a disposizione e con una scaletta maggiormente incentrata sull’impatto.


 

Come da tradizione l’entrata in scena del genio canadese è preceduta dalla proiezione di una lunga serie di divertentissimi fotomontaggi che vedono protagonisti Devin e l’ormai immancabile Ziltoid intenti a rivisitare numerose sequenze con mostri & mostriciattoli del piccolo e del grande schermo. Da Alien fino a Jabba The Huttpassando per Darth Vader e pure per una sagace rivisitazione della leggendaria copertina di “Spiritual Healing” dei Death, la follia e l’autoironia di Devin vengono molto apprezzate dai presenti che non mancano di sottolinearlo a suon di fragorose risate. Il tempo scorre quindi veloce e alle 22 e 30 giunge finalmente l’ora degli attesissimi headliner della serata. Rispetto alle band che li hanno preceduti, Devin Townsend e i suoi fidi scudieri (con il reintegro in formazione, per il presente tour, di un tastierista) oltre che sulla qualità della proposta e su di una fortissima e collaudata presenza scenica, fanno affidamento su due schermi montati a fondol palco tramite i quali lo show sfonda la barriera musicale diventando un’esperienza visiva e sensoriale a tutto tondo. Devin, per l’occasione, propone una scaletta decisamente eterogenea andando a pescare alcuni brani dagli albori della propria carriera e – anzi- prediligendo canzoni mai eseguite dal vivo prima d’ora. A fianco dei preventivabili estratti dagli ultimi parti da studio, trovano quindi posto grandi classici del passato come “Truth” e “Christeen” (entrambi dall’ormai vetusto “Infinity”, 1998), “Namaste” (da “Psychist”, 2000) e “Night” (da “Ocean Machine”, debutto del Townsend solista targato 1997), apprezzatissimi dallo stuolo di fanatici giunti a tributare omaggio ad un musicista che dopo quasi vent’anni di onorata carriera sta finalmente ottenendo il giusto riconoscimento. L’ultima parte della carriera del Mad Canadian trova in ogni caso il giusto spazio con “Addicted!” e “Ih-ah!” (doppietta estratta dal secondo album della quadrilogia che segnò il suo ritorno sulle scene dopo la pausa forzosamente autoimpostasi nella seconda metà degli anni 2000), con la divertentissima “Lucky Animals” (da “Epicloud“, con tanto di smorfie e balletti) e con le nuovissime – ed efficacissime – “Fallout” e “Rejoice” (originalmente in duetto con la sempre splendida Anneke Van Giersbergen) e “March Of The Poozers” (per chi vi scrive l’apice assoluto del concerto), tutte quante prese da “Ziltoid 2“. Dopo il rockabilly di “Heatwave” e un breve ma sentito intermezzo acustico (la citata “Ih-ah!”), sulle note della tempestosa “Kingdom” – spesso riproposta in live e recentemente rivisitata anche in studio – si conclude l’ennesimo grande concerto a firma di un artista dai mille volti, in grado come pochi altri di incidere nel panorama del metallo progressivo più moderno e avanguardista e ancora dotato della stessa forza espressiva dei tempi migliori, nonostante i tanti anni di milatanza al servizio della causa. Long live Hevy Devy! 

Setlist:
01. Truth Devin Townsend song)
02. Fallout
03. Namaste (Devin Townsend song)
04. Night(Devin Townsend song)
05. Storm (The Devin Townsend Band cover)
06. Hyperdrive (Devin Townsend song)
07. Rejoice 08. Addicted!
09. March of the Poozers
10. Lucky Animals
11. Heatwave
12. Life (Devin Townsend song)
13. Christeen (Devin Townsend song)
14. Ih-Ah!
15. Kingdom (Devin Townsend song)

Live Report a cura di Stefano Burini