Live Report: Diamond Head @ Traffic Club, Roma – 11/11/18
LIVE REPORT DIAMOND HEAD
TRAFFIC CLUB, ROMA, 11/11/18
Per uno strano scherzo del destino nello stesso giorno, domenica 11 novembre, al Legend di Milano si esibiscono gli Armored Saint di John Bush, mentre al Traffic Club di Roma i Diamond Head capitanati da Brian Tatler. Le similitudini tra le due band sono molte e se gli americani sono stati gli alfieri dell’US power metal anni Ottanta, gli inglesi dal canto loro sono stati i portabandiera della NWOBHM influenzando decine di band a partire dai Metallica. Le carriere di queste due band, anche se diverse tra loro, sono state segnate in modo indelebile dalla sfortuna, che per motivi diversi si è abbattuta su di loro portandole allo scioglimento proprio nel momento in cui altri gruppi venuti dopo stavano spiccando il volo verso i vertici delle classifiche.
I Diamond Head, dopo un lungo periodo di pausa durato quasi dieci anni, sono tornati alla grande nel 2016 con lo splendido omonimo album (un disco quasi ai livelli dei primi due capitoli) e con il nuovo arrivato Rasmus Andersen alla voce, un ragazzo danese dotato di un ottimo timbro vocale, non troppo lontano da quello di Sean Harris. Ora alla vigilia del nuovo disco, che sara’ pubblicato nel 2019, la band inglese calca per la prima volta un palco romano, il Traffic. Il compito di scaldare il pubblico, che gradualmente riempie quasi tutto il locale, spetta ai nostrani Adamas, band che propone un metal anni Ottanta un po’ macchinoso e ingenuo che scivola via senza lasciare molto. Molto meglio gli abruzzesi Run Chicken Run che propongono un rock n roll sfacciato, divertente e suonato con competenza ed energia da vendere. Il pubblico apprezza molto applaudendo i simpatici ragazzi con convinzione.
I Diamond Head salgono sul palco poco prima delle 23:00 e il pubblico li accoglie con un boato di approvazione. Inaspettatamente il gruppo attacca con Play It Loud, un brano contenuto nel famoso debutto del 1980, che però tra quelli storici è forse quello di meno presa. Andersen come un generale comanda le operazioni con la sua ugola d’oro e quando parte Borrowed Time veniamo trasportati nella macchina del tempo, che ci catapulta nel 1982. La star sul palco e’indubbiamente Brian Tatler con la sua Flying V nera a tracolla che inanella senza soluzione di continuità un riff storico dietro l’altro e quelle trame tipicamente NWOBHM che hanno influenzato tutto il thrash metal della Bay Area di metà anni ’80. Quando i Diamond Head si cimentano nella famosa Helpless viene automatico pensare alla versione contenuta in “Garage Days” dei Metallica, ma ovviamente la band inglese la suona con piglio più melodico accentuando il groove e le melodie agrodolci. Durante l’esecuzione del brano si scatena il pogo sotto palco e l’atmosfera del locale si scalda oltremodo. La barra della qualità non accenna a scemare ed ecco Tatler che introduce l’arpeggio caldo e romantico di In The Heat of the Night, un brano che ci ricorda come i Led Zeppelin abbiano influenzato le linee melodiche vocali del primo indimenticato singer Sean Harris. Brano da brividi dietro la schiena!
Sebbene il pubblico sembra conoscere solo i classici del gruppo d’Oltremanica, Tatler e soci propongono tre brani dall’ultimo ottimo album del 2016 (il migliore dei tre eseguiti è Bones) e anche se non hanno fatto la storia della nostra musica, sono composizioni di alta qualità e sullo stile dei primi due dischi. Cosa che ci fa ben sperare per il prossimo lavoro in studio del combo britannico. Il concerto è talmente piacevole e trascinante, che mi accorgo che stiamo arrivando di gran carriera verso la fine del live ed ecco che la band spara le ultime letali cartucce, tra cui una devastante It’s Electric, con un assolo al cardiopalma del biondo chitarrista, seguita a ruota dall’esplosiva The Prince. Dulcis in fundo l’anthem per cui i Diamond Head saranno per sempre ricordati, quella Am I Evil? piu’ volte suonata dai Metallica (al Big Four eseguita addirittura da tutte le band in cartellone come bis). Questo brano è stato scritto prendendo come spunto Symptom of the Universe contenuta nel pesantissimo “Sabotage” dei Black Sabbath ed infatti il riff portante è scuro e cupo come quello creato da Tony Iommi nel 1975.
La band si congeda con la scoppiettante Sucking My Love tra gli applausi convinti del numeroso pubblico accorso per questa serata speciale. Il batterista saluta il pubblico ringraziandolo e dicendo che le etichette e le booking agency non esisterebbero senza i fedeli fan, che comprano gli album e i biglietti dei live. Severo, ma giusto.
In un mondo ideale sarebbe stato bello vedere i Diamond Head con gli Armored Saint sullo stesso palco. Sarebbe il raggiungimento del nirvana per noi mortali cresciuti a pane e metal anni Ottanta.
SETLIST:
Play it Loud
Borrowed Time
Sweet and Innocent
Bones
Helpless
In the Heat of the Night
Set My Soul On Fire
Lightining to the Nations
Diamonds
Shoot Out The Lights
It’s Electric
The Prince
Am I Evil?
Sucking My Love