Death

Live Report: Dying Fetus + Karmian + The Modern Age Slavery @ Legend Club, Milano 27/07/2023

Di Giulio Taminelli - 31 Luglio 2023 - 7:43
Live Report: Dying Fetus + Karmian + The Modern Age Slavery @ Legend Club, Milano 27/07/2023

Live Report: Dying Fetus + Karmian + The Modern Age Slavery @ Legend Club, Milano 27/07/2023

La due giorni italiana dei Dying Fetus è stata sicuramente una di quelle occasioni da acquolina in bocca per ogni amante del metal estremo, indipendentemente dal sottogenere preferito.
Nel report di stasera, andremo a sviscerare la seconda data dei “Fetus”, ovvero quella che li ha visti protagonisti sul palco del Legend Club di Milano. Ad aprire la serata Karmian e The Modern Age Slavery, due gruppi che ho onestamente apprezzato parecchio.

Karmian
Il compito di apripista spetta ai Karmian, combo modenese con quasi vent’anni di attività alle spalle che propone uno “Swedish Death Metal from Italy”, di fatto un Death Metal europeo classico con assoli di chitarra abbastanza melodici.
Dal lato live si dimostrano molto attivi sin da subito, con l’asse creato dalla batteria di Nicholas Badiali e le due chitarre di Andrea Baraldi e Michele Perla usato come fondamenta, per dare modo alla voce di Andrea Bertolazzi e al basso di Luca Marmi di testare la resistenza alle vibrazione delle costole dei presenti.
Io l’ho scritto come battuta, ma vi assicuro che le vibrazioni le sentivo veramente.
Nel corso della mezz’ora d’esibizione ho apprezzato parecchio il crescendo di ritmo e, in generale, di “spinta” che ha portato un pubblico inizialmente freddo ad uno stato di esaltazione, con apice di pogo e mani alzate nell’ultima canzone Druids in the Forest.
“Migliori in campo” per questa esibizione il batterista Badiali, un martello pneumatico come se ne vedono pochi, e Bertolazzi al Basso, protagonista sul palco grazie non solo alla sua posizione centrale sul palco ma anche per tecnica, presenza scenica e capacità intrattenitiva.

Scaletta:

The Alliance
Conquering the Plain
The Gaul
Shadow of the Eagles
See No Evil
Total War
Druids in the Forest

The Modern Age Slavery
Passiamo da Modena a Reggio Emilia ma, soprattutto, dal classico al moderno.
I The Modern Age Slavery, in attività dal 2007, presentano sonorità Deathcore che non disdegnano l’uso di basi elettroniche, creando produzioni sicuramente interessanti e piuttosto originali.
Qui a livello di resa live non c’è molto da girarci intorno: il cantante Giovanni Berserk è l’anima stessa dello show. Energico, carichissimo e concentrato sul pubblico dal primo all’ultimo secondo di esibizione. A tal proposito, affronto un argomento a mio avviso spinoso sin da subito. Qualcuno tra il pubblico si è trovato spiazzato da questo modo aggressivo (ovviamente solo dal lato visuale) di presentarsi da parte di “Gio”, soprattutto nei primi pezzi. Istintivamente ammetto di aver avuto anche io questa sensazione ma, riflettendoci, ho deciso che questa cosa mi piace. Il metal deve spiazzare e ogni elemento di sorpresa è una parte di spettacolo che rimane in mente. Per cui bene così, per quanto mi riguarda l’atteggiamento è promosso a pieni voti.
Torniamo al concerto. Anche per questo gruppo l’esibizione sarà di circa mezz’ora, per cui i tempi risulteranno molto serrati e gran parte dei momenti di dialogo palco-pubblico avverranno durante le canzoni stesse.
Ho apprezzato davvero molto la batteria di Federico Leone che, oltre a dimostrare un’ottima tecnica, ha pestato per tutte e sette le canzoni come un fabbro come a voler incassare la batteria nel palco a martellate.
In generale un ottimo groove dato dal lavoro di Bennati al basso e della coppia Cocconi-Cioffi alle chitarre. Ho apprezzato molto questo trio per la voglia dimostrata nell’aiutare il cantante nel far alzare le mani al pubblico o negli inviti al pogo.
Poco da dire se non che ne consiglio la visione live.

Scaletta:

Pro Patria Mori
KLLD
Irradiate All The Earth
Vile Mother Earth
The Reprisal Within
Obedience
Icon of a Dead World

 

Dying Fetus

Ed eccoci giunti agli Headliner. I Dying Fetus non credo che abbiano bisogno di reali presentazioni. Nati nel 1991 nel Maryland, sono famosi nel mondo per l’unione di linee Death Metal di stampo classico, ritmiche groove metal e virtuosismi di alto livello.
Nonostante la fama, i “Fetus” rimangono decisamente con i piedi per terra, tanto che prima dell’esibizione era possibile incontrarli e scambiare qualche chiacchiera con loro al bar.
Dopo una selezione musicale di cambio palco a mio avviso spettacolare, comprendente perle come YMCA e The Boys are Back in Town, finalmente il live ha inizio.
Ingresso sul palco spartano e morigerato, una piccola sistemazione agli strumenti ed è subito terremoto.
Nonostante i mille dettagli che fin da subito investono lo spettatore, la cosa che mi ha colpito maggiormente è stato il growl di John Gallagher. Ok, personaggio notissimo e più che ascoltato tra dischi e riproduzioni in streaming, ma dal vivo il suo cantato è gutturale a livelli inimmaginabili. Sembra uno scarico otturato! Sean Beasley ha un growl classico di ottimo livello, ma posso assicurare che passava quasi in secondo piano.
A livello di tenuta di palco i tre, obbligati anche da batteria e microfoni, manterranno le stesse posizioni per tutta la durata dell’esibizione, ovvero circa un’ora e un quarto.
Questo però non significa che non ci sia stato spettacolo e coinvolgimento, anzi, è proprio la capacità dei Dying Fetus di coinvolgere grazie alle proprie ritmiche ad averli resi così famosi negli anni.
Teste che si muovevano a ritmo, gente ai lati della sala che apprezzava gli assoli più intricati e, in generale, un pubblico ben disposto e partecipe senza quasi nemmeno essere interpellato. Questa è la dimostrazione di come ci siano diversi modi per far divertire la gente ad un concerto. Parlarci insieme è il modo più semplice, ma non l’unico.
Tornando all’esibizione, i Dying Fetus dal vivo hanno una resa perfetta, con canzoni praticamente identiche alle loro versioni registrate. La scaletta seguita ovviamente vede un maggior numero di tracce provenienti da Reign Supreme e Wrong One to Fuck With, gli ultimi due album della Band, ma non mancano pezzi storici come One Shot One Kill di Stop at Nothing e la meravigliosa Grotesque Impalament dell’omonimo album (pezzo particolarmente gradito in sala).
Notevole la chiusura di concerto con l’esecuzione in rapidissima successione di Pissing in the Mainstream e, ovviamente, Kill your Mother, Rape your Dog.
Cosa vi aspettate che vi dica? Che non sono stati all’altezza della propria fama? Che potevano fare di meglio? I Dying Fetus sono delle macchine a prova di errore. Fanno quasi paura da quanto riescono a rendere sul palco. Ovviamente qualche annetto sulle spalle sembrano averne (ho il dubbio che Sean Beasley non si sia spostato dalla sua posizione anche per via del ventilatore che gli donava sollievo dalla calura estiva del Legend) ma assurdamente sembrano non risentirne a livello musicale. Io lo dico, appena ne avrò la possibilità tornerò a sentirli e spero che questo report possa convincere anche i lettori a farlo.

Scaletta:

One Shot, One Kill
Subjected to a Beating
We Are Your Enemy
Unbridled Fury
In the Trenches
Grotesque Impalement
Compulsion for Cruelty
Praise the Lord (Opium of the Masses)
Your Treachery Will Die With You
From Womb to Waste
Wrong One to Fuck With
Kill Your Mother, Rape Your Dog