Live Report: Dying Fetus+Psycroptic+Beyond Creation+Disentomb @Circolo Colony, Brescia 29/10/2017
DYING FETUS – PSYCROPTIC – BEYOND CREATION – DISENTOMB
29/10/2017 @ Circolo Colony, Brescia
Per una serie di sfortunati eventi che non sto qui ad elencare, il sottoscritto non è mai riuscito a vedere dal vivo una delle migliori band in ambito technical death metal: ovvero i Dying Fetus. Ma quando i pianeti si allineano e le cose sembrano andare per il verso giusto, ecco che ti trovi il trio americano suonare a pochi minuti da dove abiti e l’appuntamento diventa assolutamente irrinunciabile.
Il Circolo Colony di Brescia stende dunque il suo tappeto rosso per una passerella che si preannuncia tanto brutale quanto devastante. In ordine di apparizione questa sera si esibiranno: Disentomb, Beyond Creation, Psycroptic ed infine Dying Fetus. Un bill davvero goloso per gli appassionati del genere, i quali non disertano affatto uno degli appuntamenti più importanti di questa stagione autunnale. Stagione ricca di eventi che ha visto e vede tutt’ora il Circolo Colony impegnato ad organizzare concerti di notevole spessore, nonostante le difficoltà riscontrate nel corso dell’anno.
Ma veniamo a noi, a questa rovente serata.
Il quartetto australiano, formatosi nel 2009, si presenta puntuale sul palco e, senza troppi fronzoli, fa detonare il suo brutal death metal di stampo americano su un parterre abbastanza gremito. L’impatto che i Disentomb hanno sul pubblico è buono ed efficace. Nonostante un velo di emozione la band rompe il ghiaccio proponendo una scaletta nella quale si alternano i brani tratti dai due album “Sunken Chambers of Nephilim” e “Misery”. Non c’è nulla di nuovo nel sound dei Disentomb: growl profondo, ritmi ossessivi, rallentamenti granitici e riff accattivanti. I ragazzi sono però bravi nel dosare gli ingredienti di questo mix brutale ottenendo un ottimo risultato che diverte ed, in alcune circostanze, sorprende i presenti. I suoni non sono esattamente equilibrati, un problema che perdurerà sino all’arrivo degli headliner ma che non intacca la pregevole performance del gruppo di Brisbane.
Una buona mezz’ora di headbanging è quel che ci vuole per riscaldare un pubblico che comincia a farsi numeroso.
Se dovessi trovare un paragone alla serata la paragonerei ad un grande e possente ascensore in ascesa: quattro piani dove ad aumentare non è soltanto la capienza di persone ma è soprattutto il livello tecnico delle band che si incontrano. Ci si appresta quindi a raggiungere il secondo piano: Beyond Creation.
Si percepisce subito che tra il pubblico aleggiano grandi aspettative per una band iper tecnica e coinvolgente, molto amata dal popolo del Colony a vedere l’entusiasmo con la quale viene accolta. Tanto giovani quanto bravi: i quattro ragazzi sembra che suonino insieme da una vita vista l’ottima intesa che traspare durante l’esecuzione di ogni brano. La band canadese mette in mostra tanta classe e professionalità, caratteristiche che brillano per tutta la durata del concerto. Anche i Beyond Creation hanno all’attivo due soli full-length (“The Aura” e “Earthborn Evolution”), due fonti ancora attive dalle quali sgorgano eccellenti rivoli melodici che affluiscono in un tortuoso progressive death metal. A differenza dei gruppi proposti, i Beyond Creation mostrano il lato meno feroce della serata ma decisamente il più elegante. Non mancano affatto i momenti frenetici e vigorosi ma ciò che rimane più impresso sono i continui virtuosismi messi in mostra da Simon Girard e soci, nonché un’armonia infettiva che amalgama una performance di tutto rispetto.
Sospinto dal caloroso assenso del pubblico, il quartetto procede spedito verso il traguardo di un’esibizione sorprendente: ’Fundamental Process’ è il solido sigillo che chiude le porte del secondo piano in cui rimbomba ancora l’eco degli applausi.
Le porte dell’ascensore si riaprono per la terza volta, in realtà si spalancano davanti al possente impeto generato dai Psycroptic. Iniziamo dal punto dolente che non riguarda assolutamente la band, ma come detto in precedenza, è la mancanza di ottimizzazione del suono a danneggiare la performance. A risentirne maggiormente è il sound strutturato e robusto della band nel quale viene completamente annientata la profondità sonora. Detto ciò, si può affermare che gli Psycroptic, nonostante tutto, hanno messo in scena un arsenale devastante che rimarrà impresso ai presenti per molto tempo. Tecnica sopraffina, velocità ed una energia straripante sono i tre maggiori indizi che contraddistinguono il famigerato criminale Psycroptic.
Il quartetto australiano, a differenza dei gruppi precedenti, possiede un’esperienza maggiore in ambito live, fattore non da poco. Perfettamente a proprio agio, il gruppo si dimostra come una delle maggiori espressioni moderne di technical death metal: dinamici e virtuosi si prendono la scena davanti ad un pubblico in visibilio.
‘Echoes to Come’ spiana la strada alla marcia travolgente che porterà il quartetto della Tasmania alla conquista di cospicui consensi ed infiniti applausi. I Nostri propongono una scaletta che altro non è che un viaggio temporale nella loro carriera quasi ventennale. La band rispolvera brani come ‘The Colour Of Sleep’ tratta dal secondo full-lenght “The Scepter of the Ancients”, passando per la micidiale “Ob(Servant)” dell’omonimo album datato 2008. Il presente, invece, è rappresentato da pezzi come ‘Carriers of the Plague’ e ‘The World Discarded’, frutti degli ultimi lavori “The Inherited Repression” e “Psycroptic”.
Jason Peppiat è in gran forma: il suo ruvido growl si alterna alle urla graffianti ed a timidi sorrisi. Jason si diverte, è innegabile, aizza la folla, la doma per poi tuffarcisi dentro durante la finale ‘Cold’. Cameron Grant e i fratelli Haley sono i componenti di una dannata orchestra micidiale che macina vertiginose sonorità furenti.
Un concerto travolgente che lascia i presenti quasi appagati, se non fosse per quelle dannate porte che si riaprono: il pulsante Dying Fetus lampeggia, non resta che premere.
Setlist:
01. Echoes To Come
02. Carriers of the Plague
03. Forward to Submission
04. Euphorinasia
05. Ob(Servant)
06. The Colour of Sleep
07. The World Discarded
08. Cold
Benvenuti al quarto ed ultimo piano: livello Dying Fetus.
Trovandomi per la prima volta al cospetto di questi mostri sacri, voglio vedere da vicino, voglio stupirmi e godere, lascio quindi il fondo della sala piazzandomi tra le prime file. Sul palco compaiono i consueti teloni neri sui quali capeggia il logo della band ed, a caratteri cubitali, la scritta WRONG ONE TO FUCK WITH. L’attesa è finita, il trio delle meraviglie sale silenziosamente sul palco per gli ultimi accorgimenti, avvolto da un clima trepidante. Il silenzio prima della tempesta.
‘From Womb to Taste’ è il poderoso pugno con il quale i Dying Fetus aprono il concerto e che arriva dritto dritto sullo stomaco dei presenti. Di fronte a me c’è Sean Beasley che scuote con efferatezza i quattro cavi d’acciaio del suo basso, mentre John Gallagher si è sistemato sull’estremità destra della scena a far impallidire ogni sguardo coi suoi virtuosismi sulle sei corde. Trey Williams, al centro della scena, si sbraccia e si contorce con veemenza ed assoluta precisione in un tripudio di esaltazione totale.
Difficile essere obiettivi dinanzi a tanta tecnica e violenza, facile invece accorgersi, che un miglioramento sonoro c’è stato, risulta percepibile anche da sotto il palco. Il terzetto americano non si perde in chiacchiere ma resta concentrato a rovesciare la propria rabbia e maestria sulla folla indiavolata. I Dying Fetus sono chirurgici sotto l’aspetto esecutivo, a testa bassa e con la massima professionalità scaricano quantità spropositate di adrenalina che scaturisce dai nuovi pezzi ma soprattutto dalle perle del passato. La scaletta assassina toglie il respiro: si passa dai nuovi brani come ‘Fixated on Devastation’ e ‘Induce Terror’ alla grezza e primitiva ‘Grotesque Impalement’ per ripercorrere una carriera lunga ben ventisei anni. “Reign Supreme” è l’album dal quale i Nostri attingono maggiormente lanciando i riff affilati con traiettorie ai limiti del possibile come accade in ‘Invert The Idols’.
Difficile credere che sul palco ci siano solo tre musicisti: è impressionante la densità e la quantità di suoni che, come un idrante completamente aperto, fuoriescono dai tre strumenti calpestando, senza pietà, i timpani dei presenti. L’atmosfera nel pit è circondata dal delirio che si materializza nel consueto pogo spietato, circle-pit continui, un mosh-pit non troppo convinto ed in un autentico sano divertimento.
Per chi ama il death metal, ascoltare e vedere i Dying Fetus credo sia una delle esperienze più piacevoli e complete che si possano fare. Il terzetto offre spunti di ogni tipo: ritmiche tiratissime, rallentamenti mastodontici e stacchi impetuosi, groove entusiasmanti e breakdown esemplari. Tutto ciò è disseminato da una maestria esecutiva decisamente superlativa e priva di sbavature.
La band suona per circa un’ora d’orologio ma la sensazione è che anche le lancette mantengano i ritmi concitati di ogni singolo brano, tanto da non accorgersi che lo show sta per terminare. Grondanti di sudore, John, Sean e Trey si apprestano all’ultima accelerata composta da un trittico eccezionale: ‘Wrong One to Fuck With’, ‘Praise the Lord (Opium of the Masses)’ e ‘Kill Your Mother, Rape Your Dog’. Una successione di hit distruttive che attestano la totale egemonia temporale di questa band straordinaria. Il passato ed il presente appartengono di diritto ai Dying Fetus che mantengono la brillantezza degli albori cristallizzando la propria storia nella clessidra del tempo. Disumani.
Setlist:
01. From Womb to Waste
02. Fixated on Devastation
03. Grotesque Impalement
04. Induce Terror
05. Your Treachery Will Die With You
06. One Shot, One Kill
07. Subjected to a Beating
08. Invert the Idols
09. Seething with Disdain
10. In the Trenches
11. Wrong One to Fuck With
12. Praise the Lord (Opium of the Masses)
13. Kill Your Mother, Rape Your Dog
CONCLUSIONI
Ciascun concerto, è innegabile, genera quella scontata euforia che via via svanisce col passare del tempo. Anche in questo caso si ripeterà la stessa storia ma, a differenza di altre volte, rimarrà certamente la consapevolezza di aver visto tre musicisti eccezionali capaci di scolpire un ricordo irremovibile nella mente dei quasi trecento spettatori.
Il death metal, per quanto roccioso e titanico che sia, ha bisogno di essere sostenuto in qualsiasi modo possibile. Un grazie speciale a chi, ogni giorno, si impegna a compiere questa magnifica impresa anche dal più banale piano terra.