Live Report: Elvenking a Roma
Elvenking + Ruinthrone + Winterage
05/04/2013 @Traffic, Roma (RM)
Sono ancora possibili serate in cui il cerchio del tempo viene spezzato? E nelle quali la notte viene aiutata nell’annullare in vaghezze nascoste lo spazio urbano dei sobborghi? Qualcuno probabilmente è ancora lì, per cui dire eravamo o siamo avrà ben poco senso, con buona pace della grammatica. Siamo a Roma, ai bordi anneriti del Grande Raccordo Anulare, il Traffic Club è un cubicolo ai margini della strada, una scatola magica, di quelle appena sforacchiate e dai cui buchi filtrano luci tenui e polverose. Intorno s’afferma indistinto il non-luogo di un traffico pigro e indolore. È qui che venerdì scorso sono tornati a salutarci gli Elvenking, dopo qualche anno. A fare gli onori di casa, sul palco, una solida emergente realtà romana: i Ruinthrone; per loro serata lancio dell’album d’esordio “Urban Ubris”. A rompere il ghiaccio e sciogliere l’inverno del palco, i genovesi Winterage: per loro un Ep ed una prima cascata di musica d’abbandono, a sciogliere la ciclica promessa dell’inverno di Roma ed il silenzio dei primi avventori. Ma veniamo alla cronaca della serata.
L’attesa si fa subito spasmodica e, come spesso accade nei piccoli club romani, per cercare di avere un pubblico un pizzico più cospicuo, si comincia un po’ più tardi rispetto alle consuetudini dei club del Nord Italia, sicché bisogna attendere le 22.30 per veder salire sul palco i Winterage. I liguri sorprendono immediatamente, in particolare chi non li ha mai visti (come il sottoscritto), per il loro look curato, attinente alla loro musica in pieno stile Folk/Power. La loro line up ricalca, per composizione, quella degli Elvenking: voce, chitarra, basso, violino, batteria e tastiere. Si tratta di un onesto gruppo ancora un pizzico acerbo (solo un demo pubblicato con quattro strumentali su sei tracce), buona tecnica d’insieme e con la propria punta di diamante nel chitarrista solista, addobbato in stile Mago Merlino. La loro proposta musicale è ariosa e piena di richiami alla cultura celtica irlandese con armonizzazioni neoclassiche; durante la serata si sono anche lanciati in un pezzo strumentale, durante il quale hanno dato prova di una ottima tecnica esecutiva. È infine nel loro ultimo brano che si riscontra finalmente una certa originalità compositiva certamente in grado di farlo uscire da un certo cliché ancora forse troppo “omaggiante” gruppi più affermati come, appunto, gli headliner della serata.
Max “Maxthecat” Rutigliano
Dopo i Winterage salgono al proscenio i romani Ruinthrone, capitanati dal frontman Edoardo Gregni, dalla voce potente e tagliente; alle chitarre a sette corde troviamo Nicolò De Maria e Adriano Strinati, al basso Michele Attolino, alle tastiere Giorgio Mannucci e, per la prima volta dal vivo, il nuovo batterista Francesco Commerci dietro alle pelli. Dopo un primo demo che risale addirittura al 2008, finalmente il gruppo pubblica quest’anno il suo primo lavoro “full lenght” “Urban Ubris” per l’etichetta Buil2Kill.
Max “Maxthecat” Rutigliano
Setlist:
01. Summoner
02. Blinded
03. Another cry
04. Throne of your ruin
05. Dance of lights
06. Chant from the sky (feat. Francesca Messali)
Gli Elvenking tornano a suonare per una cifra simbolica (cinque euro per chi è stato in lista; sette al botteghino), che non misconosce la difficoltà dei tempi. Difficile parlare di guadagno per tutti i ragazzi saliti sul palco. Per ciascuno dei tre gruppi è il cuore a comandare le azioni, e la passione a caricare gli animi. Leggenda e realtà si identificano laddove non è fòla che per molti gruppi, anche veterani, anche di lungo corso, ci si trovi a suonare con calore e trasporto per il puro piacere e la gloria intima delle genti. Lasceremo in parte all’immaginazione di ciascuno le maschere, le trovate e gli scherzi teatrali dei sei musicanti friulani per concentrarci sulla musica vera e propria e capire cosa cambia sul palco.
L’impressione immediata è quella di un irrobustimento sonoro. Non si parla solo di potenza quanto anche e soprattutto di “consistenza” del sound. Due chitarre al posto di una non è poco e Raphael non è soggetto passivo e mero esecutore. L’affiatamento con Aydan è certezza ed è appagante ascoltare come l’afflato creativo non si estingua sul palco: i noti confini delle canzoni si fanno mobili rispetto agli album d’origine; estro e creatività ne ridisegnano i contorni ma senza tradirne naturalmente l’identità iniziale. A darne prova sono i brani più “easy listening” della scaletta. “The Cabal” e “The Divided Heart”, quest’ultima ancor più arricchita dall’intreccio delle chitarre appare live molto più ricca e sfumata che sul disco, andando a rabescare con maggior convinzione (per chi scrive) quello che qualcuno accanto a me ha felicemente definito come l’unico momento veramente malinconico della serata. Cuore pulsante sotto una cotta lavorata di corde e accordi è la batteria di Symohn, altra grande novità: quali cambiamenti porterà in sede live l’arrivo di un batterista tecnico e, come preannunciato su disco, dal tocco più ferale? La risposta s’allunga per tutta la scaletta ma va a concentrarsi maggiormente su quei due brani di “Era” che fin da subito avevano il sentore di creature da palco: “Walking Dead” e “We, animals”; cui va ad unirsi “The Loser”, latrice, “per negazione”, di una poetica vincente e positiva della quale Damna si fa da subito portavoce, a sottolineare la libertà intrinseca di una serata dominata dalla musica.
Potenza e consistenza abbiamo scritto. Anche in questo caso non si tratta di portare il metronomo dal cardiologo. Symhon non si limita ad accelerare i ritmi e a pompare sangue nelle arterie musicali. Le sue bacchette cercano spesso gli estremi della batteria. Non disdegnano il suono lieve e quel “tocco in più” di classe per cui “non di sola doppia cassa vive il palco”. È però un’altra la canzone che venerdì sera ha accentuato il cambio di stile e ritmi apportato da Symhon; e non poteva non trattarsi di un brano inciso dal buon Zender (precedente storico batterista): “Runereader”. Il brano che con “Silence de Mort” (purtroppo non in scaletta questa sera) ha meglio incarnato l’anima live del penultimo disco “Red Silent Tides”.
“Runereader”, che già qualche anno fa apparve da subito come pezzo in grado di tenere ancorati al sound del gruppo i fans più tradizionalisti, non delude dal palco ed esalta, trascina con spensieratezza; possiamo concedercelo. Ne avremo comunque ancora di energia da dare al chiaroscuro di differenti emozioni. Nella selezione dal nuovo “Era” è su “I Am The Monster” che s’attestano linee mutevoli d’aggresività e melodia. Qui Damna sfida se stesso, come già su disco, nella registrazione del brano con voce unica, senza l’amico Jon Oliva.. in attesa che si ritrovino in tour per cantarla insieme per gli avventori di qualche fortunata data.
Damnagoras, già..quale la sua prova? Parlare unicamente di un cambio di registri e impostazioni è parte della verità. Il fatto è che lavorando in questi anni sulla voce, il cantante ha -come lui stesso raccontava nell’intervista- piuttosto trovato una forma salda nella sua voce, nella quale muoversi con maggior agio e sicurezza. La scelta di non cantare in growl è frutto della spontaneità di un momento, non si sa quanto lungo, né è frutto di un rifiuto di qualsivoglia natura. La sua voce è cresciuta, nell’intonazione, nella durata, nella resistenza e non appartiene alla schiera di voci che deludono rispetto alla loro resa in studio. Il desiderio di manifestare live la propria versatilità come già dai set acustici eseguiti in altre sedi, non si nega alla proposta musicale della serata.
Non mancano i momenti più tenui e chi scrive ha apprezzato la presenza di uno dei brani più semplici, menestrellari e ben riusciti di “Era”: “Through The Wolf’s Eyes.” Qui al calore della voce di Damna si accompagna Lethien, Qualche anno fa ci si chiedeva che fine avesse fatto il violino degli Elvenking. Il violino continua ad essere ben presente anche sul palco e non viene meno nei brani dalla carica strumentale più stravolgente come le storiche “Pagan Purity” e “White Willow”, invitate a celebrare Heathenreel. Il tocco di Lethien è leggero ma incisivo, proprio come quello del “prestigiatore” Symhon. Potenza e Consistenza. Tutti e due loro, violino e batteria, sono stati autori, durante la serata di due “intermezzi” (a loro volta inseriti fra le pause “dialogiche” di un Damna ispirato e colloquiale, frontman e spiritato folletto a tutto tondo), intermezzi all’interno dei quali due solos per i rispettivi strumenti, con il virtuosismo presentato nella forma dello “scherzo e del mimo”, hanno dominato la scena! Ottima anche la prova di Jakob al basso, ci sarebbe piaciuto ascoltarlo nell’aprire le danze della indimenticabile “Oakenshield” dato il massiccio supporto che ha fornito alla batteria per tutto il concerto. Tocca invece a “Neverending Nights” il ruolo di “brano lungo e articolato” della serata. Con i suoi quasi 7 minuti sembra prendere il posto di “Era”, più “prevedibile” scelta dall’ultima fatica di studio. Su una canzone così articolata e lunga emergono ricchezza ed importanza della presenza di due chitarre. Maggiore disinvoltura, ed una più ampia libertà nel riarrangiare i brani in sede live.
Posta a ridosso della prima, finzionale, chiusura dello show, mostra l’attenzione particolare che ha ricevuto “The Winter Wake” in sede live: ben quattro canzoni assipeate tutte in chiusura se si esclude la veloce apertura con “Trows Kind”. Non può invece non passare inosservata, per i fans d’antica corteccia, l’assenza di brani dall’amato “Wyrd”. E si potrebbe discutere a lungo e amabilmente di quali brani avremmo messo al posto di quelli scelti, secondo la mutevolezza di quanto sia giusto o sbagliato privilegiare una canzone al posto dell’altra ma non in questa sede già prolissamente abusata. La realtà, dietro la magia di una serata ottimamente riuscita, è quella di un gruppo solido, dal sound notevolmente cresciuto in potenza e consistenza, con un frontman capace di catturare con spontaneità il pubblico e affiancato da cinque validi “mimi” in grado di sostenere a loro volta la scena teatrale in cui vanno ad inserirsi sapientemente le canzoni, separate da preziosi intervalli nei quali lasciar decantare le emozioni e l’entusiasmo.
Cosa manca? Cosa potrebbe esserci ancora, semmai: un altro album senz’altro e poi perchè non un dvd/cd live? I motivi sono da ascriversi, oltre che alla riuscita teatralità di cui è fatto oggetto il palco, anche alla rivisitazione dei brani, reinterpretati con estro ma chiaramente mai traditi nella loro essenza e riconoscibilità originarie. Un esempio? Il brano col quale ci han salutato, “Not My Final Song”, uscito inedito con la loro ad ora unica prova di studio acustica e che mostrò immediatamente il notevole potenziale di una sua riproposizione in chiave “elettrica”. Per chi scrive un’aspettativa realizzata dopo un’attesa molto lunga. Buoni infine anche i suoni del Traffic, migliori di quelli sostenuti dalle strutture di più rinomate venues capitoline (ovviamente tenendo conto delle dovute proporzioni nel rapporto qualità del suono/ struttura. Il discorso resta aperto per i più esperti). Ed è così che Roma sparisce e resta solo il palco, e sul palco la musica, come è giusto che sia.
Marco Migliorelli
Setlist
01. Trows kind
02. I am the monster
03. The Cabal
04. Walking dead
05. We, animals
07. The Loser
08. Through the wolf’s eyes
09. White willow
10. The divided heart
11. Poor little baroness
13. The winter wake
14. The wanderer (encore)
15. Not my final song (encore)
Inoltre i nostri prodi inviati, non paghi di un “semplice” live report, hanno altresì avuto modo di intervistare faccia a faccia gli Elvenking; potete ascoltare l’intervista cliccando qui di seguito:
Live Report a cura di Max Rutigliano e Marco Migliorelli, fotografie a cura di Max Rutigliano e intervista a cura di Marco Migliorelli.