Live Report: Finntroll a Milano
“Ma questa è la fermata sbagliata…!”. Corsa contro il tempo piovoso nell’umidità milanese, accolti dal taglio di un vento a tratti rigido e acquoso, all’inseguimento delle note di apertura della prima band votata ad inaugurare la tappa italiana del Finntroll Tour. Direttamente dalle Maldive ci accolgono i Nothnegal, e la sensazione rimanda allo sgomento provato davanti alla fermata estranea: l’impasto sonoro che regala l’impietosa acustica dei Magazzini Generali diluisce immediatamente la trepida attesa che accompagnava la corsa impaziente, sentenziando l’epilogo di una performance slegata e discontinua, penalizzando in particolar modo l’elemento più evocativo della proposta musicale della band, ovvero le tastiere. Non resta che auspicare l’arrivo di un’esibizione che spazzi i frammenti di una performance capace appena di intiepidire i pochi presenti.
Lucia Cal
Report a cura di Angelo D’Acunto e Lucia Cal
Foto a cura di Angelo D’Acunto
Una manciata di minuti e un paio di verifiche in corso di soundcheck bastano a estinguere i turbamenti suscitati dalle prime spiacevoli impressioni riguardo le sonorità offerte dal locale, amalgamate in un’accozzaglia roboante che spesso svilisce la performance di turno, mentre il palco si anima della grinta prestante dei Metsatöll. Gli estoni, durante la loro prima data italiana, offrono uno spettacolo brillante e arguto, sfoderano padronanza scenica e carisma accattivante: si distingue per minuzie qualitative l’esibizione di Lauri “Varulven” Õunapuu, che sfoggia una decina di metodologie differenti nel suonare torupill (la tipica cornamusa estone), flauti e kannel. Echi antichi imbrigliati in un’eleganza atavica e bizzarra, una proposta in bilico tra uno spettacolo dalla coreografia meticolosamente calibrata e la goliardia che caratterizza la festosità del folklore. Convincente il frontman Markus “Rabapagan” Teeäär, voce robusta che veicola gli sguardi di una platea indifferente sollecitandone l’attenzione, calamitando verso le occhiate compiaciute del gruppo numerosi cenni di soddisfazione rudimentale da parte di un pubblico sempre più coinvolto. Altrettanto interessanti le alchimie elaborate dal basso e dalla voce di KuriRaivo, oltre alla regolarità scandite dalle battute delle percussioni di Atso. Horns up, malto fermentato e moshing spensierato, gli ingredienti per appagare i sensi inebriati dalla rappresentazione a base di pittoresco folk estone.
Lucia Cal
I Rotting Christ, tornati su ottimi livelli da qualche album a questa parte, rappresentano, per quanto riguarda i live show, una garanzia assoluta. Tutto merito di un Sakis che, diciamolo chiaramente, non è per niente un bravo cantante, né tanto meno potrà mai offrire lezioni di inglese, ma ha dalla sua le potenzialità di un frontman degno di tal nome: salta da una parte all’altra del piccolo palco a disposizione e si sforza, con ottimi risultati, di smuovere il pubblico presente all’interno del locale.
La band greca, dopo un’intro che fa tremare letteralmente le pareti dei Magazzini Generali, parte con l’accoppiata Aealo/Eon Aenaos (direttamente dall’ultimi disco), seguita al volo dall’acclamatissima Athanati Este. Il quartetto di Atene si dimostra da subito compatto e preciso al punto giusto, con una sola (e rilevante) pecca rappresentata da suoni settati in modo pessimo e che, irrimediabilmente, fanno praticamente a fettine le parti di chitarra, senza contare che la voce di Sakis comincerà a sentirsi in maniera più nitida solo sul finale. Nonostante ciò, il gruppo offre uno spettacolo ineguagliabile, proponendo una scaletta di brani concentrata soprattutto sul presente, con una buona quantità di pezzi tratti da Aealo (Fire, Death And Fear, Dub-Sag-Ta-Ke e Noctis Era) e Theogonia (The Sign Of Prime Creation e Phobos’Synagogue), mentre l’unica (e immancabile) King Of A Stellar War piazzata in rappresentanza del passato. Pezzi, come già detto, suonati però con precisione millimetrica, in modo da garantire anche un buon impatto su di un pubblico che reagisce con una buona dose di entusiasmo.
Angelo D’Acunto
Discorso un po’ diverso, invece, per quanto riguarda i Samael. I suoni della band svizzera, che si fondano soprattutto sugli inserti delle tastiere di Xytras, vengono tramutati, grazie alle solide mura di un locale piccolo, inadatto a questo tipo di concerti (e chi più ne ha più ne metta), in un unico, sordo e indefinito boato. Una bella impresa, quindi, quella di riuscire a capire ogni singolo pezzo suonato, soprattutto per chi non ha mai ascoltato nulla del gruppo elvetico. Ancora meno soddisfacente il pubblico: al contrario di quello che era successo con i Rotting Christ, questa volta i presenti sembrano poco coinvolti, soprattutto quando la band propone i suoi pezzi più datati. Il gruppo dal canto suo svolge comunque un ottimo lavoro, soprattutto a livello scenico, con menzione speciale per il bassista Masmiseim che non sta fermo nemmeno per un secondo. Le note positive si possono riscontrare anche in una setlist che attinge a piene mani da più o meno tutta la discografia (da Passage in poi, in pratica), compreso il nuovo EP, Antigod, con la presenza dell’omonima traccia, e l’aggiunta dell’inedito Soul Invictus, che sarà presente sul prossimo studio album.
Un vero peccato, quindi… anche perché Vorph e soci, senza nulla togliere ai dischi in studio, dal punto di vista live deludono raramente. Da rivedere, sicuramente, e in una location più adatta, possibilmente.
Angelo D’Acunto
L’oscurità di una tempesta incombente accoglie le risonanze arcaiche di ‘Blodmarsch’ e accompagna il boato della platea, improvviso riverbera il cupo sfolgorio dei lampi tetri impressi sulla pelle dei Finntroll, solerti a celebrare le lingue di fuoco della Saga del Sole nell’attacco di ‘Solsagan’. Un tumulto che erompe nelle profondità più calde della bolgia soddisfa le attese trepidanti del pubblico, che intensifica la propria tempra nel mosh più strampalato, incurante del fatto che la negligenza del locale riguardo al settaggio sonoro offra una performance temperata e contenuta, in particolare estinguendo la voce di Mathias “Vreth” Lillmåns nello zibaldone tonante di strumenti malamente addensati in questa atmosfera svilita. Poco importa che la carismatica esibizione dei Finntroll venga inibita dalle tare dell’ambiente circostante, il gruppo sa imprimersi sulle labbra dei presenti come sferzate tirate dalla furia del vento nel gelo amaro di ‘Den Frusna Munnen’, passando per lo scenario impetuosamente ringhiato di ‘Skogens Hämnd’, un declino rievocato dalla prestanza di Henri “Trollhorn” Sorvali alle tastiere e dalla puntualità delle percussioni di Samu “Beast Dominator” Ruotsalainen. La scelta è quella di pescare a piene mani nella loro produzione artistica che copre più di un decennio, dalla saggezza atavica di ‘Nattfödd’ che rischiara l’orda dei seguaci intenti a scagliarsi sui fraseggi strumentali maestosi ed affranti che narrano l’appassire della vita in cenere, all’incalzare di ‘Midnattens Widunder’, senza tralasciare i neri picchi di “Svartberg”. Climax ascendente che culmina nella proposta di ‘Trollhammaren’, autentica rivolta alimentata dalle energie residue di una schiera che non si è risparmiata, incitata dall’attacco di uno dei brani più popolari previsti per la serata: in alto i calici, slanciate le braccia, fiato ai polmoni, l’epilogo è fracassare le ossa fino a che le membra indolenzite infiacchiscono l’euforia che accompagna l’esibizione dei finlandesi. Acclamati a gran voce durante la breve pausa che precede l’encore, il rapido scambio eloquente di sguardi tra Mikael “Routa” Karlbom e Lillmåns, seguita dall’espressione attonita di quest’ultimo, fa presagire qualcosa, e infatti i fan assistono con rammarico al taglio di setlist del sestetto, ennesimo particolare che si somma all’esito di una serata non esattamente brillante, costellata da carenze più o meno condizionanti. Sicuramente una perfomance che non racconta nessun particolare inedito, non dissimile dall’ordinario, ma il trasporto che anima i fan italiani supera i dettagli tecnici e scenici, sfumando nell’impeto istintivo che accompagna una profonda dedizione: espressione di un’autentica passione.
Lucia Cal