Live Report: Ghost B.C. a Milano

Di Carlo Passa - 13 Giugno 2014 - 17:53
Live Report: Ghost B.C. a Milano

 

Serata calda a Milano. Sarà a causa dell’alta temperatua, o di chissà che altro, ma resta il fatto che la linea del bus 90 incespica dalle parti di Piazzale Brescia e io entro ai Magazzini Generali proprio mentre i Crimson Dawn salutano il pubblico. Peccato: avrei ascoltato volentieri il doom epico proposto dalla band di Dario Beretta dei Drakkar, recente autrice del valido In Strange Aeons….
Il locale è piuttosto fresco: l’aria condizionata solleva il morale dei presenti e certamente sarà gradita ai cinque ghouls senza nome dei Ghost B.C., che dovranno passare l’intero concerto incappucciati e avvolti nelle loro lunghe tuniche nere. E sia mai che il trucco cali sul volto di Papa Emeritus II.
Che i Ghost B.C. siano un piccolo fenomeno è chiaro ancor prima che il concerto incominci. Al banco del merchandising, il logo della band campeggia sugli oggetti più svariati, tra cui risalta un completino da infante di gusto discutibile. Manco fossero i Kiss.
E poi c’è il pubblico. Resterebbe deluso chi si aspettasse che i concerti dei Ghost B.C. fossero frequentati solo da cattivissimi metallari satanisti, con la bocca grondante del sangue di un gatto nero sgozzato. Ottima l’affluenza, molte le ragazze, moltissimi gli individui “normali”, ovvero privi dell’abito di ordinanza da concerto metal (colore nero imperante, t-shirt di band più o meno nota, capello lungo o lontano ricordo dello stesso). D’altra parte, la proposta musicale della band si limita a sfiorare i suoni più duri ed è certamente abbordabile da un pubblico più vasto della cerchia propriamente metallica.
Il concerto viene preparato come se fosse un rito. Per circa quindici minuti, la lunga sala dei Magazzini Generali è avvolta dalle melliflue melodie di un pianoforte e, quindi, da cori simil-gregoriani che un po’ inquietanti lo sono davvero.
Alle nove esatte, i cinque ghouls salgono sulle assi del palco e non si può negare che facciano la loro bella figura mentre attaccano Infestissumam, stagliando le proprie nere figure sullo sfondo di tre vetrate da cattedrale gotica (ovviamente di culto satanico). Ma tutti attendono lui, Papa Emeritus II, che avanza ieratico sulle prime note di Per Aspera ad Inferi (ma qualcuno gliel’avrà detto che il titolo è sbagliato in latino? o l’avranno fatto apposta per sbertucciare quella che è stata la lingua della Chiesa cattolica per secoli?). E Papa Emeritus è uno spettacolo nello spettacolo, la sublimazione parossistica di quel satanismo di facciata del metal che fu dei Venom, tanti anni fa. Il Papa del metal benedice gli astanti, ha movenze lente e mai discontinue, non concede alcunché ai gesti tipici dei frontman metallici: gli basta un cenno con la mano, un moto dello scettro, e il pubblico orante è suo.
Arriva Ritual, che tutti aspettano. E non tradisce: il pezzo è tra i più belli della band, che lo rende al meglio in virtù di arrangiamenti essenziali e decisamente adatti. Il pubblico reagisce alla grande: il rito è davvero incominciato.
Senza soluzione di continuità seguono Prime Mover, Jigolo Har Megiddo, Con Clavi con Dio e, soprattutto, la bellissima Elizabeth, in grado di creare un atmosfera piacevolmente a cavallo tra il soffuso e l’inquietante.
Ed è tempo che Papa Emeritus II prenda la parola: “mio italiano no bene” dice, ma a me pare che qualcosa non torni. La pronuncia italiana è perfetta, l’inglese un po’ incerto; se poi si aggiunge che in questo documentario sulla band, Papa Emeritus II concede un’intervista parlando in italiano, ecco che non due, ma ben tre indizi fanno una prova. Perché mai parlare in italiano (ottimo) in un’intervista e poi fingere di non conoscere la stessa lingua davanti al pubblico? Insomma, che il Papa satanico sia un connazionale?
Fatto sta che il Papa è un ottimo intrattenitore, capace di bilanciare il proprio personaggio tra ironia e serietà, allontanando così la (temibile) farsa di se stesso.
Body and Blood precede Death Knell, che è sempre un gran bel sentire; ed è il turno della malata versione di Here Comes the Sun dei Beatles tratta dall’EP If You Have Ghost. Il pubblico si fredda un po’, per quanto ciò sia possibile nella torrida canicola milanese; ma ecco arrivare una triade davanti alla quale anche il più feroce detrattore dei Ghost B.C. non può che ammettere la validità della band. L’ormai classica Stand By Him, la strumentale Genesis (mostruosa) e il singolo Year Zero rivitalizzano, infatti, la simbiosi tra gli astanti e la band, in un tripudio annunciato; così come è annunciata la chiusura del concerto con la cover di Roky Erickson If You Have Ghosts, decisamente meglio riuscita di Here Comes The Sun.

Vedi il Photo Report completo dei Ghost

Breve pausa ed è il turno del piano melanconico di Ghulem, che crea l’atmosfera perfetta per l’improvviso, ma non inatteso, passaggio alla dinamica Zombie Queen.
Infine, è il momento di Monstrance Clock, chiusura ormai consueta dei concerti della band, che lascia il palco dopo un’ora e venti mentre il pubblico intona l’anthemico ritornello della canzone.
La qualità audio è stata più che discreta per l’intera durata del concerto, con gli inevitabili alti e i corrispondenti bassi. Il pubblico ha apprezzato e, certamente, si è divertito un mondo. La band non è stata da meno, ricoprendo alla perfezione il proprio ruolo di scimmiottamento visuale e gestuale del mondo cattolico, senza per questo scadere in scene becere o di cattivo gusto.
Lascio i Magazzini Generali pensando che i Ghost B.C. vadano presi con un certo distacco ironico, godendosi senza troppe dietrologie quel simpatico intruglio di ottima musica e marcata visualità che la band ha l’indubbio onore di avere inventato. Insomma, se questi sono gli adepti di Satana, Iddio può dormire tranquillo.

 

Setlist:

Infestissumam
Per Aspera ad Inferi
Ritual
Prime Mover
Jigolo Har Megiddo
Con Clavi Con Dio
Elizabeth
Body and Blood
Death Knell
Here Comes the Sun
Stand By Him
Genesis
Year Zero
If You Have Ghosts

Encore:

Ghulem / Zombie Queen
Monstrance Clock