Live Report: Glenn Hughes performs Deep Purple Live @ 09 / 11 / 2018 – Phenomenon, Fontaneto (NO)
Glenn Hughes performs classic Deep Purple Live
@ 09 / 11 / 2018 – Phenomenon, Fontaneto D’Agogna (NO)
Live report a cura di Fabio Vellata.
Curiosità.
Con questo stato d’animo – misto agli inevitabili sentimenti di affetto e rispetto dovuti ad una carriera ed un talento tra i più notabili della storia del rock – ci siamo avvicinati alla data solista di Glenn Hughes dello scorso venerdì 9 novembre presso il Phenomenon di Fontaneto d’Agogna.
Ok.
“Resonate“, disco uscito nel 2016 era stato una prova assolutamente all’altezza del grande nome in copertina: voce tonante e prestazione impeccabile.
Ma dal vivo? Alla soglia dei settanta? E per di più con solo pezzi storici dei Deep Purple quale menù in programma?
Come se la sarebbe cavata, oggi, lo zio Glenn?
Che fossimo al cospetto di un evento, dello show di una autentica rockstar, semmai avessimo avuto dubbi, ci è parso chiaro sin da subito, sin dall’ampio parcheggio antistante il locale, nel quale è stato addirittura complicato trovare uno spazio in cui infilare la propria vettura.
E, di conseguenza, pure dall’interno della sala, una volta tanto e come visto in poche altre occasioni, affollata e molto corposa in termini di pubblico.
Ulteriore elemento significativo, l’assenza completa di qualsiasi band di supporto, a testimoniare come la serata fosse dedicata esclusivamente e senza divagazioni all’unico artista in cartellone.
Siamo onesti: in un’epoca in cui spesso tocca sorbirsi altri due – tre gruppi che talvolta nulla centrano con l’headliner, nemmeno una cosa così disdicevole.
Che poi mr. Hughes potesse riservare ancora qualche “pepato” atteggiamento da “prima donna”, un particolare per certi versi inatteso e di ulteriore risalto.
Così è stato, pochi minuti di ritardo sulle ore 22.00 previste per l’inizio dello spettacolo e le note della ciondolante e cadenzata “Stormbringer” invadono l’aria, provocando i primi scapocciamenti della serata.
In tempo però per notare, tra l’imbarazzo dei musicisti e del pubblico, alcune sfumature singolari: Glenn sembra appannato, quasi vittima di una partenza “a freddo“, mentre il suo basso, allo stesso modo, non spicca come dovrebbe.
Motivi sufficienti per indurre il singer britannico a lasciarsi andare a qualche bizza da divo, sino ad abbandonare con disappunto il palco e scomparire dietro le quinte.
Un pizzico d’apprensione, in effetti, per fortuna risolta con il ritorno in scena di Hughes dopo qualche minuto di jam session strumentale (molto bravi i musicisti a riempire i vuoti), apparentemente trasformato, rasserenato, quasi ringiovanito e – possiamo dirlo – finalmente in forma, sia “vocale” che in quanto a presenza scenica.
Da lì in avanti lo show è apparso in discesa.
Non molti i brani in scaletta, alla fine saranno giusto otto, per un ora e mezza abbondante di concerto. Ad ogni modo tutto materiale che ha contribuito a scrivere la storia immortale del genere: quando si hanno a disposizione l’ipnotismo di canzoni come “Sail Away”, “Might Just Take Your Life” e “You Fool No One” si parte da una base di livello straordinario. Arrivare poi alle vette di “Mistreated”, “You Keep on Movin” e “Smoke on the Water” significa mettere in piazza la storia più pura e cristallina del rock, quella che anche i sassi, le piante e i fili d’erba possono dire di aver sentito almeno una volta nella loro esistenza. Animata o meno che sia.
Hughes si è confermato per l’intera durata dello show il consueto animale da palco che conoscevamo: attempato solo per questioni anagrafiche, è apparso – come detto – ringiovanito, a proprio agio nel contesto seventies e tutt’altro che statico sulla scena.
Molto comunicativo, non ha perso occasione per interloquire con il folto pubblico, offrendo ancora una volta prova di grande affabilità ed empatia. Il desiderio di diffondere valori positivi e gratificanti attraverso la propria musica è da sempre una ragione in più per stimare l’uomo oltre che l’artista dalle molte vite.
Un po’ di mestiere, va tuttavia detto, condisce ormai anche le sue esibizioni: l’esecuzione, infatti, assume spesso la forma di una gigantesca jam session con interminabili assolo da parte di tastiere, chitarra e batteria.
Un elemento che, se da una parte dimostra la volontà di lasciare l’adeguato spazio ai validissimi componenti della band, dall’altra pone in evidenza come anche per Glenn sia necessaria di tanto in tanto una pausa, magari nella forma di qualche intermezzo strumentale per prendere un po’ di fiato.
Con l’encore che tutti aspettavano, quella “Burn” che rappresenta da sempre il manifesto della militanza di Glenn Hughes nei Deep Purple, lo show si è concluso con il proverbiale botto poco prima della mezzanotte, lasciando il parterre per lo più appagato e soddisfatto.
Un pubblico non proprio giovanissimo (età media superiore ai trentacinque anni) che ha di certo apprezzato quanto visto e sentito: qualche stecca si è di tanto in tanto manifestata (soprattutto nella conclusiva “Burn“, Hughes è apparso di nuovo un pizzico in affanno sui toni altissimi che ne caratterizzano alcune parti), non al punto però da suscitare disappunti. Anzi: la voce del “funkmeister” a tratti è ancora allucinante e fuori dalla portata dei comuni mortali.
Certo, quando l’avevamo visto dal vivo l’ultima volta, in occasione del concerto di una decina di anni fa sul lago Maggiore, avevamo ricavato l’impressione di qualcosa di sovrannaturale ed incontenibile. Giust’appunto però, si trattava di dieci anni fa.
Invecchiare come sta facendo lo zio Glenn, con lo stesso ardore, la medesima positività e desiderio di mettersi in gioco quasi come un ragazzino agli esordi è patrimonio di pochi, rarissimi fuoriclasse.
Categoria cui Glenn Hughes è iscritto a pieno titolo e con assoluti meriti da tempo immemore.
Setlist:
01. Stormbringer
02. Might Just Take Your Life
03. Sail Away
04. You Keep On Movin’
05. You Fool No One
06. Mistreated
07. Smoke on the Water
Encore:
08. Burn
Band:
Glenn Hughes – Voce / Basso
Soren Anderson – Chitarra
Jesper Bo Hansen – Tastiere
Fer Escobedo – Batteria