Live Report – Gods Of Metal 2012 – Sabato 23 giugno

Di Daniele Peluso - 22 Luglio 2012 - 16:00
Live Report – Gods Of Metal 2012 – Sabato 23 giugno

 

 

Tutte le foto per gentile concessione del fotografo Paolo Abbate.

Dopo un breve viaggetto in auto, giungiamo in zona Fiera a mezzogiorno circa; l’enorme (e costoso) parcheggio messo disposizione è ancora quasi completamente vuoto e abbiamo giusto il tempo di ammirare le spettacolari architetture create da Massimiliano Fuksas per la Nuova Fiera di Rho-Pero e fare uno spuntino, quand’ecco che in lontananza iniziano a sentirsi i primi boati.

 

 

 


Report a cura di Stefano Burini.

I Planet Hard sono on stage più puntuali di un orologio svizzero (caratteristica, quella del rispetto delle tempistiche, che sarà un leit motiv dell’intera manifestazione) e pronti ad aprire un programma all’insegna dell’hard ‘n’ heavy più sanguigno e genuino. L’impressione è subito ottima: grande tiro, suoni già all’altezza nonostante l’orario, un vocalist, Marco Sivo, decisamente in palla, sulle orme dei grandi cantanti hard rock del passato e soprattutto belle canzoni di puro hard rock fiammeggiante, perfetto per scaldare ulteriormente la folla che sta già abbrustolendo sulla graticola di Rho. Dopo una manciata di pezzi provenienti dal precedente studio-album, i Planet Hard danno spazio a “Mass Extermination”, estratta dal nuovo album fresco di uscita, “No Deal”, e il discorso non cambia: grande energia, drumming rutilante e chitarre roventi, forse con un pizzico di groove in più e con Sivo sempre sugli scudi. Dopo un invettiva contro il rincoglionimento da social network si prosegue con “Empty Book Of Friends”, dai tempi più cadenzati e dal grande groove, ennesima grande prova del gruppo meneghino e con la successiva, e streety-oriented, “Abuse”, per la quale si presenta sul palco a duettare con Sivo nientemeno che Masha Mysmane degli Exilia, con il suo timbro graffiante e la vistosa capigliatura rossa. Di nuovo groove, potenza e un sound veramente tosto per ”This World” che incanala lo show verso il finale lasciato all’ottima “Ride Away”, animata da un guitar work in stile Zakk Wylde e da un refrain che strizza l’occhio agli ultimi Alter Bridge. Ottima prestazione e ottimo viatico per una giornata all’insegna dell’hard n’n heavy partita con il piede giusto.
 

 


Report a cura di Stefano Burini e Federico Albano.

Ore 13:40, Lizzy Borden irrompe sul palcoscenico con una tonaca nera degna di un Nazgûl tolkeniano e che odora lontano un miglio di schock rock, accompagnato dalla sua tamarrissima band. “Tomorrow Never Comes” il brano d’apertura: suoni ottimi, voce in grande spolvero un Lizzy in palla che abbandona presto la tunica in favore di un vestito nero dal taglio S&M e di un make up vampiresco. Pur non conoscendo il repertorio dell’assassina americana, l’impressione è veramente buona: bello spettacolo, solisti in vena e Lizzy vero mattatore a scaldare il pubblico facendolo urlare a dovere prima di lasciarsi andare ad una riuscita cover di “Edge Of Glory”, pezzo appartenente al repertorio della nuova icona glam Lady Gaga, riproposto in una versione anabolizzata dall’energia della band e dall’istrionismo del frontman. “Eyes Of A Stranger” è più hard rock che heavy ma l’esecuzione non perde un watt di potenza; segue un solo di basso veloce e divertente, quand’ecco salire sul palco una conturbante vittima sacrificale dai capelli rossi, pronta per essere vampirizzata dal sanguinolente morso di questo epigono dell’Alice Cooper settantiano. E’ il turno dei guitar solo e le due asce non tradiscono le attese, tra scintille e cascate di note prima di darsi ad una “Funiculì, funicolà” in salsa hard ‘n’ heavy con tanto di magliette della popolare squadra nerazzurra del capoluogo lombardo. Un bel siparietto che non ha mancato di divertire e fomentare il pubblico. Pochi istanti e Lizzy ritorna in pista con una maschera blu indossata per “There Will Be Blood Tonight”, un brano meno aggressivo e più cadenzato rispetto alle canzoni che l’hanno preceduto, con ampio spazio lasciato alle evoluzioni chitarristiche dei due axemen. Altro giro, con “Me Against The World”, altro cambio d’abito per Lizzy, questa volta abbigliato con un lungo mantello nero e una maschera argentea, di nuovo senza mollare il colpo e continuando ad incitare la folla ad urlare e sfogarsi. La chiusura è affidata ad “American Metal”, con Lizzy addobbato con le due bandiere, quelle italiana e quella americana e una maschera diabolica. Se i Planet Hard avevano aperto la via, Lizzy Borden e la sua band puntellano con vigore le pareti del tunnel: l’assalto ora può iniziare davvero!
 

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Report a cura di Federico Albano.

Ormai adottati dal pubblico italiano, eccoci di nuovo alle prese con gli svedesi Hardcore Superstar dopo il loro passaggio italiano la scorsa primavera. La prova che tra il nostro paese e i rockers di Goteborg si sia instaurato un buon rapporto è data dal fatto che nonostante sia ancora presto, prime e seconde file (dietro al pit) siano già piuttosto popolate,con la partecipazione che risulterà costante e appassionata per tutta la durata dell’esibizione.
Inizio consolidato, con i quattro che si fanno una passeggiatina sul palco con “Dance The Night Away” dei Van Halen in sottofondo, dopodiché posizionatisi ai posti di combattimento, attaccano con “Sadistic Girl”. Terminata la canzone i nostri escono, parte una nuovo intro ed è la volta di “Kick On The Upperclass”; strana la scelta di una doppia opener, probabilmente i nostri volevano proporre qualcosa di originale: obiettivo raggiunto, peccato tuttavia spezzare l’atmosfera proprio quando il pubblico iniziava a gasarsi. Basta in ogni caso poco per riaccendere l’entusiasmo, la carica che gli Hardcore sprigionano del vivo ha pochi eguali, grazie ad un ritmo sempre incalzante, a ritornelli fatti per cantare e ad un muro di suono che rende gli svedesi sicuramente i più metallici della giornata. Jocke Berg si impadronisce della scena, sfrutta il palco in tutta la sua ampiezza e incita il pubblico ad urlare, dichiarando sovente che l’Italia è la loro seconda patria. “Dreaming In A Casket”, “Wild Boys” e “My Good Reputation”, una delle più cantate, rappresentano il repertorio meno recente, ma è l’ultimo album a fare la parte del leone con la ballad “Run To Your Mama”, eseguita dai soli Zino e Berg, con la saltellante “Moonshine”, e soprattutto con “Last Call For Alcohol”, in occasione della quale vengono portati sul palco  una cinquantina di bicchieri di birra che la band “serve” al pubblico con lanci precisi. Non può che essere il turno di “We Don’t Celebrate Sunday” per chiudere uno show che conferma gli Hardcore Superstar band di punta della scena hard rock mondiale degli ultimi anni.

1. Sadistic Girls
2. Kick On The Upperclass
3. Medicate Me
4. Dreamin’ In A Casket
5. Wild Boys
6. Run To Your Mama
7. My Good Reputation
8. Moonshine
9. Last Call For Alcohol
10. We Don’t Celebrate Sundays
 

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Report a cura di Stefano Burini.

Dopo l’esplosivo show degli svedesi, i Gotthard sono chiamati a rispondere alla contesa con tutta la classe e il vigore che da sempre li contraddistinguono. Buona parte del pubblico è inoltre al primo spettacolo degli elvetici orfani del compianto Steve Lee, grandi dunque la curiosità e l’attesa per uno show dai molteplici motivi di interesse.
Leoni & compagnia esordiscono con “Dream On”, tratta dal sempreverde “Lipservice” e fin da subito la differenza di qualità in sede live tra Lee e il nuovo arrivato risulta purtroppo evidente. Nic non demerita ma Steve Lee era un fuoriclasse assoluto, in grado di fare la differenza dal vivo con il suo cantato corposo e colorato e il confronto nelle prime battute pare decisamente impietoso. Va un po’ meglio su “Top Of The World”, per quanto la voce del cantante svizzero venga spesso sovrastata dalle chitarre di Leo Leoni e Freddy Scherer, e soprattutto su “Starlight” tratta dal nuovo (e ottimo) “Firebirth”, probabilmente più “sua” e in generale meglio interpretata. Robusta chitarra bianca alla mano per Maeder ed è il turno di “Remeber It’s Me”; il tentativo di prendere le redini di uno show che per ora stenta a decollare è apprezzabile ma il risultato non è da tramandare ai posteri per intensità e sentimento d’altro canto gettare la croce addosso ad un artista chiamato a raccogliere un’eredità così pesante non sarebbe corretto e va altresì rimarcato che è l’intera band a non convincere: mancano il tiro e l’adrenalina dei tempi d’oro e persino “Master Of Illusion” viene fuori piuttosto piatta e incolore, esattamente come la risposta dei fan, più volte incitati a scatenarsi da un Leoni cui la situazione sembra sfuggire un po’ di mano. “Hush” riporta in alto il ritmo e i Gotthard graffiano finalmente come ci si attendeva; l’esibizione prosegue con “One Life, One Soul” acustica e con dedica al grande, forzato assente e va detto che Nic, forse a voler onorare al meglio la sua memoria, tira fuori la migliore prestazione vocale fin qui udita. Dopo l’adrenalinica “Mountain Mama” si giunge a “Right On”, introdotta da un non troppo riuscito siparietto di talk box, con un Leoni visibilmente spazientito dalla mancata risposta da parte di un pubblico parecchio disorientato, ciononostante la prestazione è di buon livello, probabilmente il top di giornata per i Gotthard. Il vero e proprio patatrac si perpetra, viceevrsa, su “Lif U Up”, con Steve Lee una marcetta divertente e orecchiabile sulle cui note era praticamente impossibile restare fermi, con Nic Maeder a raschiare il fondo delle sue corde vocali il risultato è, al contrario, decisamente moscio e a tratti deprimente. Chiude senza infamia né lode “Anytime Anywhere” uno spettacolo che ha lasciato con l’amaro in bocca molti dei presenti, sconcertati da una prestazione insolitamente scarica e dalla scelta di proporre poche canzoni del nuovo album, quelle su cui forse Nic poteva esprimersi al meglio e fare una figura migliore. Rimandati, ma con grande dispiacere.

Setlist:

1. Dream On
2. Gone Too Far
3. Top Of The World
4. Starlight
5. Remember It’s Me
6. Sister Moon
7. Master Of Illusion
8. Hush (Billy Joe Royal Cover)
9. One Life One Soul
10. Mountain Mama
11. Right On
12. Lift U Up
13. Anytime Anywhere
 

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Report a cura di Stefano Burini.

Alle 18 in punto giunge l’atteso momento dei The Darkness. La formazione è quella originale, capitanata dall’istrionico Justin Hawkins, magrissimo, con un pizzetto inedito e il consueto look a metà tra il glamster d’annata e l’indie rocker e completata dal fratello Dan, dal batterista Ed Graham e dal sempre impresentabile Frankie Poullain, abbigliato con un improbabile tunicozzo nero. La partenza è affidata all’ottima “Black Shuck”, il guitar work dei fratelli Hawkins e ruvido e d’impatto e i caratteristici acuti in falsetto di Justin sono al loro posto e anche “Growing On Me” non tradisce le attese con il suo flavour goliardico e le melodie orecchiabili, perfettamente congegnate per coinvolgere il pubblico. Con “The Best Of Me” i The Darkness recuperano addirittura una b-side del singolo di “Get Your Hands Off My Woman” e lo spirito è proprio quello leggero, frivolo e dannatamente divertito delle canzoni che li consacrarono sulla scena internazionale nell’ormai lontano 2003. Si prosegue con “One Way Ticket” e la nuova “Nothing Gonna Stop Us”, di nuovo puro fun, esecuzione coinvolgente e un  Justin davvero scatenato, sia alla voce che alla chitarra, suonata in tutte le pose possibili e immaginabili: divertimento assicurato. Al termine dell’immancabile “Get Your Hands Off My Woman” l’imprevisto: chitarre e microfono si ammutoliscono all’istante, Justin tenta di mantenere caldo il pubblico con qualche gag ma, nonostante non venga comunicato alcunché, il protrarsi della pausa con l’allontanamento dei quattro musicisti dal palco, lascia immaginare un inconveniente tecnico. Al rientro in pista è lo stesso Justin Hawkins a rassicurare il pubblico e a spiegare l’accaduto con un eloquente “No corrente”. La ripresa del concerto è affidata alla gradevole “Is It Just Me?” ed è un piacere constatare che l’inconveniente non ha in alcun modo condizionato la performance della band britannica. Scorrono i minuti e scorrono anche brani ormai divenuti col tempo dei piccoli classici come la bellissima ballata “Love Is Only A Feeling”, con tutto il suo pathos vocale e strumentale, la sfrontata e acclamatissima “I Believe In A Thing Called Love” e l’allegra “Givin’ Up”. In chiusura la riuscitissima “Street Spirit”, cover dei Radiohead, e l’incredibile “Love On The Rocks With No Ice”, tuttora la loro canzone più ambiziosa e riuscita, qui riproposta in una versione che lambisce il quarto d’ora di durata tra assoli torrenziali, giochi vocali e siparietti assortiti. Grande show e grande piacere nel vedere il ritorno sulle scene di una band molto sottovalutata e ancora in grado di dire molto. Welcome back, my friends!

Setlist:

1. Black Shuck
2. Growing On Me
3. The Best Of Me
4. One Way Ticket
5. Nothing Gonna Stop Us
6. Get You Hands Off My Woman
7. Is It Just Me?
8. Love Is Only A Feeling
9. I Believe In A Thing Called Love
10. Givin’ Up
11. Street Spirit (Radiohead Cover)
12. Love On The Rocks With No Ice
 

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Report a cura di Stefano Burini.

Come da programma, alle 19:30 Slash, icona mondiale di tutta la scena rock da venticinque anni a questa parte, si presenta sul palco del Gods Of Metal 2012 accompagnato dall’ormai fidatissimo Myles Kennedy, in licenza speciale dagli Alter Bridge e dai The Conspirators. Se di Myles Kennedy non stupiscono ormai più le grandi doti vocali ed interpretative, la versatilità e la costanza nel livello delle prestazioni che lo stanno consacrando a vero e proprio fuoriclasse del microfono, parole altrettanto dolci possono essere utilizzate per la band di supporto. I restanti Cospiratori, ovverosia Todd Kerns al basso e Brent Fitz alla batteria, si dimostrano infatti stage band solida, precisa e di grande impatto.

Apre le danze “One Last Thrill” nuova di zecca e il mood è fin da subito quello giusto, tuttavia il vero delirio si scatena, manco a dirlo, con una “Nightrain” da urlo, presa di peso dal repertorio dei vecchi Guns e riportata a nuovo splendore dalla prestazione scintillante di Slash, Myles e dei loro scudieri. Anche “Ghost”, originariamente intonata dal grande Ian Astbury, mostra i risultati della cura Kennedy: Myles è in forma a dir poco smagliante e del tutto a suo agio nel ruolo di spalla prediletta di un gigante del rock come il buon vecchio Saul Hudson. Sia che si tratti di nuove instant classic come la rockeggiante “Standing In The Sun” o la più ragionata “Back From Cali”, con le sue cadenze da hard blues metallizzato, sia che si tratti di pezzi di storia come “Rocket Queen”, nobilitata da un torrenziale assolo di chitarra, il cantante nativo di Boston non mostra alcun segno di cedimento né di timore reverenziale nei confronti di un certo Axl Rose, entusiasmando senza riserve il pubblico presente. Su “Dr. Alibi” e “Ou Ta Get Me” è Todd Kerns a stupire tutti con una prova vocale decisamente all’altezza e un timbro ruvido e carismatico. “Anastasia”, “Halo” e “You’re A Lie” colpiscono nel segno e tirano la volata a un finale in cui c’è spazio, oltre che per le immortali e sempre attesissime “Sweet Child O’ Mine” e “Paradise City” anche per un piccolo tributo ai Velvet Revolver, presenti in scaletta con la ormai vetusta ma sempre gradevole “Slither”, di nuovo resa in maniera decisamente riuscita da Slash, Myles e compagnia. Che dire? Slash non sarà certo un mostro di loquacità e di certo non è un Malmsteen, il suo guitar work è sempre al servizio della forma canzone e mai fine a se stesso, eppure gli spazi ritagliati all’interno di pezzi come “Rocket Queen” o “Paradise City”ci mostrano un artista concentrato, tonico e con ancora molto da dire, sia live dove i suoi riff e assoli centrano sempre il bersaglio, sia in studio, con le nuove canzoni a reggere in maniera sorprendente il confronto con classici di enorme portata. Al resto ci pensano Myles e i Cospiratori: i vostri timpani non sono mai stati in mani più sicure.

Setlist:

1. One Last Thrill
2. Nightrain (Guns ‘n’ Roses Cover)
3. Ghost
4. Standing In The Sun
5. Back From Cali
6. Shots Fired
7. Rocket Queen (Guns ‘n’ Roses Cover)
8. Doctor Alibi
9. Out Ta Get Me (Guns ‘n’ Roses Cover)
10. Halo
11. Anastasia
12. Sweet Child O’ Mine (Guns ‘n’ Roses Cover)
13. You’re A Lie
14. Slither (Velvet Revolver Cover)
15. Paradise City (Guns ‘n’ Roses Cover)
 

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Report a cura di Federico Albano.

Se venerdì Axl Rose si è presentato sul palco con soli 15 minuti di ritardo, i Motley non sono da meno ed anzi, iniziano addirittura in anticipo! E’ scomparso da poco il sole quando i quattro Bad Boys attaccano con “Wild Side”. Vince Neil non è dato in gran forma, però che fosse in affanno già alla prima canzone effettivamente ha dell’incredibile. Per tutto il concerto il biondo singer in fondo fa quello che ben racconta nella sua autobiografia, l’intrattenitore…cantare è già un altro mestiere, ma dato che non siamo ad un concerto prog tutto sommato che importa? intrattenere i quatto lo sanno fare e come! Il neo cinquantenne Neil non canta una canzone intera però corre e saltella, i suoi compagni e soprattutto due avvenenti ballerine-coriste lo supportano, il resto lo fa il pubblico. Intrattenere dicevamo, se tutto sommato la set-list è sempre la stessa, andando a memoria l’unica aggiunta mi sembra “Too Fast For Love”, l’attrazione di questo tour è la gigantesca ruota alle spalle del drum kit di Tommy Lee. Detta ruota diventa un occhio magico dentro al quale vengono proiettate luci colorate per un effetto visivo veramente impressionante, spettacolare per esempio il pentacolo proiettato durante l’esecuzione di “Shout At The Devil”. La ruota ha ovviamente lo scopo primario di permettere a Lee di effettuare uno spettacolare assolo di batteria girando a 360°; pare  che il drummer sia sulla giostra di un parco divertimenti più che nel bel mezzo di un concerto: mentre è a testa in giù Tommy parla col pubblico e ad un certo punto appare una mano che lo acchiappa e lo tiene sospeso. Shockante! Anche un fan viene fatto salire per un giro della morte, ed infatti il famosissimo, davvero affabile e gentile nei suoi confronti, lo avverte: “Saluta i tuoi amici perchè a volte non si ritorna vivi!”.
Tornando alla musica direi che la prestazione è buona: Sixx, microfono appeso ad un cavo che pende direttamente dal soffitto e look post-nucleare in stile Mad Max, non si risparmia, alternandosi con Neil nella copertura del palco mentre Mick Mars, sempre più stoicamente in campo ed inquietante nella sua tenuta nera, macina riff con cattiveria. Ad esclusione di “Saints Of Los Angeles” viene presentata una carrellata di classici, da “Live Wire” a Don’t Go Away Mad”, passando per “Piece Of Your Action” e “Same Old Situation”, anche se le più osannate sono come prevedibile “Dr Feelgood” e “Girls Girls Girls”. Il tempo vola e siamo agli sgoccioli quando sul palco compare un pianoforte e Tommy Lee attacca una riuscitissima “Home Sweet Home”. Il concerto è così compatto che non si può neanche parlare di bis, Mars improvvisa un assolo e poi parte il gran finale con una “Kickstart My Heart” a dir poco adrenalinica, che dopo 90 minuti pone fine alle danze. C’è tempo per i saluti prolungati, per la band è l’ultima data prima del ritorno a casa e sul palco arrivano dei barili che vengono svuotati sul pubblico. Purtroppo non sono né dollari né petrolio, bensì litri e litri di sangue finto.
L’umore in casa Motley è sempre instabile, chissà se si tratta di un addio o un arrivederci; quello che conta oggi è che sia stata spazzata via l’insipida esibizione del Gods 2009, degna conclusione di una giornata che ha concentrato in dieci ore il meglio dell’hard rock mondiale.

Setlist:

1. Wild Side
2. Live Wire
3. Too Fast For Love
4. Saints Of Los Angeles
5. Shout At The Devil
6. Don’t Go Away Mad (Just Go Away)
7. Same Ol’ Situation (S.O.S.)
8. Looks That Kill
9. Piece Of Your Action
10. Primal Scream
11. Smokin’ In The Boys’ Room (Brownsville Station Cover)
12. Drum Solo
13. Dr. Feelgood
14. Girls, Girls, Girls
15. Home Sweet Home
16. Kickstart My Heart

 

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