Live Report – Gods Of Metal 2012 – Venerdì 22 giugno
Ci sono giorni che vengono riempiti di aspettative e vissuti con attesa spasmodica, come un miraggio per mesi: il 22 giugno era uno di questi. Non tanto perché al Gods of Metal fosse il turno dei Guns, ma perché la line-up della giornata sembrava fin da subito azzeccatissima: giganti redivivi, nuove leve e interessanti promesse, oltre a un intrigante connubio di gusti che passa con disinvoltura dall’hard rock al blues, dal gothic sinfonico al southern. Tutto in 24 ore. Unico neo, il caldo. Ma vediamo com’è andata.
Live report a cura di Emanuele Villa
Mattinata intensa, ma la gente è poca
Sono da poco passate le 9, la lancetta è già vicina ai 30 gradi. Cancer Bats e Axewound scaldano le prime ore della mattinata di fronte a una piccola folla di “fedelissimi”, ma tocca agli Ugly Kid Joe in formazione quasi-originale (batterista escluso) regalarci il primo momento/nostalgia della giornata: a dispetto della breve esibizione e dell’ora inusuale, Whitfield Crane non si risparmia, infonde energia e regala ai rockettari più navigati qualche perla d’inizio anni ’90. Tra Cats in the Cradle, Everything about you e Milkman son, eseguite a regola d’arte con un sound molto asciutto e potente, i fan di vecchia data vivono le prime emozioni del giorno; vista inoltre l’esigua presenza di pubblico, Crane si lascia andare a un “fuori programma” particolarmente gradito: scende dal palco durante l’esibizione e, senza tradire alcun tipo di incertezza, si mette a cantare in mezzo al (poco) pubblico presente, che apprezza senza mezzi termini. Unica pecca, un’esibizione troppo corta, ma non è colpa loro: per il resto, partiamo col piede giusto.
Cavalera riscalda gli animi
Di tutt’altro tenore la performance dei Soulfly, quaranta minuti di energia pura stemperata unicamente dal caldo asfissiante (ormai siamo oltre mezzogiorno): Cavalera e soci propongono un mix interessante di pezzi recenti e qualche hit targata Sepultura (Refuse/Resist e Roots Bloody Roots su tutte), catturando i favori degli irriducibili che, per puro istinto di sopravvivenza, cercano di farsi annaffiare dal personale di sicurezza. Lo stacco rispetto all’esibizione precedente è nettissimo, il sound volutamente ruvido ma abbastanza intelligibile e il vocione di Cavalera emerge senza troppi problemi dal tappeto ritmico. Scenografia ridotta al minimo, giusto un paio di loghi della band e la “sorpresa” dell’ingresso della Cavalera-family sul finale contraddistinguono un’esibizione che non rimarrà negli annali ma comunque diligente, professionale e ben eseguita.
Più nel mistero è invece la performance dei Rival Sons: il gruppo blues-rock californiano inizia con un leggero ritardo e, nonostante riproponga alcuni punti saldi del proprio repertorio, non impressiona come vorrebbe. La voce “zeppeliniana” di Jay Buchanan emerge fin troppo dal tappeto ritmico, concentrando su di sé tutte le attenzioni: lo show è ridotto al minimo, la scenografia latita e il sound non è sempre ben intelligibile, bordate vocali a parte. Una performance che i fan avranno apprezzato senz’altro, ma gli altri hanno preferito attendere (rigorosamente all’ombra) le star della giornata.
Black Stone Cherry e Killswitch Engage, il gioco si fa interessante.
Preferenze personali a parte, l’esibizione della band del Kentucky ha segnato una sorta di linea di demarcazione tra la torrida (ma sotto certi versi anche sonnolenta) mattinata e l’energico pomeriggio. Non che i Black Stone Cherry siano dei trascinatori indiscussi, ma l’impressione che il pubblico si sia svegliato dal torpore è stata netta. Esibizione molto professionale, sottolineata dalla grinta di un instancabile Ben Wells e dall’ugola magica di Chris Robertson, che non sarà un gran uomo di spettacolo (fermo in mezzo al palco per un’ora), ma si conferma una delle migliori voci in circolazione. Tutto questo assistito dalla batteria “potente e minimale” di John Fred Young. Scaletta apprezzabile, con White Trash Millionaire, Like I roll, Blind Man e Blame it on the boom boom a farla da padrone, ma forse si è sentita la mancanza di altri classici più soft come You o Things my father said: in ogni caso il pubblico ha apprezzato, cantato, seguito con attenzione. E anche noi.
Più difficile da valutare la performance dei Killswitch Engage: il gruppo metalcore del Massachusetts ci ha messo l’anima, credendoci fino in fondo e offrendo una performance degna di menzione, seguita con grinta da un gruppo di fan che inizia ad essere nutrito (ma forse un po’ meno corposo rispetto alla band precedente). Nulla da eccepire sull’impegno, la grinta e l’esecuzione tecnica: i fan hanno anche apprezzato la scelta dei brani (da Fixation on the Darkness a My Curse). Piuttosto, qui si sarebbe potuto fare qualcosa in più in termini di qualità del sound, che è sembrato a tratti un po’ impastato e troppo focalizzato sulla gamma bassa, che – come è noto – va a inghiottire il cantato e le chitarre.
Sebastian Bach, il vincitore
Volessimo eleggere un artista-simbolo di questa seconda giornata di Gods of Metal, il suo nome sarebbe senz’altro Sebastian Bach. Un’energia d’altri tempi, una capacità di coinvolgere che nessun altro ha dimostrato: arriva, rompe il microfono, interrompe lo show, riprende, urla, corre, canta e salta per un’ora. Finalmente il pubblico c’è, si sente e si vede, segue con partecipazione non solo le nuove hit (Kicking and Screaming sopra tutte), ma soprattutto i grandi classici firmati Skid Row, eseguiti dal primo all’ultimo. Lui è in forma strepitosa ed esegue alla perfezione 18 and life, I remember you, Monkey Business e Slave to the Grind, per la gioia del pubblico. Tra una canzone e l’altra interagisce, carica i fan, fa roteare il microfono, li prepara all’arrivo dei Guns e si scatena in urli d’altri tempi. Se la giornata fosse finita qui, sarebbe valsa l’acquisto del biglietto.
Setlist:
Slave To The Grind
Kicking & Screaming
Dirty Power
Here I Am
Big Guns
(Love Is) A Bitchslap
Stuck Inside
Piece of Me
18 and Life
American Metalhead
Monkey Business
I Remember You
Youth Gone Wild
Dopo una “mezzoretta accademica” è toccato ai Within Temptation catturare le attenzioni del pubblico. Scenografia minimale: i video wall usati nel tour per introdurre Shot in the Dark qui semplicemente non ci sono e il tutto si riduce ad un minuto di monologo che culmina con l’entrata in scena di Sharon den Adel. La band esegue una scaletta molto interessante e incentrata sulle hit più recenti (Shot in the Dark, Faster, In the middle of the night, Angels, What have you done), lei canta divinamente nonostante qualche problema con il microfono (si sente qualche scarica e fruscio) e il mixing è ottimale. Il pubblico, stremato da Bach e già rivolto ai Guns, è molto più freddo rispetto all’esibizione precedente: i fan hanno apprezzato, ma a livello di partecipazione emotiva non c’è paragone con prima. Lei ci mette l’anima ma la band è ferma, più interessata a una prestazioni diligente che a lasciare il segno: i ritmi meno esasperati rispetto al repertorio di Bach rendono più difficile scaldare gli animi, ma con un minimo di rigidità in meno (da parte della band), sarebbe stato un concerto davvero strepitoso. In ogni caso, apprezzabile.
Setlist:
Mother Maiden
Shot in the Dark
In the Middle of the Night
Faster
Ice Queen
Fire and Ice
Our Solemn Hour
Stand My Ground
Sinéad
What Have You Done
Iron
Angels
See Who I Am
Where Is the Edge
Mother Earth
Guns ‘n’ roses, dulcis in fundo
Finalmente tocca ai Guns, o meglio ad Axl Rose circondato da una folla di comprimari: 3 chitarre, ridondanti ai fini pratici ma determinanti per lo show, due tastiere, effetti speciali, fuori d’artificio, coriandoli e chi più ne ha più ne metta. 15 minuti di ritardo rispetto al previsto, e si parte: DJ Ashba spunta dal nulla e introduce Chinese Democracy, due esplosioni caricano il pubblico ed esce lui, il cinquantenne Axl in jeans, maglietta, giacca di pelle, occhiali da sole, bandana e cappello. Che sia lui si intuisce, non si vede. Il gusto hi-tech è marcato: 3 video wall, LED colorati da tutte le parte, fuochi pressoché continui (ecco perché i vigili del fuoco sono ovunque), effetti di luce coloratissimi e, soprattutto, una band che corre, salta ed è intenzionata a fornire non solo un’esibizione musicale ma un vero e proprio spettacolo. Lui sembra in discreta forma, nonostante non parli tra i brani, non interagisca particolarmente col pubblico e non corra più come un tempo: l’Axl di Torino 1992 è ovviamente un lontano ricordo. Ma la voce c’è e la voglia di dare emozioni anche: più che sufficiente. La scaletta è ottima: alcuni brani recenti, ma soprattutto vengono riproposte tutte le hit del passato, a partire dall’evergreen Welcome to the Jungle, ma senza dimenticare Rocket Queen, Mr Brownstone, Don’t Cry, November Rain, Nightrain e molte altre, per uno spettacolo che supera senza problemi le tre ore. Tecnologia a parte, la struttura ricorda da vicino quella degli anni ’90: tre-quattro canzoni “tirate” all’inizio, sezione melodica, gran finale. Ma soprattutto Axl dà spazio a tutti i suoi musicisti permettendo loro di proporre assoli e pezzi inediti: abbiamo apprezzato soprattutto l’assolo di DJ Ashba, emozionante, melodico e non esasperatamente tecnico. Si pensa che il concerto possa finire intorno alla mezzanotte ma lui si sta divertendo, partecipa molto di più, balla e salta: Axl si è svegliato e non ha nessuna intenzione di chiudere. Chiede al pubblico il “permesso” di suonare ancora “un paio di brani” e va avanti un’altra ora, chiama sul palco l’amico Sebastian Bach e duetta con lui in un’adrenalinica My Michelle, prima di entrare in fase soft con Patience e chiudere le danze con l’intramontabile Paradise City: esplosioni, fuochi, fumo e coriandoli colorati ci ricordano che lo spettacolo sta per concludersi. Sono passate 3 ore e circa 30 brani: è stato intenso, veramente uno spettacolo. Alla prossima.
Setlist:
Chinese Democracy
Welcome To The Jungle
It’s So Easy
Mr. Brownstone
Sorry
Rocket Queen
Estranged
Better
Guitar Solo (Richard Fortus)
Live And Let Die
This I Love
Motivation
Piano Solo (Dizzy)
Street Of Dreams
You Could Be Mine
Guitar Solo (DJ Ashba)
Sweet Child O’ Mine
jam strumentale
Piano Solo (Axl)
November Rain
Glad To Be Here
Don’t Cry
Civil War
Shackler’s Revenge
Whole Lotta Rosie
Knockin’ On Heaven’s Door
Nightrain
Madagascar
Dead Flowers
Used To Love Her
My Michelle (duetto con Sebastian Bach)
Patience
Paradise City