Live report: Gojira – Dublino, Whelans
Che i Gojira fossero una realtà affermata penso che ce ne fossimo accorti tutti; che fossero del tutto in grado di rivaleggiare con gruppi considerati oggi “il top” del metal “estremo” (virgolette d’obbligo, per questi ultimi) in ambito live, e mangiarseli a colazione, non ancora. Perlomeno, pochi ne avevano avuto conferma.
Ecco quindi che la loro prima apparizione da headliner al classico Whelans di Dublino assume davvero l’importanza di un vero evento: il locale, ne abbiamo parlato, è un pub con sala concerti che ha visto davvero ogni tipo di artista avvicendarsi, e questa sera è addirittura sold-out (non era successo nemmeno coi Nile!); i gruppi sono tre in totale, le aspettative altissime.
Si inizia con i Pilgrimz, semisconosciuti danesi alle prese con il più classico metalcore possiate immaginare: quartetto che basa tutto sull’impatto, possono effettivamente contare sulla buona presenza scenica del frontman Max, e soprattutto sulla sua potente ugola. Uno show molto punk il loro: one-two-three-four e si attacca con pezzi molto simili tra loro, dalle strutture estremamente semplici, e senza arrangiamenti di grande complessità. Di discreto effetto dal vivo, personalmente dubito che su disco riesca a farsi ricordare a lungo.
Passato l’ingrato momento degli opener, è il momento dei britannici The Eyes of a Traitor, attaccati a tutti gli stilemi emo-(metal)-core vi possano venire in mente. Quando questi cinque ragazzini con pettinature alla moda e t-shirt Hollywoodiane prende il palco, obiettivamente è difficile trattenere un sorriso; che si allarga quando il batterista Sam Brennen chiama i compagni per fare cenno di partire dopo il suo “quattro” (scena che si ripeterà diverse volte, peraltro). Metalcore con voce urlata e cori puliti, forniti dal volenteroso bassista Paul (che a occhio e croce sembra avere circa 18 anni): ben lungi dall’essere bambini prodigio, i TEOAT si distinguono più che altro per la buona volontà, ma ci si chiede davvero cosa abbia spinto la Listenable Records, nota per avere un roster di primissima qualità, a metterli sotto contratto. I brani scivolano sopra le teste dei presenti senza lasciare grande traccia, e il gruppo intuisce che conviene puntare sull’attesa per gli headliner quando la folla inizia a intonarne il nome.
Ecco quindi che, dopo un professionalissimo ma interminabile cambio di palco, è il turno dei francesi Gojira: della loro importanza per rinfrescare le sonorità estreme abbiamo parlato ovunque, ma vederli su palco rende davvero l’idea dello spirito, dell’impegno e della capacità dei “bravi ragazzi del metal estremo”, ambientalisti, etici e maledettamente coinvolgenti.
Joe Duplantier sembra quasi stupito dal boato del Whelans quando parte il riff di Oroborus: il locale è ormai completamente stipato, galleria compresa (eh sì, qui la maggior parte delle sale da concerto ha la galleria per chi non vuole farsi stritolare dal pogo), e si inizia subito con un mosh letteralmente assassino, che si fermerà solo sui brani più lenti. Il quartetto transalpino è semplicemente una macchina: mettete la precisione dei Meshuggah con l’entusiasmo dei Samael (il bassista Jean-Michel Labadie si spende completamente nella presenza scenica), unitelo a una manciata di pezzi che sono già storia, e avrete descritto in poche righe il concerto dei Gojira di questa sera. Il loro tipico stile, caratterizzato da una batteria fondamentale nel fornire le variazioni al riffing (spessissimo basato su lunghissimi tapping) dei chitarristi Duplantier e Andreu, visto in prima persona risulta decisamente imperdibile.
I brani sono scelti principalmente dagli ultimi due capolavori, From Mars To Sirius e The Way Of All Flesh, anche se non mancano i salti indietro nel tempo, con un paio di highlights di The Link utilizzati per uccidere definitivamente i presenti. Tra le immancabili pinte volanti, il gruppo riversa sull’audience i momenti migliori del proprio repertorio quindi, saltando incomprensibilmente solo una Esoteric Surgery che sembrava destinata a chiudere la serata. La title-track dell’ultimo disco ma anche Vacuity e To Sirius sono sicuramente i momenti di picco, con il gruppo costretto a chiedere la presenza di un paio di uomini della security del locale per arginare l’entusiasmo dei fan.
La serata si conclude con le immagini proiettate sullo schermo sopra al palco che sfumano in un inedito disegno animato, basato sull’artwork dell’ultimo album, e i Gojira che dichiarano (e non fatico a crederci, per una volta), che questa data è la migliore per pubblico che abbiano visto sinora nel tour UK. Più di così, credo che la struttura stessa del locale avrebbe avuto seri problemi. Ma ne sarebbe comunque valsa la pena, visto il patrimonio musicale riversato sui presenti.
Concerto da ricordare: ce ne fossero tutti i giorni così…
Alberto Fittarelli