Live Report: Graspop 2018 21-24/06/2018
Batushka
I Batushka sono un gruppo sì molto interessante, ma anche con un problema: i loro concerti sono tutti identici.
Se vederli una volta può destare meraviglia, il loro show è certo particolare e ben congegnato, vederli di nuovo può già causare qualche sbadiglio.
Il motivo è presto detto: i polacchi hanno pubblicato un album solo di otto canzoni e questo è tutto quello che suonano ad ogni concerto.
In aggiunta i Batushka hanno sviluppato una scenografia molto bella ed interessante, ma anche qui ripetuta in maniera identica ogni volta.
Anche sul palco del Graspop quindi sentiamo gli otto pezzi di “Litourgiya” nell’ordine in cui compaiono nell’album, e assistiamo alla “liturgia” dei polacchi che compaiono vestiti in abiti pseudo-ecclesiastici e che usano incensi e candele.
Insomma, uno spettacolo ben congegnato di corredo ad un’ottima musica, ma anche uno spettacolo fotocopia che se visto più volte rischia facilmente di annoiare.
Accept
Sul secondo Main Stage salgono gli Accept, leggendaria band tedesca che dalla reunion di una decina di anni fa sta vivendo una seconda giovinezza, anche grazie al nuovo cantante Mark Tornillo.
Guidati dal chitarrista Wolf Hoffmann (qui la nostra intervista), i cinque salgono sul palco e partono subito con una micidiale doppietta di canzoni nuove, ‘Die By the Sword’ e ‘ Pandemic’ per poi tornare indietro nel tempo e lanciarsi in una devastante serie di classici, ‘Restless and Wild’, ‘Princess of the Dawn’, ‘Fast as a Shark’ e ‘Metal Heart’.
L’effetto è galvanizzante sul pubblico, accorso molto numeroso, che urla a gran voce l’apprezzamento per le canzoni e la band; segue poi un’altra canzone dell’era Tornillo, ‘Teutonic Terror’, ormai diventata un classico.
Si torna poi nuovamente indietro nel tempo con ‘Balls to the Wall’ che chiude il concerto con una cascata di metallo incandescente.
Peccato per il poco tempo a disposizione, tanti classici vecchi e nuovi sono rimasti fuori dalla scaletta, ma esibizione potentissima.
Kreator
I Kreator sono una certezza: concerto dopo concerto si confermano sempre come una macchina da guerra.
Concerti energici, veloci, violenti, cosa si può voler di più da un gruppo Thrash?
La scaletta, come sempre negli ultimi tempi, si concentra principalmente sui pezzi più recenti; si parte con ‘Phantom Antichrist’ e si continua con ‘Hail to the Hordes’, canzone tratta dall’ultimo album “Gods of Violence”, disco che avrà lo spazio maggiore durante il concerto.
Mille Petrozza macina riff su riff ed incita il pubblico che non si fa pregare: il circle pit gira velocissimo e il pogo si muove entusiasta sulle note di ‘Enemy of God’, ‘Satan is Real’ e le altre canzoni suonate.
Arrivati a ‘Fallen Brother’ canzone sempre dedicata ai colleghi scomparsi, con tanto di fotografie di Cliff Burton, Dio, Lemmy e compagnia che scorrono sugli schermi, Petrozza prende il microfono per dedicarla specificamente a Vinnie Paul purtroppo scomparso proprio il giorno dello show.
Arrivati alla decima canzone Mille ne annuncia un ultima, la title-track del classico secondo album dei Kreator, “Pleasure to Kill”; la violenza sopra e sotto palco impazza come e più di prima, mentre il pogo si scatena un ultima volta per salutare i tedeschi.
Micidiali.
Megadeth
Quello dei Megadeth al Graspop potrebbe essere singolarmente il concerto più bello suonato dalla band ad un festival da molti anni a questa parte.
Negli ultimi anni, infatti, la band di Dave Mustaine si era come impigrita finendo a suonare una setlist sempre molto simile, quantomeno nei festival, con un numero di pezzi quali ‘She-Wolf’, ‘Trust’ e ‘A Tout le Monde’ non esattamente all’altezza dei capolavori Thrash dei primi album degli americani.
Non può quindi non lasciare stupiti – o anche a bocca aperta – una scaletta che include ‘The Conjuring’ (reintrodotta in scaletta da una manciata di concerti, e prima di questi non suonata dal 2001), ‘My Last Word’ (dedicata a Vinnie Paul e non suonata dal 2010) e la doppietta ‘Mechanix’ e ‘Rattlehead’ verso la fine dello show.
Tra queste chicche poi troviamo capolavori a cui siamo più abituati, ma non per questo meno belli, come ‘Take No Prisoners’, ‘Peace Sells’ e Holy Wars…The Punishment Due’.
E’ vero, la voce di Dave non è più quella di una volta (ad essere gentili), ma, se la voce mancante è un problema fisico a cui si può fare poco, i Megadeth rimediano abbondantemente con una performance energica e un’esecuzione impeccabile di pezzi tecnicissimi.
Bravi, bravissimi.
Bloodbath
In chiusura al terzo giorno di festival troviamo il supergruppo svedese dei Bloodbath.
I cinque salgono sul palco, come da tradizione, ricoperti di sangue ed il massacro ha inizio.
Purtroppo la performance è parzialmente rovinata da suoni non perfetti, almeno nelle prime file, con dei bassi pompatissimi che rendono a volte confuse le canzoni.
Concentrandoci sull’esecuzione, però, gli svedesi sono intoccabili: precisi, potenti e maligni come ci si aspetta da un gruppo Death Metal.
Nick Holmes alla voce ringhia i testi delle canzoni in modo convincente: certo, non è Mikael Åkerfeldt, ma riesce a fare il suo sporco lavoro in maniera dignitosa.
La scaletta è molto ben assortita andando a pescare a piene mani da tutti gli album della band, dall’EP “Breeding Death” e addirittura regalandoci una cover di ‘Blood Bath’, la canzone che ha dato nome alla band, dei seminali Cancer; avendo solo quattro album all’attivo, i Bloodbath riescono a rappresentarli tutti degnamente suonando tre canzoni per album, ad esclusione di “The Fathomless Mastery” da cui ne suonano solo due.
Peccato per i problemi di suoni, ma l’ennesima ottima performance che ci fa chiudere il penultimo giorno di Graspop con un sorriso in faccia.