Live Report: Graspop 2018 21-24/06/2018
Mantar
Il nostro ultimo giorno inizia con i Mantar, gruppo tedesco che negli ultimi tempi ha raccolto grandi consensi, e basta vederli dal vivo per pochi minuti per capire il perché.
Dediti ad un genere che forse si potrebbe definire Sludge Metal, ma con una forte componente Punk, i tedeschi sono solo due ma non fanno sentire la mancanza di altri strumenti.
Il batterista Erinc, che mostra il fianco al pubblico invece che essere posizionato frontalmente come quasi tutti i batteristi, colpisce le pelli con grande energia, ma tutta l’attenzione non può che essere catturata da Hanno, il cantante e chitarrista: questi infatti fa un headbanging scatenato mentre si muove da un lato all’altro del palco, si butta per terra, incita il pubblico, tutto senza smettere mai di suonare.
Quando canta lo fa con una grandissima intensità, urlando le parole nel microfono con passione, per poi riprendere ad agitarsi quando non deve cantare.
Si potrebbe pensare che la mancanza di un bassista si faccia sentire prima o poi, ma i due tedeschi suonano con una potenza tale che viene mai da desiderare un terzo uomo sul palco.
Da vedere.
Hollywood Vampires
All’arrivo degli Hollywood Vampires sul palco la zona davanti al Main Stage 1 è gremita, ed è facile capire perché: la band è formata da due leggende del Rock, Alice Cooper e Joe Perry, e da un divo di Hollywood, Johnny Depp.
Nati come gruppo per celebrare gli “amici morti” di Cooper (sue testuali parole), suonando cover di canzone che hanno forgiato la nostra musica preferita, la band ha anche scritto un numero di canzoni originali ed è al lavoro su un nuovo disco.
Il tempo a disposizione è generoso e i tre (e i quattro che li accompagnano, chitarrista, bassista, tastierista e batterista) riescono a suonare ben quindici canzoni; appena saliti sul palco partono con due pezzi originali, ‘I Want My Now’ e ‘Raise the Dead’, per poi passare ad una cover dei Doors, ‘Five to One’ che si trasforma in una ‘Break on Through (to the Other Side)’.
Si continua poi con ‘The Jack’ degli AC/DC e ‘Ace of Spades’ (dobbiamo dirvi di chi?) mentre alla voce si alternano i musicisti sul palco: se Cooper è l’unico che non suona uno strumento, e quindi giustamente gli viene lasciato il microfono per la maggior parte delle canzoni, su alcune canzoni però lo Shock Rocker lascia spazio ai colleghi.
Proprio sul pezzo dei Motörhead è il bassista a cantare, mentre su ‘Combination’ degli Aerosmith è Joe Perry a spostarsi dietro al microfono; anche Johnny Depp non è da meno cantando ‘People Who Died’ della Jim Carroll Band e la leggendaria ‘Heroes’ di David Bowie.
Se molti sono venuti per la curiosità di vedere Depp da vicino, e molti erano scettici – è un attore, cosa vuole fare sul palco vicino a certe leggende – bisogna dire che questi se la cava bene, pur rimanendo relegato alle parti ritmiche ad eccezione di un paio di brevi assoli, e grazie anche ad una grande presenza scenica (non per nulla è un attore) è una presenza piacevole sul palco; anche quando canta se la cava bene, in particolare su ‘Heros’ dove la sua voce è particolarmente azzeccata e ricorda vagamente quella del Duca Bianco.
Gruppo interessante, un loro show non cambia la vita ma è sicuramente piacevole sentire certe canzoni leggendarie reinterpretate da musicisti leggendari.
Judas Priest
Dopo delle leggende americane torniamo nel nostro continente con delle leggende inglesi, i Judas Priest!
Dopo l’uscita dell’ottimo “Firepower” la band è in tour purtroppo senza Glenn Tipton che a causa del Parkinson ha deciso di lasciare il lato live della band per non inficiarne gli show; al suo posto l’ottimo Andy Sneap, già produttore della band e di tanti altri, oltre che chitarrista degli Hell e dei Sabbat, che se la cava egregiamente.
La band apre il concerto proprio con la title-track dell’ultimo album per boi balzare indietro di quasi quarant’anni con ‘Grinder’; tutto il concerto sarà un salto da un album all’altro, dando un buono spazio a molti dei leggendari dischi della band.
Abbiamo quindi ‘Sinner’, la nuova, ottima, ‘Lightning Strike’, poi ‘Bloodstone’ e ‘Turbo Lover’, insomma, tutti i periodi della band vengono degnamente rappresentati.
Dopo dieci canzoni la band si lancia in una potentissima ‘Painkiller’ su cui un Rob Halford straordinario caccia urli che alla sua età non credevamo più possibili.
Dopo una breve pausa Halford prende il microfono per introdurre un amico, è Glenn Tipton!
Il chitarrista infatti questa sera si sente abbastanza bene da poter salire sul palco per il bis e quindi imbracciata la chitarra si lancia in un micidiale tris di classici leggendari, ‘Metal Gods’, ‘Breaking the Law’ e ‘Living After Midnight’.
Show fantastico impreziosito dalla presenza dall’inossidabile leggenda che è Glenn Tipton.
Questo è il Metal!
Ozzy Osbourne
L’ultimo headliner di questo festival è uno dei personaggi più leggendari del nostro genere preferito, Ozzy Osbourne.
Inutile perdersi in tante parole, tutti sanno chi è, cos’ha fatto e cosa canta: la sua esibizione vede infatti tutto il pubblico cantare praticamente ogni parola uscita dalle cassa, tra i tanti pezzi solisti del Madman e la manciata di canzoni dei Black Sabbath.
In questo tour di addio, il secondo per Ozzy, -ma questa volta giura essere davvero l’ultimo – vediamo il ritorno alla chitarra di Zakk Wylde, un ritorno certo molto apprezzato da tutti per quanto il suo rimpiazzo Gus G fosse innegabilmente abile.
Il concerto parte con ‘Bark at the Moon’ e prosegue con due pezzi del leggendario primo album solista, ‘Mr. Crowley’ e ‘I Don’t Know’, per continuare con una canzone dei Sabbath, ‘Fairies Wear Boots’.
Già qui, che dire? Pezzi leggendari su pezzi leggendari, la band è in formissima e pure Ozzy canta abbastanza bene, per quanto a Firenze pochi giorni prima aveva fatto anche di meglio, ed è comunque visibilmente entusiasta mentre si muove su e giù per il palco ad incitare il pubblico.
Lo show procede fino a che il cantante si ritira dietro le quinte a riprendere fiato mentre Zakk si lancia in un lunghissimo assolo; giusto questo è l’unico neo della serata dato che è veramente troppo lungo e fine a sé stesso.
Se all’inizio è divertente vedere il chitarrista venire sottopalco a suonare davanti alle prime file, ed esaltanti i suoi virtuosismi, questi si protraggono un po’ troppo a lungo e finiscono per annoiare.
Una volta tornato sul palco è il turno di un assolo di batteria, questo un po’ più breve e piacevole, prima del ritorno di Ozzy.
Dopo qualche canzone, tra cui ‘Crazy Train’ uno dei pezzi più noti della carriera solista del cantante, Ozzy torna dietro le quinte ma è presto richiamato dal pubblico per il gran finale.
Dopo una commovente ‘Mama, I’m Coming Home’ torniamo in casa Black Sabbath con una magica ‘Paranoid’ che conclude un bellissimo show.
Grazie Ozzy.
A Perfect Circle
Lo show conclusivo di tutto il festival spetta agli A Perfect Circle che, dopo aver pubblicato il primo album in tanti anni, tornano in Belgio a distanza di ben 15 anni dall’ultimo concerto.
Grande spazio è dato proprio all’ultimo album, “Eat the Elephant”, da cui sono tratte sei canzoni su tredici suonate.
Il concerto si apre con ‘Counting Bodies Like Sheep to the Rhythm of the War Drums’, una delle uniche due canzoni originali contenute nell’album di cover “eMOTIVe”, per poi continuare con la nuova ‘Hourglass’ e tornare indietro a “Mar de Noms” con ‘The Hollow’.
Maynard James Keenan canta per tutto il concerto arroccato sul suo piedistallo sul fondo del palco, illuminato a malapena dalle luci che ne evidenziano solo il profilo; una maledizione per chi vuole fotografarlo, ma indubbiamente un bell’effetto visivo.
I pezzi nuovi non sfigurano davanti alle canzoni più vecchie, brani come ‘Disillusioned’ e ‘The Doomed’ sono ottimi e suonati dal vivo rendono anche di più che sul disco; molto bella anche ‘So Long, and Thanks for All the Fish’ pezzo insolitamente allegro per gli standard della band, ma con anche una vena malinconica di sottofondo che emerge facendo attenzione al testo.
Dopo dodici canzoni gli A Perfect Circle si lanciano in una canzone finale insolita, una cover di ‘Dog Eat Dog’ degli AC/DC dedicata a Malcolm Young; pezzo decisamente inaspettato dalla band (suonato solo una manciata di volte prima del Graspop e, ad oggi, suonato per l’ultima volta proprio in Belgio) ma adattamento molto interessante.
Bel concerto che chiude degnamente un Graspop di grandissime esibizioni.