Live Report: Halestorm a Milano
HALESTORM + DAYSHELL + THE SMOKING HEARTS
28/04/2014 @Magazzini Generali, Milano (MI)
Gli Halestorm sono una band che conosco da un po’ di tempo ma che ho iniziato ad apprezzare per davvero piuttosto di recente; più o meno da quando ho potuto avere tra le mani “The Strange Case Of…“, l’album che li ha definitivamente lanciati nell’Olimpo delle hard rock band moderne dopo un debutto più che discreto ma ancora un po’ troppo legato ad alcuni dettami figli del post grunge. Inutile, quindi, sottolineare la trepidante attesa che ha scandito i mesi intercorsi tra l’annuncio della data milanese e il suo effettivo svolgersi e meglio concentrarsi sulla cronaca della serata, vista la grande quantità di carne al fuoco.
Complici il groviglio di strade, binari del tram e ZTL tipico del capoluogo lombardo, nonché un navigatore GPS a dir poco bizzoso, arrivo in quel dei Magazzini Generali poco prima delle 19 e 25, appena in tempo per vedere solamente il finale di concerto della prima band di giornata, i The Smoking Hearts. A primo ascolto, i londinesi propongono un heavy rock melodico dal taglio decisamente moderno, non troppo lontano da gruppi come Hinder e Theory Of A Deadman, ma con qualche pennellata di growl/scream in piú a dare al tutto un forte retrogusto emo/core. La tenuta del palco è decisamente buona (come testimonia l’alto gradimento del parterre, in buona parte al femminile) sicché, pur non proponendo nulla di eccezionale, i The Smoking Hearts si fanno valere, fornendo un discreto antipasto in attesa dei ‘big’.
Ore 19 e 50 e tocca alla seconda band in cartellone: i californiani Dayshell, in sostanza il nuovo gruppo dell’ex voce melodica degli Of Mice & Men, Shayley Bourget. Scelta strana, dunque, visto il genere proposto dagli statunitensi, anni luce lontano dall’hard rock (pur modernista) dei fratelli Hale; bando ai pregiudizi, ad ogni modo, e spazio alla musica. L’apertura dello show non è, ad onor del vero, di quelle che lasciano il segno: poco impatto, ancor meno velocita e la batteria di Raul Martinez troppo avanti, a sovrastare tutto. Meglio la seconda in scaletta: piú melodica con una maggiore interazione da parte del cantante, perennemente in bilico tra clean vocals e improvvise impennate in screaming strappa corde vocali che fanno molto 30 Seconds To Mars. La terza difetta di nuovo velocitá e in definitiva di violenza; probabilmente non un grosso problema per i patiti delle frange piu morbide dell’emo/metalcore, viceversa un difetto non da poco per chi fosse in cerca di emozioni (piú) forti. La successiva “Edge Of The World” si apre all’insegna dell’elettronica ma la situazione non cambia di molto; seguono “Aimless”, “Hail To The Queen” e “Share With Me” e finalmente ci imbattiamo in una tripietta di pezzi piu scorrevoli e coinvolgenti, sempre sulle orme della band di Jared Leto, ma con maggior spazio lasciato a interessanti armonizzazioni vocali. La chiusura, in crescendo, viene infine affidata ad “I Owe Nothing”, senza dubbio la più metallica della serata e tra le meglio riuscite. Di nuovo, come per i The Smoking Hearts, non uno show (né un gruppo) da tramandare ai posteri ma un’esibizione più che dignitosa, seppur piuttosto fuori contesto in una serata dominata dall’attesa per le sonorità dal taglio più rockettaro degli Halestorm.
Giungono le 21 e giunge finalmente il turno degli headliner: Lzzy e i suoi entrano ad uno ad uno sul palco mentre le luci sono ancora basse e attaccano con una delle hit maggiori di “The Strange Case Of…”: la durissima “I Miss The Misery”. La presenza c’è tutta (la Hale è semplicemente bellissima e tutta l’attenzione del pubblico maschile è catalizzata, manco a dirlo, su di lei e sulla sua proverbiale grinta) ma, per dovere di cronaca, è altrettanto d’obbligo rimarcare come le condizioni vocali della cantante statunitense appaiano fin da subito non ottimali. Le difficoltà permangono anche nella successiva “Love Bites (So Do I)” (e saranno purtroppo una costante lungo tutta l’esibizione) tuttavia la resa del quartetto non appare troppo limitata, come conferma una scaletta a tutta birra, aggredita con veemenza dalla fulva leonessa, intenta a dispensare aspri ruggiti alternati a luminosi sorrisi. Di fianco a Lzzy, per quanto decisamente oscurati dalla sua presenza, trovano timidamente spazio Joe Hottinger alla chitarra e Josh Smith al basso, ma l’unico che riesca realmente nell’impresa di rubare a tratti la scena alla straripante frontwoman è proprio suo fratello Arejay. Il biondo batterista è, infatti, uno spettacolo nello spettacolo, tra continui cambi d’abito, pose e smorfie a più non posso, fino ad uno degli assoli di batteria più divertenti che mi sia mai capitato di vedere. In esso trovano spazio, oltre ai tipici numeri circensi di scuola Peart/Aldridge, vari accenni di hit storiche come “Rock ‘n’ Roll All Nite” (Kiss), “Dirty Deeds Done Dirt Cheap” (AC/DC) e “Last Resort” (Papa Roach) oltre a mille e più scherzi e trovate, grazie ai quali Arejay si ritrova addirittura a saltare bendato sulla grancassa e a suonare con delle bacchette giganti. Fantastico!
Delle condizioni vocali non ottimali della Hale si è detto, ma la sua prestazione è stata in ogni caso di quelle tutte cuore e muscoli. Testimonianza ne siano le spettacolari cover di Dio e Judas Priest (“Straight Through The Heart” e “Dissident Aggressor” rispettivamente), come pure le elettriche “Don’t Know How to Stop”, “Rock Show”, “Mz Hyde” e “Get Off”, tutte quante da dieci e lode e solo lievemente penalizzate dal punto di vista del cantato. Stessa cosa non si può purtroppo dire della splendida “Break In”, ballata per sola voce e pianoforte indubbiamente ardua da affrontare in una simile serata, eppur resa emozionantissima da un’interpretazione molto sentita oltre che dall’apprezzatissima dedica ai fan. A convincere, in effetti, lungo tutta la serata, oltre alla bella prestazione offerta da tutta la band, è stato proprio l’atteggiamento dei quattro musicisti. Divertiti e divertenti, grintosi e sicuri di sé ma mai spocchiosi quanto piuttosto estremamente riconoscenti verso un pubblico di giorno in giorno sempre più numeroso.
Dopo la pausa di rito giunge il turno del tradizionale encore e, dopo aver annunciato di essere in fase di stesura del nuovo album, gli Halestorm ci concedono una piccola (ma onestamente non tracendentale, NdJ) anticipazione del prossimo album in fase di stesura, la nervosissima ma non del tutto convincente “Mayhem”. La chiusura di concerto è poi riservata alle notevoli “Get Lucky” e “Here’s To Us”, quest’ultima in particolare cantata all’unisono da tutti i presenti in un finale da ricordare.
Una grande esibizione da parte di una giovane ma già grande band, insomma, assolutamente a proprio agio sul palco e altrettanto in grado di supplire alle non perfette condizioni di voce della propria leader. Il consiglio spassionato per tutti i rockettari (più o meno tradizionalisti che siate) è quello di seguire gli Halestorm e di non lasciarseli scappare al prossimo passaggio in Italia: queste sono le band degli anni 2010 e sarebbe davvero sciocco aspettare altri dieci o quindici anni per celebrare in un ipotetico Gods Of Metal 2025…
Clicca qui per vedere il servizio fotografico a cura di Michele Aldeghi!
Setlist:
01. I Miss The Misery
02. Love Bites (So Do I)
03. It’s Not You
04. Freak Like Me
05. Straight To The Heart (Dio cover)
06. You Call Me a Bitch Like It’s a Bad Thing
07. Innocence
08. Don’t Know How to Stop
09. Rock Show
10. Gold Dust Woman (Fleetwood Mac cover)
11. Break In
12. Familiar Taste Of Poison
Drum solo
13. Dissident Aggressor (Judas Priest cover)
14. Mz. Hyde
15. Daughter of Darkness
16. I Get Off
Encore:
17. Mayhem (new song)
18. Get Lucky
19. Here’s To Us
Live Report a cura di Stefano Burini