Live Report: Hammerfall, Orden Ogan e Serious Black a Trezzo (MI)
Preludio – Il gatto di Schrödinger
La data annunciata quest’estate unisce all’apparenza tre storie diverse, ma che evidenziano diversi punti in comune oltre alle affinità dovute al genere musicale suonato.
Basti pensare che i Serious Black sono quelli nuovi, infatti al momento dell’annuncio del concerto si conoscevano i nomi dei membri della band e una breve clip del singolo “Seek no other Life” (ma erano semplicemente un progetto? Oppure…). Il brano in questione però sembrava da subito trascinante, veloce, melodico, in qualche modo personale. Come chi?
Già, gli Hammerfall del 1997 che uscirono con il loro album d’esordio “Glory to the Brave” contenente brani d’impatto, veloci, melodici che catapultarono il gruppo in un tour (e molto in alto nelle classifiche tedesche) partendo dalla Svezia passando per la data di Wacken, quasi una benedizione quel concerto. Senza contare che gli Hammerfall stessi al principio vedono la partecipazione alla batteria di Jesper Strombland (In Flames, chitarra), anche lui già celebre nel death metal melodico, il cui apporto sarà importante anche a livello compositvo fino al secondo album (vorrei inoltre ricordare che gli Hammerfall in principio erano un progetto di Dronjak a cui parteciperanno anche membri dei Dark Tranquillity e solo all’uscita di “Glory to the Brave” diventarono una band a tutti gli effetti).
Dicevamo, il gruppo nuovo, i Serious Black, non sono del tutto nuovi e non mi riferisco alla proposta musicale, ma al fatto che i componenti non sono altro che musicisti ben conosciuti nel power metal e non solo. Roland Grapow, ex chitarrista degli Hellowen. Thomen Stauch, ex batterista dei Blind Guardian e Urban Breed ex cantante dei Tad Morose. Musicisti attempati, ma con tanta voglia di suonare e fare musica. Mica poco.
E se uno avventatamente pensasse che gli Orden Ogan sono la novità, quelli emergenti. No, no. Esordiscono pure loro nel 1997 (come gli Hammerfall) con una demo intitolata “Into Oblivion”. I loro primi album pur rivelando una non comune capacità di creare melodie esitano tra soluzioni power progressive, passaggi con sfumature hard rock e cose leggermente più moderne. Solo nel 2010 con “Easton Hope” e il suo successore “To the End” definiranno la propria musica come rilettura di Blind Guardian, Hammerfall e Running Wild in una forma del tutto personale meritandosi un più ampio successo di pubblico e di critica.
Questo il futuro del metal? Tre band che ripercorrono le strade dei loro antenati in modo più o meno personale i cui componenti non sono più dei giovincelli?
In attesa che un Godot borchiato ci riveli l’arcano, mi dirigo a tutto volume verso Trezzo….eh namo a divertirsi.
Capitolo 1 – Serious Black e la maledizione colpisce ancora?
Non il pienone nel locale, ma un buon numero di persone sono in attesa che la prima band salga sul palco. E mi chiedo cosa sarebbe cambiato se alla batteria ci fosse stato Thomen Stauch (sostituito da Ramy Ali dei Freedom Call) e alla chitarra Roland Grapow (sostituito da Bob Katsionis dei Firewind) Certamente i malanni che li hanno costretti a riposo hanno almeno smorzato l’entusiasmo dei più e chissà che qualcuno non sia rimasto a casa in questa fredda giornata invernale.
Quando Urban Breed (ex voce dei Tad Morose) inizia a cantare dal microfono non esce alcun suono. Attimi concitati, però la band continua a suonare. Sostituito il difettoso arnese la voce riesce a farsi sentire finalmente disegnando la melodia epica di “Akhenaton”. Grande energia e voglia di esserci. La prima volta in Italia per Breed ed è davvero felice. I suoni forse non sono così buoni. Buona parte del pubblico conosce meglio i singoli (“As Daylight Breaks” è uscito solo da poche settimane e il loro nome quello si ha bisogno di tempo per diventare familiare ai più) e quei brani li intonano con più facilità e un forte trasporto (“High & Low”, “Sealing My Fate” e “I Seek no other Life”). Però la band vuole onorare al meglio gli assenti e l’album…..ed è un ottimo album di power metal con melodie eleganti rese personali dalla bravura dei singoli musicisti. Breed non sbaglia mai come il resto della band. Sia su brani veloci come “Setting Fire to the Earth” che su brani più orientati alla meoldia come “Older and Wiser”. Dalla loro prova il gruppo tedesco ne esce più forte con un maggior numero di persone pronte a diventare Serious Fans. Ne sono certo. Grande concerto in ogni caso.
Da lì a breve troveremo il gruppo a firmare autografi e chiacchere amabilmente con i fans nelle retrovie.
Setlist
1. Temple of the Sun (intro)
2. Akhenaton
3. Setting Fire To The Earth
4. High and Low
5. Older and Wiser
6. Sealing My Fate
7. I Seek no Other Life
Capitolo 2 – Orden Ogan ed è tempo di crederci (a prescindere).
E’ trascorso poco più di un anno dall’ultima loro incursione in Italia (a Novembre dello scorso anno supportavano i Luca Turilli’s Rhapsody) in cui promuovevano il loro più che ottimo “To the End” del 2012. Oggi forti di un consenso quasi uninime della critica anche verso il loro ultimo album “Ravenhead” e di un crescendo di apprezzamenti da parte del pubblico (buone vendite in Europa a guardare le classifiche) li troviamo alle prese con il singolo “F.E.V.E.R”, brano dai cori possenti, epico ed oscuro. Dal vivo riesce facilmente a convogliare la forza del pubblico diventando una bordata. Come sono sul palco gli Orden Ogan? Statici, Immobili. Seeb Levarman (voce e chitarra) sembra uno simpatico, chiede al pubblico di declamare i versi di due brani “To The End” e “The Things We Believe In” (entrambi dall’album “To The End” del 2012) con tutta la forza possibile. E funziona.
La musica fluisce e gli Orden la eseguono statuari nelle loro armature. Epici. “The new Shore of Sadness” (Vale, 2008) non è da meno per pathos e grazie ai suoi cori pare evocare di guerrieri che mai torneranno a casa, fantasmi di battaglie innominabili, ora senza dimora. Quando gli Orden Ogan intonano “We are Pirates!” ti rendi conto che il tributo al passato diventa monumento alla musica immortale che rifugge classificazioni di archeologhi pignoli.
Avrebbero meritato forse un po’ di spazio (forse un po’ più di fortuna in genere), anche in considerazione dell’ottima risposta del pubblico.
Setlist
1. F.E.V.E.R
2. To New Shores of Sadness
3. Lord of the Flies
4. To the End
5. Ravenhead
6. We are Pirates
7. Deaf Among the Blind
8. The Things We Believe
Capitolo 3 – Hammerfall, il martello si abbatterà su di voi.
Ormai alle soglie dei venti anni di carriera gli Hammerfall tornano da headliner in Italia a supportare il loro ultimo disco “(r)Evolution” (2014). Titolo programmatico e beffardo, perchè negli anni gli svedesi si sono mossi in cerchi concentrici attorno al glorioso esordio “Glory to the Brave”. Certo hanno provato a rinnovarsi, ma con esiti incerti, per cui l’unica evoluzione possibile è tornare al 1997, unica rivoluzione possibile è resuscitare di nuovo il passato, tornare a gravitare il più vicino possibile al centro del cerchio. Paradossi temporali che ci consegnano una band in splendida forma. Davvero. Joacim Cans canta come nel 1997, anzi meglio e domina il palco come mai prima. Gli Hammerfall di oggi sono anche il veterano Stefan Elgrem al basso (in sostituzione di Frederik Larsson) e David Wallin alla batteria (in sostituzione di Anders Johansson) ad affiancare il sempiterno Oscar Dronjak alla chitarra.
Il boato del pubblico impaziente lascia lo spazio al primo brano “Hector’s Hymn”, potente e melodica; il passato si confonde nel presente, ma non c’è tempo per filosofeggiare. Gli svedesi suonano potenti e precisi come non mai.
La scenografia si erge poderosa di fronte ad un pubblico il cui entusiasmo sembra colmare gli spazi vuoti del locale (non poi molti). E non cessa il boato del pubblico perchè a seguire vi sono “Any means Necessary” e “Renegade”, cantate e sostenute da tutto il pubblico con forza, energia e senza incertezze. Gli Hammerfall si muovono verso i primi album riproponendo “Glory to the Brave” e “Hammerfall” con una sezione ritmica in grande forma a donare nuova energia alle canzoni.
Joacim si concede il tempo per un piccolo sondaggio e chiede quante persone sono qui a vedere gli Hammerfall per la prima volta. Alzare la mano, prego. Forse un po’ di incompresione e ci ritenta, ma ci frega poco dell’esito. E’ tempo di bis e si chiude con “Hearts of Fire” che diviene urlo collettivo verso il cielo infuocato ove si proietta immortale la scritta Hammerfall.
Setlist
1. Hector’s Hymn
2. Any Mean Necessary
3. Renegade
4. B.Y.H
5. Blood Bound
6. Heeding The Call
7. Let the Hammer Fall
8. Live Life Loud
9. Instrumental Medley (tra cui “Dragon Lies Bleeding”)
10. Threshold
11. Last Man Standing
12. Glory to the Brave
13. We Won’t back Down
14. Hammerfall
bis
15. Templars of Steel
16. Hearts of Fire
Epilogo d’acciaio.
L’esito della serata è senza incertezze positivo. Le band hanno dato dimostrazione di energia e bravura. L’affluenza del pubblico più che buona. Dovessi borbottare un po’, avrei preferito che le variassero un pochino le proprie scalette rispetto ai precedenti concerti (solo gli Hammerfall taglieranno “Bushido” brano del nuovo album, poco male), però queste sono considerazioni postume che si perdono nell’adrenalina del momento e nelle chiacchere che ci accompagnano verso la notte gelida. Tempo di tornare stanchi in strada, verso casa. Valeva la pena di esserci.