Live Report: Hellfest 2019 21-23/06/2019
Municipal Waste:
I Municipal Waste sono sempre un gruppo sul quale scommettere se si cerca uno show ben movimentato e un po’ di sano moshpit. I ritmi serrati, i riff travolgenti e il pubblico ancora fresco sono l’ottimo cocktail esplosivo per animare subito la giornata. Lo show non è lunghissimo, vengono suonati una decina di pezzi, ma la qualità è buona e il divertimento assicurato. Ricordate, “Municipal Waste is gonna fuck you up!”
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Death Angel:
La giornata Thrash continua con stile, e i Death Angel dominano il palco senza se e senza ma. In soli 35 minuti spingono la folla a correre tutti i km possibili, con diverse circle pit che si fondono in una per poi dividersi di nuovo e rifondersi. Il ritmo è serrato, tanto che diventa difficile prendere fiato tra un pezzo e l’altro: sei pezzi da vari album che percorrono tutta la storia del gruppo (con ‘The Ultra Violence’ come intro di ‘The Pack’ ) e la title-track dell’ultimo album “Humanicide” a chiudere il concerto. Potrebbe essere un’ottima conclusione di serata, ma sono le due di pomeriggio. La giornata è ancora lunga.
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Testament:
Per i Testament è una giornata speciale. A prima vista il concerto non è diverso dai soliti: gli americani salgono sul palco col suono riverberante delle chitarre come sottofondo, e senza bisogno di presentazioni partono con ‘Brotherhood of the Snake’, title track dell’album del 2016, e seguono con una scaletta di tutto rispetto con ‘More Than Meet the Eyes’ e ‘Electric Crown’, tra le altre. Ma proprio dopo quest’ultimo pezzo, i cinque si fermano per un momento. Eric Peterson , chitarrista e uno dei due membri originari rimasti insieme al cantante, ringrazia il pubblico e chiama in ballo proprio il collega Chuck Billy. Prima ancora che possa dire qualcosa, la folla comincia a fare gli auguri al cantante: si tratta infatti del cinquantasettesimo compleanno del frontman. Nel giro di pochi secondi, l’intera arena canta “Happy birthday Chuck Billy“, accompagnata dagli strumenti sul palco e dallo staff del festival stesso. Sull’ultima nota degli auguri, tra i ringraziamenti del festeggiato, i Testament ripartono con tre pezzi dai primissimi album ‘Into the Pit’, ‘Over the Wall’ e ‘Disciples of the Watch’ e chiudono con la più recente ‘The Formation of Damnation’, concludendo così il concerto di compleanno del frontman.
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Anthrax:
Il sesto concerto sul secondo palco dell’ultimo giorno di Hellfest spetta agli Anthrax, uno dei Big Four del Thrash americano, che prendono il pubblico e lo manovrano con una maestria degna di un pilota. Condensano in 8 canzoni I loro migliori successi: l’apertura con ‘Caught in a Mosh’ crea subito il pit più grande della giornata (finora), attirando davanti al palco i pochi scettici rimasti ai margini. Con poche mirate parole tra un pezzo e l’altro rendono la folla partecipe, anticipando le canzoni con tempistica perfetta. Un classico dopo l’altro, ‘Got the Time’, ‘I Am the Law’, ‘Antisocial’, ‘Indians’ non permettono di fermarsi un attimo.
I suoni sono veloci, l’energia è tanta, il pubblico è ben avviato e il concerto tiene fede alla fama degli Anthrax. Il circle pit si intervalla con un buon mosh, si aprono diversi wall of death, anche se il primo, non molto sincronizzato con ‘In the End’, sembra divertire parecchio Scott Ian. Il secondo wall of death, alla fine dell’assolo di ‘Indians’ viene interrotto quando il gruppo smette di suonare senza apparente motivo. Belladonna lascia il microfono e si inserisce Scott, che fa i complimenti al pubblico che si scatena sotto palco e apostrofa invece tutti coloro che si trovano sul retro: “if you ain’t in the pit, you can bang you f*cking heads!”, dice, prima di scatenare di nuovo l’inferno. La fine del concerto arriva quasi di sorpresa, lasciando in pubblico entusiasta a inneggiare al gruppo newyorkese.
Lynyrd Skynyrd:
Ennesima band storica di questo Hellfest, mentre ci avviamo verso la fine del festival arriviamo ad una vera e propria leggenda del Rock tutto, i Lynyrd Skynyrd. Questi sono purtroppo anche una delle varie band che passano da Clisson durante il loro tour di addio. A 55 anni dalla fondazione del gruppo, però, i Lynyrd si meritano anche il loro riposo, e prima della pensione ci lasciano ricordi preziosi. La band di Jacksonville si presenta sul palco francese in ottima forma lanciandosi immediatamente in un’entusiasmante ‘Workin’ For MCA’. Segue l’autocelebrativa ‘Skynyrd Nation’, la canzone più recente della setlist: il resto saranno tutti pezzi degli anni ‘70. Tra una ‘That Smell’ e una ‘Simple Man’ il concerto procede energico e molto “southern”, con ottime prestazioni di tutti i musicisti. Arrivando verso la fine troviamo ‘Sweet Home Alabama’, una delle canzoni più famose del Rock e, dopo una breve ritirata, gi Skynyrd tornano e concludono lo show con ‘Free Bird’. Sulle note di uno degli assoli più amati del Rock non può che venire un po’ di malinconia a pensare che presto questa band ci lascerà.
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Emperor:
Se fuori c’è ancora luce il tendone del Temple è buio, e presto arriverà ancora più oscurità: è il momento degli Emperor. La band norvegese dal ritorno sui palchi nel 2014 dopo 7 anni di pausa suona ormai solo una manciata di date all’anno, principalmente nei festival estivi. La scarsità dei concerti non fa altro che renderli più speciali ed attesi ed il pubblico che si raduna davanti al palco è molto grande. Si spengono le luci, parte la registrazione di ‘Alsvartr (The Oath)’, poi salgono sul palco Ihsahn, Samoth, Trym Torson e i musicisti che li accompagnano e si inizia. I norvegesi partono in quarta e suonano senza indugi l’intero “Anthems to the Welkin at Dusk” ad eccezione di ‘The Wanderer’ che verrà usata (registrata) come outro. Ihsahn, nonostante da anni abbia un look che non rimanda esattamente al più malvagio Black Metal norvegese, canta con gran cattiveria, mentre Trym alle sue spalle massacra la batteria e Samoth macina riff. Il tempo a disposizione non è tanto e come termina ‘With Strength I Burn’ gli Emperor continuano con un trio di classici, ‘Towards the Pantheon’, ‘I Am The Black Wizards’ e ‘Inno a Satana’. Il concerto è ottimo e siamo decisamente soddisfatti, rimane solo un leggero amaro in bocca per uno show che, fatta eccezione di una canzone, è identico a quello di due anni prima sempre all’Hellfest.
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Slayer:
Uno degli show più attesi del festival, quello degli Slayer è il settimo concerto della band al Hellfest ed è stato annunciato come l’ultimo di sempre in terra francese. Si inizia con l’unica canzone dell’ultimo album, la title-track ‘Repentless’, per poi passare a ‘Evil Has No Boundaries’. Reintrodotta in setlist da pochissimo, la canzone non veniva suonata dal vivo dal 2000. Goduria. Così il concerto procede tra tanti classici e ancora più cattiveria: pezzi come ‘Postmortem’, ‘War Ensamble’, ‘Mandatory Suicide’ si succedono scatenando istinti omicidi nel pubblico che poga senza sosta tributando nel migliore dei modi la leggendaria band americana. Il fuoco continua a venir sparato senza sosta dal palco creando un’atmosfera infernale, intanto Holt e King si scambiano assoli roventi mentre Araya sputa veleno nel microfono. Classico dopo classico arriva il turno di uno dei brani più noti della band: ‘Raining Blood’. Segno del destino, con un tempismo incredibile mentre inizia la canzone comincia a piovere. Seguono ancora altri classici, ‘Black Magic’ e ‘Dead Skin Mask’, prima di arrivare al termine con un’immensa ‘Angel of Death’. La canzone termina e partono dei fuochi d’artificio. Araya ringrazia il pubblico e poi rimane sul palco, senza strumento: guarda i suoi fan come a voler imprimere nella memoria questo momento, in silenzio, ed è forse il silenzio che colpisce di più e ci fa quasi commuovere. Grazie di tutto Slayer, ci mancherete.
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Tool:
Assenti dai palchi europei da 10 anni, i Tool finalmente tornano nel nostro continente anticipando il tanto atteso nuovo disco che (sembra) uscirà ad agosto. Il palco non è particolarmente adorno, non c’è una gran scenografia eppure la band losangelina riesce a mettere su uno show non indifferente. Come? Grazie allo spettacolo di luci e alle animazioni che vengono proiettate sugli schermi intorno, immagini allucinate ed allucinanti, perfette per la musica a tratti psichedelica dei Tool. Si parte con ‘Ænema’ subito seguita da ‘The Pot’ e, come seguendo il suggerimento della band, dall’odore sembra che un buon numero di spettatori cominci a fumare la “pot” (erba in inglese) di cui sopra. Keenan rimane confinato su una piattaforma a fianco alla batteria, negli ultimi anni gli piace nascondersi dai riflettori, ma nonostante questo è magnetico e la sua voce ipnotizza i presenti. In generale tutti i musicisti sono abbastanza statici, ma le animazioni che si muovono sugli schermi sopperiscono alla cosa e donano la giusta atmosfera allo show. A fianco a pezzi noti e amati come ‘Parabol’ e ‘Schism’ troviamo anche due canzoni nuove, ‘Descending’ e ‘Invincible’, che funzionano benissimo insieme ai brani più vecchi. A differenza di altre date del tour, a Clisson la band taglia ‘CCTrip’, l’assolo di batteria di Danny Carey, ma la mancanza non si fa sentire. Il concerto è un trip tra luci, animazioni psichedeliche, musica ipnotica e l’ora e mezza vola in un attimo: la durata è standard per un concerto dei Tool, ma dopo la fine dell’ultima canzone, ‘Stinkfist’, è inevitabile pensare che ci sarebbe piaciuto sentire qualche altra canzone, non perché lo show è stato particolarmente breve, ma per quanto è stato bello.
In giro si vedono facce soddisfatte, noi di certo lo siamo, e dopo l’ennesimo ottimo concerto di questo festival si chiude la quattordicesima edizione dell’Hellfest.
Ci vediamo l’anno prossimo!