Live Report: Helloween @ Mediolanum Forum, Milano 18/11/2017
HELLOWEEN
18/11/2017 @ Mediolanum Forum, Assago (MI)
Sogno proibito per molti da oltre un ventennio, il tanto auspicato ricongiungimento degli Helloween di Weikath e Deris con Michael Kiske e Kai Hansen è divenuto realtà. Il “Pumpkins United World Tour” ha fatto finalmente tappa a Milano: previsto dapprima all’Alcatraz e poi spostato al ben più capiente Mediolanum Forum di Assago per la massiccia adesione da parte dei numerosi fan italiani delle Zucche di Amburgo. Una serata imperdibile, tanto che buona parte della redazione di Truemetal era presente allo show. Con lo stesso spirito di unità e fratellanza, vi proponiamo un doppio live report da parte dei Caporedattori Progressive e Power, rispettivamente Roberto “Rhadamanthys” Gelmi e Luca “Montsteen” Montini.
Fredda e anonima serata di mezzo novembre in quel d’Assago. Vero punto d’attrazione per i metallari più convinti è ancora una volta il Mediolanum forum che vede un pienone per il gruppo metal più famoso di Germania. L’attesa è tanta, vedere Michael Kiske in suolo italico ha dell’irripetibile, la scaletta annunciata promette quasi tre ore di musica immortale, con qualche filler ma anche molti classici.
Dal posto numerato dove ci sediamo (avremo Kai Hansen davanti agli occhi per tutta la serata) constatiamo come la folla dei presenti sia variegata, anche se prevalgono i metallari oltre la quarantina e la presenza femminile, pur concreta, non è così sostenuta.
Il concerto inizia alle 20:30, dopo una mezzora di musica in sottofondo con brani anche dei Maiden e dei Metallica (per par condicio). Tutto succede in un attimo, cala il sipario con il logo delle zucche e la magna apokolokýntosis ha inizio. La scenografia è essenziale (qualche tocco di colore, buon comparto luci e un maxischermo centrale) e a dominare il palco è la mostruosa batteria sopraelevata (con quattro grancasse) di Dani Löble, che da solo scandisce un ritmo spietato e senza cedimenti. Il cavallo di battaglia Halloween è una gioia per le orecchie, tutti cantano il testo memorabile e vedere Kiske non sbagliare un acuto è la gioia più grande. Anche zio Kai Hansen sembra in forma e con la sua 6-corde rossa (in pendant con il ciuffo rubizzo) si dimostra ancora dinamico andando vicino ai fan assiepati alla penisola. Se il concerto proseguisse tutto su questi livelli sarebbe un evento unico.
Deris introduce brevemente il primo di una serie di brevi video con protagoniste due mascotte zuzzurellone della band che si divertono a introdurre i vari brani in scaletta, gettando oggetti vari in un calderone fantascientifico poco promettente. Kiske e Deris si divertono a dialogare tra loro e con il pubblico composto da “seven hundreds crazy Milano people” accorsi per la chiamata alle armi.
Dr. Stein è un’altra perla magnificamente eseguita da Kiske e anche in I’m Alive si fa valere, anche se il pezzo è imprescindibile in primo luogo per il magnifico lungo assolo di Hansen e Weikath. Vedere tre chitarristi on stage è estremamente appagante, potenza pura, anche se il rischio cacofonico è sempre dietro l’angolo. Lo sfrigolio del tremolo picking ha qualcosa di elettrizzante: mai come in questo frangente si capisce in cosa consista il sound Helloween.
Deris annuncia che i prossimi due pezzi saranno tratti da album più recenti ed è la volta della ballata If I Could Fly, con l’ex-Pink Cream 69 mattatore. Pezzo che il sottoscritto temeva di più per le bordate di doppia cassa, Are You Metal? Si dimostra, invece, più efficace in sede live che su microsolco… Probabilmente ci sarebbe stato bene un altro brano degli Helloween nuovo millennio.
Scelta azzardata il ritorno di Kiske per Kids of the Century, brano troppo difficile per il cantante ormai cinquantenne, che inizia a perdere potenza negli acuti più proibitivi. Il frontman degli Unisonic non è così statico sul palco (come si poteva temere) ma quando deve pigiare sul gas è evidente la sforzo richiesto e la voce si arrochisce. I fan sono disposti tuttavia a rendere onore comunque sia a un cantante che ha regalato concerti stellari, così, alla fine del pezzo, gli applausi non mancano.
Prima del medley old-school di Wall of Jericho, Waiting for the Thunder e Perfect gentleman sono due riempitivi non privi di note positive. La prima traccia è una ballata magistralmente interpretata da Deris, mentre la song di Master of The Rings (album valorizzato dalla setlist) permette al frontman d’indossare un abito di paillette e scherzare con Kiske tornato on stage per qualche gag. Ovviamente l’ironia è a mille e tutti i presenti, dai musicisti al pubblico, sono definiti “perfect”. Dopo l’ennesimo breve video animato, si fa un tuffo di trent’anni e Kai Hansen torna al microfono con un urlo potente e gracchiante. Sentire dal vivo l’inizio di Starlight è commovente ed esaltante al contempo, un brano che è Storia del metal, così come Ride the Sky e Judas. Nel parterre parte spontaneo un pogo scatenato e anche lo zio Kai incita la folla con un improperio in italiano. Personalmente abbiamo trovato meno convincente Heavy Metal (Is the Law), sarebbe stato meglio sentire Victim of Fate, ma il medley è comunque d’applausi. Il leader dei Gamma Ray si conferma un mattatore ancora trascinante e la sua bravura alla chitarra resta adamantina. Non l’avremmo detto, nel 2014 al Live di Trezzo con i Rhapsody non aveva fatto simili faville. Ottimo anche il suo ricordo dellìappena scomparso Malcolm Young, mattatore degli AC/DC.
Per rallentare i ritmi dopo una simile scossa tellurica, si pensano altri pezzi lenti. Forever and One, in versione acustica con Kiske e Deris seduti comodamente e A Tale That Wasn’t Right, col solo Kiske a dettar legge. Difficile dire chi non si è commosso. Unico pezzo da Better than raw, I Can non sfigura in setlist, ma una Falling Higher o una Push avrebbero graffiato di più. Il breve assolo di batteria di Löble con tributo a Ingo Schwichtenberg è un curioso duello tra il batterista svizzero e il compianto drummer degli esordi. Löble è un panzer e sfoggia una capigliatura mohicana tanto di moda quanto inguardabile.
Di nuovo sul palco Kiske canta l’inizio di Livin’ Ain’t No Crime, chicca del concerto, per poi lasciare spazio alla più nota A Little Time, scritta ai tempi degli Ill Prophecy. Tutto da manuale, anche la sveglia rubata dall’artwork di Wake up the mountain. Niente male anche i tre brani che seguono, tratti dagli album di metà anni Novanta. Deris e Kiske compresenti per Why?, solo Deris per la terremotante Sole Survivor e Power, una perla dal vivo (sarebbe bello sentirne una versione con Kiske). Peccato che il basso di Grosskopf sia penalizzato nei suoni. Deris introduce la successiva How Many Tears dicendo che è stat in assoluto la prima canzone degli Helloween che abbia mai ascoltato. Il pezzo in chiusura di Walls of Jericho è un’altra perla, impreziosita dallo stacco acustico centrale, da brividi. Dopo una cavalcata heavy/speed di simile caratura, gli encore finali sono l’infilata di classici che suggellano la serata. Eagle Fly Free è la summa di quanto il power potrà mai regalare ai fan di tutto il mondo, i testi apocalittici riflettono ancora la voglia di cambiamento di un mondo che dopo il crollo del muro di Berlino sembra non trovare un nuovo assetto sociale. Keeper of the Seven Keys è la suite che tutti gli epigoni invidiano. Il testo, i cambi di tempo, l’epilogo circolare… si sprecano gli applausi, anche Kiske sembra rinato. Le ultime note sono ripetute da Gernster che si prende i riflettori per un’ultima posa plastica. A chiudere le danze due pezzi scanzonati, come Future World (con l’immancabile intro tratto dal Peer Gynt) e I Want Out. In quest’ultima il tripudio è assoluto, con tanto di balloon rossi e arancioni, macchine del fumo e coriandoli a gogò. Il pezzo si prolunga per qualche minuto in più, ma ormai lo show è concluso.
L’impressione finale è quella di un concerto potente e divertito, che andava visto, ma non privo di sbavature. Si poteva lavorare meglio alla consolle del mixer e valorizzare di più la resa dei bassi, così come la scaletta poteva prevedere brani di altra caratura rispetto a pezzi come Are you Metal? e Perfect Gentleman. Kiske è partito benissimo per poi spegnersi nel finale; notevole comunque la sua voce su linee medio-basse (c’è scappata anche una citazione di Elvis). Promossi a pieni voti Löble, Hansen e Deris, i restanti membri hanno svolto il loro lavoro in modo discreto. Detto questo, non stiamo parlando dei Dream Theater (assidui frequentatori del Forum), gli Helloween sono un’altra cosa, per divertirsi e ricaricare le batterie non c’è niente di meglio. Chi c’era avrà di che raccontare a figli e nipoti.
p.s. Accanto al sottoscritto sedevano due metallari di lunga data, entrambi citavano gli Helloween insieme a band del calibro di Iron Maiden, Manowar e Judas Priest, qualcosa vorrà pur dire. Molti dei presenti avranno avuto il privilegio di sentirli nei dorati Eighties: per i pischelli sotto i quaranta questa sera è stata la giornata della rivincita. Il passato è divenuto più vicino per un istante.
Live Report a cura di Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)
Arrivo a Milano col consueto anticipo, in tempo per far tappa ad un paio di mostre col solito binomio musica e (è) cultura: un salto “Dentro Caravaggio” tra venti capolavori del milanese Michelangelo Merisi riuniti per la prima volta a Palazzo Reale, poi alla scoperta delle meraviglie della natura a “Wildlife Photographer of the Year” presso la Fondazione Matalon.
Un paio di incursioni culturali per smorzare l’adrenalina. L’evento, del resto, è epocale; quantomeno a giudicare dalla risposta massiccia del pubblico italiano. Difficilmente un gruppo power metal da solo porterà di nuovo oltre settemila persone ad un’unica data, in Italia – ma spero di sbagliarmi. Cercherò di smarcarmi un po’ dal già esaustivo report di Roberto, gettando qualche spunto di riflessione.
Un gioco di ruoli. Sul palco del Forum ogni personaggio ha recitato la sua parte come da copione. Primo su tutti Kai Hansen, protagonista di una prova sopra le righe nel medley di “Walls of Jericho” (1985): vocalmente in gran spolvero senza la pressione di un intero live come coi Gamma Ray, impeccabile e furibondo come un ragazzino sulla sei corde, prezzemolino della prima linea, carismatico e ruffiano. Ha conquistato (quasi) tutti. Andi Deris eccellente nel mostrare per l’ennesima volta il suo talento, la sua fisicità scenica on stage, le sue movenze, la sua grinta irrefrenabile, l’esperienza e l’esercizio di uno forgiato dal palco che non concede sbavature: gli haters (sempre meno, per fortuna) possono tacere, probabilmente senza di lui gli Helloween non sarebbero sopravvissuti fino ad oggi. Solido. Michael Kiske un po’ più statico e meno avvezzo al palcoscenico, in difficoltà sulle parti più alte (in particolare su “Kids of the Century”) ma protagonista di una performance in crescendo: Deris ha ormai calibrato tutti i brani sulle sue forze mentre Kiske è costretto a tornare nei panni, non facili da indossare (e non solo per la pancia, come mi ha raccontato nell’ultima intervista), di venticinque anni fa. Ma vederlo su un palco e sentirlo cantare tutti quei classici è un’emozione impagabile. Mitologico. Weikath è quello un po’ schivo, il tipo oscuro e tenebroso che resta sulle retrovie a dirigere il team e quando avanza in prima linea sembra farlo controvoglia: non è un uomo di azione per natura, o forse è già stanco di ospitare i vecchi compagni di squadra? Grinch. La chitarra di Sascha Gerstner rischiava di rimanere schiacciata tra le due montagne dei fondatori, e invece, complice una scaletta molto ben calibrata, riesce a ritagliarsi spesso e volentieri il suo ruolo, nonostante l’andirivieni dello Zio (che qualcuno lo fermi!) Hansen. Young power! Grosskopf sempre sorridente sul palco dirige con precisione con le sue martellanti linee di basso, anche se penalizzato in alcune occasioni al mixer. Sarà per la prossima volta. Alla batteria Daniel Löble si supera in una notevole prova di resistenza, tre ore come Felix Bohnke dei connazionali Avantasia.
Tra la vita e la morte. Proprio a Löble il compito di emozionare il pubblico con un drum solo/tributo ad Ingo “Mr. Smile” Schwichtenberg, batterista degli Helloween fino a Chameleon (1993), già vittima di attacchi schizofrenici quando fu allontanato dalla band e morto suicida nel 1995. Un momento toccante per i fan della prima e dell’ultima ora, in cui l’attuale drummer replica l’assolo di Ingo riprodotto nel gigantesco led-wall sovrastante, avviato in video da un VHS. Ma l’inno alla vita degli Helloween si scontra anche con la morte di Malcolm Young, avvenuta poche ore prima, ricordato da Kai Hansen che indica il cielo dove ormai si sarà formato un super-gruppo con membri del calibro di Dio, Lemmy, Hanneman e tutti i “giganti” che hanno lasciato questa terra.
Seth e Doc. Torno un momento sul led-wall: oltre ad una scenografia abbastanza semplice a forma di zucca che avvolge la zona sopraelevata della batteria, un enorme schermo sovrasta il palco per consentire anche ai più lontani di godersi le animazioni dello spettacolo, con alcune inquadrature “live” e tanto materiale preregistrato ad abbellire i brani con artwork ed immagini in movimento. Nel complesso gradevoli, poche immagini in diretta ma probabilmente anche le telecamere in movimento saranno state un paio al massimo. Con delle scenette un po’ scontate a cartone animato le zucchette Seth e Doc hanno spezzato i momenti morti tra un brano e l’altro, incitando anche il pubblico a cantare il motivetto: happy happy Helloween… Ok, in concerti di queste dimensioni il supporto video si fa sempre più essenziale, ma con una scaletta così atomica le immagini corrono lontane e fugaci.
Il business della reunion. Ma la vera domanda è: c’è vita nell’Universo? L’Essere è ed è necessariamente? No, cioè… intendevo… qual è il valore reale di queste reunion? Il ritorno economico per le band è un dato reale in un mondo in cui il metal non se la passa benissimo, e su questo non c’è molta discussione: se foste musicisti, preferireste suonare davanti a settecento persone all’Alcatraz o settemila al Forum ritrovandovi il succoso cachet sul conto corrente aumentato di dieci volte la mattina successiva? Lo stesso dilemma si pone dal punto di vista del pubblico: ha senso investire e partecipare a questi eventi faraonici che fanno leva sull’effetto-nostalgia, dimenticando di supportare magari l’evento sotto casa di una band meno nota? La serata è stata indubbiamente epocale, si potrebbe ribattere, e le emozioni provate forti e veraci quanto irrinunciabili. A quei perfetti gentiluomini dei lettori (yes you are!) l’ardua sentenza. Ma a fronte di questi dilemmi che di certo non hanno risposte banali che possano risolversi in queste righe (siamo ben felici di sapere la vostra opinione in merito qui o sul forum di Truemetal), per una notte metto da parte il cinico sguardo del giornalista che scrive di metal ormai da anni: posso solo dirmi felice di aver visto così tanti metallari di ogni generazione ed età (anche con bambini al seguito) coinvolti e felici nel condividere questo bel momento, ed auspico che sia solo un passaggio, un piccolo battito d’ali delle aquile che volano libere, per riportare tra gli appassionati qualcuno che magari dagli anni ’80 ad oggi si era dimenticato di noi – nella speranza che la magica serata del Forum non si concluda in sé stessa, ma che invocazione delle Zucche sia solo il preludio per altre mille serate tra migliaia amici, avvolti dall’energia della musica che amiamo. Heavy Metal is the law that keeps us all united free.
Live Report a cura di Luca “Montsteen” Montini
Setlist:
01. Halloween
02. Dr. Stein
03. I’m Alive
04. IF I Could Fly
05. Are You Metal?
06. Kids Of The Century
07. Waiting For The Thunder
08. Perfect Gentleman
09. Starlight/ Ride The Sky/ Judas
10. Heavy Metal Is The Law
11. Forever And One (Neverland)
12. A Tale That Wasn’t Right
13. I Can
14. Drum Solo
15. Livin’ Ain’t No Crime/ A Little Time
16. Why?
17. Sole Survivor
18. Power
19. How Many Tears
Encore:
20. Invitation/ Eagle Fly Free
21. Keeper Of The Seven Keys
Encore:
22. Future World
23. I Want Out
Foto di Michele Aldeghi
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