Live Report: Helstar a Bologna
A.A.A. pubblico cercasi. Requisiti minimi: entusiasmo, un briciolo di competenza (leggi: guardare oltre il proprio naso) e, innanzitutto, voglia di “sbattersi”. Meno chiacchiere da tastiera, più fatti. Corsi e ricorsi storici: cinque anni fa, in occasione del mini-tour dei texani Helstar, TrueMetal stigmatizzava l’apatia del pubblico felsineo. Bologna Rock City? Citofonare Emiliano Nanni. Il ponte del 2 giugno non ha fatto la differenza, con buona pace di chi perdura negli investimenti a credito. E un giorno, non troppo lontano, smetterà i panni di mecenate. Il BRC Fest rompe il ghiaccio tra gli applausi di “pochi intimi”, sparpagliati qua e là per un locale semi-deserto; una cornice tanto mesta quanto profetica, nonostante l’aria di vacanze e un biglietto d’ingresso abbordabile. Il programma abbina la combriccola di James Rivera, reduce dal bagno di folla del Play it Loud! II, a due formazioni tra le più capaci dello Stivale: Battle Ram e Burning Black.
Federico Mahmoud
Quella in corso d’opera è un’annata prolifica per i Battle Ram, che hanno appena inciso l’EP Smash the Gates (My Graveyard Productions) e replicheranno con tutta probabilità in autunno, in concomitanza del Play it Loud! IV. Che sia giunta l’ora di un agognato debutto? Onde ingannare l’attesa, il quintetto piceno offre un saggio delle proprie capacità, alternando estratti dall’omonima demo-tape (edita nel 2003) a brani di più recente gestazione. Le mirabili trame chitarristiche di The Vow puntano i riflettori sul duo Silvi – Natali, mentre Smash the Gates è più di un invito a nozze per un cantante dotato qual è Franco Sgattoni. Chi non ha dimestichezza con il repertorio degli ascolani può ripiegare su due cover d’alta scuola, come nella tradizione del gruppo: Warrior, cavallo di battaglia dei Riot e l’ossianica Angel Witch, peraltro già incisa tra i solchi del novello EP. Battle Ram non è una band “presenzialista”, ma ovunque si esibisca ha ragione del pubblico, sia esso la platea del Keep It True o uno sparuto manipolo di passanti. Sulle note di Battering Ram – per chi scrive, l’asso nella manica – i Nostri concludono una performance esemplare per fervore e pulsione agonistica.
A Bologna vige la “regola dell’amico” (lasciate perdere gli 883): secondo un malcostume diffuso, tutto italiano, le sole band meritevoli d’attenzione schierano amici o parenti tra le proprie fila. Tutto il resto, per seguitare con le citazioni d’autore, “è noia”. La vittima sacrificale di turno è Burning Black, formazione trevigiana per cui il sottoscritto ha già speso buone parole: […] nel marasma di tanti support-act più o meno inutili, fa piacere imbattersi in cinque ragazzi che sanno reggersi sulle proprie gambe, nonostante abbiano scelto l’impervia strada di un genere che ha già detto tutto. Era il 23 novembre di due anni fa, in quel di Roncade (TV). “Uno su mille ce la fa”: a coronamento di un lustro di militanza e due demo-tape (Smell the Fire e Fight to Dream), i Nostri hanno pubblicato il full-length Prisoners of Steel, debutto che ne ha accresciuto le quotazioni in Italia e all’estero. Lo show di Bologna, per quanto inficiato da un’audience tiepida e suoni ballerini, controfirma il precedente report. Burning Black vanta uno screamer di razza, Massimo De Nardi, che tiene in pugno gli astanti con vocalizzi poderosi e una tenuta del palcoscenico da cabarettista navigato. Al di là di proclami orgogliosi – l’anthem Heavy Metal è forse il brano più vincente in scaletta – il gruppo non rinuncia a quel pizzico di auto-ironia che lo fa preferire all’artificio pacchiano di molti colleghi. Sul piano tecnico, gli spunti individuali (dal bassista Alessandro Jacobi al piglio blackmoriano di Enrico Antonello) si fanno apprezzare tanto quanto il gioco di squadra. Lo spettacolo offerto dai veneti meriterebbe ben altra cornice, ma il talento è fuori discussione: ai più l’invito a scoprire una band che si prodiga con ingegno e dedizione.
Quando James Rivera chiama, il sottoscritto risponde. Interrotta bruscamente la militanza nei Vicious Rumors, lo screamer texano ha ripreso a dedicarsi anima et corpore al primo amore: Helstar. Il sodalizio con la band di Houston ha prodotto quattro LP essenziali, incisi tra il 1984 e il 1989. Quando l’epopea dello US metal è tramontata, lo “stakanovista” James ha vestito i panni dello zingaro, dividendosi tra Seven Witches, Destiny’s End e collaborazioni più o meno fortunate. La rentrée sancita da The King of Hell, un anno dopo il best-of Sins of the Past, chiude un cerchio. Il figliol prodigo è tornato in sella, adunando quattro quinti della formazione che vent’anni or sono forgiò il titanico Remnants of War. James Rivera, Larry Barragan, Robert Trevino, Jerry Abarca e Russell De Leon (già protagonista su Multiples of Black): signore e signori, Helstar! Il concerto bolognese mescola democraticamente vecchi e nuovi cavalli di battaglia, dai fasti speed metal di Burning Star alla deriva thrashy delle ultime composizioni. È uno show mirabile sul piano tecnico ed emotivo, che si fa preferire all’esibizione del 23 febbraio 2008: i volumi scriteriati di Orzinuovi sono un brutto ricordo. Rivera domina la scena come da par suo, intonando quei poderosi vocalizzi che ne hanno sempre costituito il marchio di fabbrica. Alle movenze teatrali del frontman si contrappone una band impeccabile nell’esecuzione, statica ma ordinata, con il solo Abarca (un grillo ipercinetico) a dimenarsi sul palco. La qualità del repertorio è fuori discussione: il riffing contorsionistico di Suicidal Nightmare, The King Is Dead, Winds of War (che galoppata!) valgono il prezzo del biglietto. Il pubblico non si tira indietro e scandisce a gran voce i refrain di Evil Reign e Run With the Pack, tra i brani più acclamati; primi applausi per Wicked Disposition e Pain Will Be Thy Name, due di vari estratti dall’ultimo, luciferino studio-album. Chiusura sulle note di Baptized In Blood, fucilata speed/power dal mastodontico Nosferatu. In cronaca una notevole profusione di tecnica (e liquidi) che ha messo a dura prova i gemelli del gol, tali Larry Barragan e Rob Trevino. Texas heavy metal dal 1982, what else?