Live Report: Houston, 25/02/2008, Milano

Di Marcello Catozzi - 9 Aprile 2008 - 11:01
Live Report: Houston, 25/02/2008, Milano

Ore 23.00: al Legend 54 di Milano, tutto è pronto per il kick-off degli Houston, giovanissima band piacentina che si affaccia sul panorama nazionale e internazionale. Infatti sta per essere presentato ufficialmente (e interamente) FAST IN ELEGANCE, il primo album di questo gruppo formatosi nel 2007. Il disco è stato registrato all’Elfo Studio di Daniele Mandelli, mixato dagli stessi Houston e Daniele Mandelli, mentre il mastering è stato realizzato in U.S.A. presso lo Sterling Studio. Il CD è stato prodotto dalla Sliptrick Records di San Francisco (CA).
In precedenza avevo letto alcuni articoli sulle esibizioni dal vivo di questi agguerriti paladini del Glam Rock e, pertanto, anche in considerazione del clima di grande attesa che serpeggiava in rete e fra gli addetti ai lavori, mi sono incuriosito al punto che ho deciso di presenziare all’evento.

Il locale si presenta alquanto gremito, nonostante sia lunedì sera. Si spengono le luci e, mentre lentamente si leva una nube di fumo che avvolge la scena, i ragazzi prendono posto e, senza alcun indugio, sparano a manetta la prima canzone del loro repertorio.
La formazione si presenta con il seguente schieramento:

– Nice J. Ryan         vocals
– Gaby Faxintown   bass
– Phil                       guitar
– Dave Ward           drums

Dopo qualche minuto, al terzetto formato da basso chitarra e batteria si unisce il cantante, mentre lentamente si dirada la nebbia artificiale, dando in pasto ai flash dei fotografi i protagonisti, i quali appaiono belli carichi (anche di trucco, in verità), palesando atteggiamenti e look perfettamente in linea con i canoni sfavillanti del Glam.

Il primo pezzo, CONFIDENCE, propone subito un assaggio del menù che ci verrà servito: gustosi piatti tradizionali e ruspanti, con azzeccate e piccanti contaminazioni di nouvelle cuisine. La traccia dominante, come si è detto, è quella di chiara derivazione Glam, pomposa e frizzante, con riff indovinati e stacchi perentori, riletta però in chiave moderna e vivace. I quattro si presentano assai tonici e gasati, specie l’invasato batterista che, nel suo particolare drumming e nella resa scenica in generale, sembra assai impegnato a ricalcare le orme del suo modello di riferimento Tommy Lee.
Anche COWBOY si allinea sulla stessa falsariga: è una furiosa e piacevolissima cavalcata in puro stile Mötley Crue, che attira come una calamita davanti al palco una folta schiera di giovanissimi/e fans.
SIX HOURS OF SEX IN CALCUTTA è un pezzo molto trascinante, dal ritornello assai orecchiabile, di quelli che ti restano in testa anche a distanza di qualche ora. I fedelissimi delle prime file saltano e cantano al ritmo della musica, istigati da un ispiratissimo Nice, che corre in lungo e in largo brandendo l’asta del microfono e invitando il pubblico a lasciarsi andare all’istinto del ballo, a cui effettivamente induce l’allegro motivo.

NIGHT FRAGILE è uno dei migliori brani dell’album, a mio avviso, nel quale convivono influssi di diversa estrazione. L’inizio, letteralmente sussurrato, è molto inconsueto per il genere citato in premessa, poiché ci introduce in un’ambientazione ovattata e da sogno: anche dal vivo i ragazzi riescono a riprodurre la stessa atmosfera che si avverte all’ascolto del disco. Gli arrangiamenti sono molto azzeccati e conferiscono un grande spessore all’esecuzione, che lo rende uno dei più indimenticabili episodi della serata.
Si prosegue con l’inaspettata I DON’T LIKE THE DRUGS (cover della celebre versione di Marilyn Manson), nella quale i quattro giovinastri dimostrano tutta la loro versatilità, sotto il profilo tecnico, anche in contesti musicalmente più “estremi” rispetto a quelli a loro più familiari. Nice si diverte anche a prodursi in sarcastici vocalizzi gutturali , suscitando l’ilarità generale.
La commovente FOREVER IN MY LIFE è una ballad molto ben costruita, che – con l’ausilio delle tastiere – conferisce un’atmosfera assai suggestiva a tutto l’ambiente; la voce di Nice descrive struggenti melodie che si sposano alla perfezione con la ricercata orchestralità del brano.
NEVER ALCOHOLIZED dà una scossa all’intero ambiente, risvegliando la platea dall’emotività della traccia precedente, con un’accelerata di vigore e freschezza di contenuti: riff incisivi, cori che intonano il ritornello orecchiabile: ingredienti semplici e ben miscelati, è questo il segreto della ricetta di casa Houston.
TAKE ON ME è un’altra azzardata sorpresa nella scaletta di stasera, poiché – oggettivamente – ben poco ha a che fare con il contesto musicale degli Houston, ma poiché, a quanto pare, questi rampanti figli di Nikki Sixx & Co. hanno voglia di stupire e divertirsi con qualche concessione alle mode, lo possiamo accettare di buon grado.
Le toccanti note di pianoforte introducono ora uno dei più intensi momenti del CD e anche dello show, ovvero RIVER OF WORDS, che esordisce in modo pacato per poi esplodere in impennate decise e imperiose, con una piacevole alternanza di dolcezza ed energia che ci accompagna per tutta la durata del brano. Anche in questo caso la timbrica di Nice si adatta perfettamente alla tipologia di cantato, in modo più affine – intendo – rispetto ad altri contesti più “tirati” e “cattivi” nei quali, invece, la sua voce risulta fin troppo ben impostata e “morbida”.

ANOTHER DAY si pone come un altro inconsueto mix di tendenze, giacché si avvertono contaminazioni smaccatamente AOR accanto a sferzate di pura energia di derivazione Hard. I giovanissimi fans improvvisano una danza, ondeggiando al ritmo di questa spensierata canzone, che entra subito nella testa per il suo coro così orecchiabile e immediato.
BLITZKRIEG BOP è un ulteriore episodio piuttosto incalzante e veloce, che continua a scatenare la piccola folla di appassionati.
A seguire: l’anthemica ROCK AND ROLL FIST, che era comparsa sul precedente demo e aveva già raccolto un discreto successo nelle radio locali. Il chitarrista si produce in un gustoso assolo, discreto ed equilibrato, ma anche indice di una spiccata personalità.
Sull’onda dell’entusiastica partecipazione di tutti i presenti, ecco irrompere la travolgente HOUSTON, anch’essa caratterizzata da repentini stacchi e cambi di ritmo, nel segno della più rigorosa tradizione di questo genere musicale, che ebbe a vivere i momenti di massimo splendore negli indimenticabili anni 80.
Con GORDON TONIQUE si fa un improvviso salto nella più sfacciata modernità, grazie a una robusta struttura sulla quale si innestano divagazioni di varia estrazione, senza paura di deviare troppo dalla “retta via”: non solo Rock, non solo Glam, in sostanza, ma anche molto altro. Non c’è che dire: questi ventenni dalla faccia da schiaffi ci sanno fare e non temono confronti, avventurandosi in terreni impervi di altri generi in verità un po’ distanti, traendone sempre puro divertimento per sé e per chi li ascolta.
Siamo ormai giunti alla fine. Chiude l’esibizione nel modo più significativo, cioè in linea con lo stile fin qui messo in mostra, la spregiudicata PARTY HARD, dalle linee decisamente rockeggianti e grezze, preludendo ai festeggiamenti finali.
Tuttavia, non è ancora giunto il momento di far scorrere i titoli di coda dello show. Richiesti a gran voce, gli Houston si ripresentano sul palco per riproporre la hit più gettonata dagli incontentabili questuanti, ovvero SIX HOURS OF SEX IN CALCUTTA. Verso la fine dell’esecuzione l’invasato Phil (all’anagrafe: Luca) si improvvisa Jimi Hendrix, dando fuoco alla sua chitarra in preda a raptus, nel tripudio generale.
La band porta così a termine in modo fiammeggiante (in senso letterale, appunto) la sua ottima performance, davanti ai propri fans, e raccoglie i meritati complimenti da parte del resto del pubblico, durante l’amichevole e affollato after show. Avvicino il corteggiatissimo cantante (al secolo: Niccolò Savinelli, classe 1987, noto alle cronache non solo come vocalist, ma anche come promettente chitarrista di talento) e gli chiedo qualche notizia sugli Houston. Nicco mi riferisce che la band si è formata nel corso del 2007, nata da un’idea di un gruppo di amici affetti dalla medesima sindrome, vale a dire con gli stessi gusti musicali. Insomma, una sorta di “Rock and Roll friends with Rock and Roll trends” – come direbbe R.J. Dio, tanto per non far mancare la solita citazione illustre… Per quanto concerne quei misteriosi meccanismi in base ai quali vedono la luce le loro canzoni, mi spiega che “solitamente un nostro pezzo trae origine da una linea di voce o un riff di chitarra, di basso o addirittura anche solo da un titolo, ma le nostre migliori idee nascono proprio nel nostro studio privato, quando l’atmosfera è cazzuta, la birra è abbondante, i volumi sono alti, qualche ragazza si mette a ballare… A quel punto ci lasciamo prendere dalla situazione e, senza dover dire una sola parola, cominciamo a suonare, improvvisando delle note e lasciandoci semplicemente trasportare dalle emozioni”.

Noto la bancarella del merchandise, e gli faccio presente che, a quanto pare, vogliono proprio fare le cose in grande, come si suol dire. “Sì; per quanto ci riguarda, anche se il mercato non sembra favorire certa musica, noi siamo decisi a sfondare, perché i nostri pezzi ci piacciono molto e noi ci crediamo tantissimo.” Stando alla partecipazione che ho riscontrato stasera, in effetti, sembra proprio che queste canzoni facciano molta presa e, considerata la voglia e l’entusiasmo che dimostrano i quattro giovani musicisti, non possiamo che augurare loro tutto il successo che meritano.
Secondo il mio modesto parere, sentiremo sicuramente parlare degli Houston. Magari non in Italia, ove (da anni ormai) il contesto non è dei più favorevoli per la diffusione e lo sviluppo della musica Rock (ivi compresi i diversi filoni a essa riconducibili), ma con qualche maggiore probabilità sul mercato estero, dove il settore risulta indubbiamente più seguito e curato. Infatti, non mi pare un caso che – da un lato – la Sliptrick Records sia attualmente impegnata nell’organizzazione di un European Tour e – dall’altro – la MAM Agency stia promuovendo l’immagine degli Houston in tutto il nord Europa. Gli Houston hanno suonato, di recente, come opener per i Vengeance, e il management degli olandesi li ha espressamente richiesti come supporto al loro prossimo Tour. E’ il caso di dire, dunque (ricadendo nella saggezza popolare un po’ spicciola, ma a volte significativa): se il buon giorno si vede dal mattino…!

Marcello Catozzi