Live Report: Hypocrisy+Kataklysm @Fryshuset, Stoccolma, Svezia 07/11/2018
Il tour “Death…is Just the Beginning” arriva anche in Svezia, patria di uno dei due headliner del tour, gli Hypocrisy.
Il tour che celebra il ritorno sulle scene della band dopo alcuni anni di pausa era sicuramente atteso con impazienza da molti, ma, stranamente, non sono poi così tanti gli spettatori che si radunano al Fryshuset di Stoccolma per assistere al concerto.
Un peccato dato che sia gli svedesi che i Kataklysm, l’altro headliner, sono in formissima e scatenano l’inferno sul palco scandinavo.
La sala inizia a scaldarsi con i The Spirit, gruppo di supporto tedesco dedito ad un Black/Death Metal di piacevole fattura: con un solo album all’attivo, “Sounds from the Vortex”, la scelta della scaletta non è difficile e la band suona il disco per intero, fatta eccezione di ‘The Great Mortality’.
Il pubblico è piuttosto scarso all’inizio, ma i presenti sembrano catturati dalla performance e nelle prime file si vede un entusiasta headbanging, e si sentono non poche urla; dopo la mezz’ora di show il locale si è parzialmente riempito e un breve applauso saluta i tedeschi.
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Fortunatamente nella mezz’ora circa di cambio palco il Fryshuset finalmente si riempie, anche se le balconate rimangono vuote, arrivando ad un pubblico di forse 500 persone; non tante quante ci si sarebbe potuti aspettare per un tour del genere, ma neanche un brutto risultato, anche considerando che siamo in mezzo alla settimana.
Arriva il turno dei Kataklysm, buio, riflettori puntati sulle scalette ai lati della batteria, salgono Dagenais e Barbe, chitarra e basso, ed inizia la festa.
Si inizia con ‘Narcissist’, uno dei singoli dell’ottimo ultimo album, “Meditations”, disco che dominerà la setlist; è giusto così, a pochi mesi dalla release ci aspettavamo di sentire tante canzoni nuove, e pezzi come ‘…And Then I Saw Blood’ e ‘Guillotine’ sono mazzate non indifferenti che non sfigurano a fianco a musica meno recente.
La scaletta è comunque un alternarsi di pezzi da tanti album diversi, e con tredici dischi all’attivo per i canadesi la scelta non è certo facile: si passa da una ‘A Soulless God’, ad un’ottima ‘The Black Sheep’, ad un classico come ‘As I Slither’.
Nel mezzo il buon Maurizio Iacono fa qualche breve discorso, molto cliché ma efficaci per esaltare il pubblico, sull’importanza di essere sé stessi, sul Metal, sul non farsi influenzare dalle opinioni degli altri…insomma, cose già sentite ma che ci stanno sempre bene per coinvolgere gli spettatori.
La band è in formissima, Beaudoin mitraglia la batteria mentre gli altri musicisti seminano terrore sulle loro corde; Iacono continua a saltare su e giù dalla sua pedana cantando con un ottimo growl, potente e massiccio.
L’unica domanda che ci si pone a fine concerto è…cosa ci vuole per coinvolgere il pubblico svedese? Perché, a parte headbanging e applausi, nell’ora circa di concerto si è visto un pogo poco convinto che ha coinvolto 4-5 persone per forse due canzoni; di fronte ad uno show energico come quello dei Kataklysm ci si potrebbe aspettare un altro tipo di partecipazione.
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Arriviamo quindi al turno degli Hypocrisy che, come dicevamo, giocano in casa essendo svedesi, anche se non di Stoccolma.
Sul palco salgono in sequenza Horgh alla batteria, Tomas Elofsson e Mikael Hedlund imbracciando chitarra e basso, e, mentre parte la base di tastiera di ‘Fractured Millennium’, arriva Peter Tägtgren.
Lo show è un concentrato di potenza con una scaletta ottima che pesca da tutta la carriera della band, tra molti classici e qualche perla più rara: si continua con ‘Valley of the Damned’, poi ‘End of Disclosure’ e ‘Adjusting the Sun’.
Mazzate su mazzate che ci ricordano in un attimo perché gli Hypocrisy sono tanto amati, e che non possono che rendere felici gli spettatori per il ritorno sulle scene del gruppo.
Peter si rivolge al pubblico poco, sempre abbastanza brevemente (e, ovviamente, in svedese quindi ci perdiamo il significato delle sue parole), ma il pubblico risponde sempre con calore alle sue frasi e con anche più entusiasmo alla musica.
È al classico ‘Roswell 47’ che spetta il compito di chiudere il concerto e, tra alieni e luci quasi stroboscopiche, si chiude un ottimo concerto; peccato per l’affluenza non abbondantissima, ci sarebbe piaciuto sentire le band suonare un po’ di più (un’ora e un quarto per headliner circa, più mezz’ora per la band di supporto), ma non possiamo certo lamentarci davanti a due gruppi che con più di 25 anni di carriera alle spalle sono ancora capaci di suonare con tanta intensità.
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