Live Report: Jon Oliva’s Pain (Londra, UK, 15.7.2012)
“Credetemi, non lo faccio per soldi” (Jon Oliva, Londra, 15.7.2012)
E io a questo omone della Florida credo. Credo perché nonostante abbia sottomano la TSO (una creatura da milione di dollari, che ovunque vada riempie teatri e palazzetti) lui continua a disertare gli show da 20.000 persone a sera per suonare i pezzi dei suoi Sava in giro per le bettole di mezzo mondo. E lo fa con un nome diverso, giocandosi una buona fetta di ingressi.
A lui piace cosí, il locale intimo, quella che senza dubbio é la dimensione che piú valorizza il suo carattere e la sua musica. Un ambiente quasi domestico, quasi da piano bar, in cui puó dire e fare quello che vuole senza finire nei titoli della CNN: “Artista metal ubriaco canta canzoni di Natale intervallandole a racconti di prostitute e cocaina. Offese agli omosessuali. Fantastici i giochi di luce e l’omaggio a Mozart”.
Jon Oliva é uno che si diverte davvero, ogni sera, a fare ció che fa. Lo capisci dal sorriso soddisfatto, da come dialoga con il pubblico, dagli occhi lucidi nei momenti piú toccanti. Un personaggio estremamente genuino, adorabilmente scorretto politicamente. Dice quel che pensa, senza filtri, ti parla tranquillamente dei giorni in cui componeva pieno di cocaina, si scola mezza bottiglia di vodka e prende a testate il microfono perché il braccio del supporto traballa. Poi si gira verso il suo batterista, che sta usando il set di uno dei gruppi di supporto per via delle dimensioni ridotte del palco, e gli dice “Chris, dietro quella batteria di Topolino sembri un frocio”.
Jon Oliva é cosí, prendere o lasciare. Ed é cosí non per contratto o perché il personaggio lo richieda. È cosí e basta. È uno di quelli a cui la fama interessa il giusto, uno che accetta di suonare con una strumentazione che non é la sua, anche se significa togliere dalla scaletta Tonight He Grins Again, uno dei suoi pezzi preferiti.
Una serata vintage
Imita il vecchio amico Paul O’Neill, colpevole del tentativo (poi riuscito brillantemente) di sdoganare la musica classica con un restio Jon Oliva: “Ho un’idea” dice Paul “facciamo un intro che vada a citare Hall of the Mountain King di Grieg” – “Che cazzo stai dicendo Paul, chi e’ Grieg?”. È la sagra dell’impredivibilitá, come quando Mr Oliva si mette a canticchiare Fernando degli Abba o decide di condividere i ricordi di quando da giovanotto decise di vivere a Londra, sperperando tutti i suoi risparmi in 8 mesi: “non mi ero reso conto fosse cosi fottutamente caro qui”. Caro in tutti i sensi, il Regno Unito dei suoi eroi, Queen e Beatles, e di tanti altri come i Black Sabbath, chiamati in causa durante la presentazione di Devastation: “Ora una canzone che ho rubato ai Black Sabbath. Spero non lo scoprano mai e che non comincino nessuna azione legale. Non me ne ero mai accorto fino a che mr Black Sabbath qui (indica Joe Diaz, giá membro di una cover band di Iommi e soci) me lo ha fatto notare”. Il Regno Unito dei Deep Purple, di cui esegue una Child in Time piano e voce, a sorpresa, proprio prima di congedarsi con Believe. Immaginate un Jon Oliva all’ultima data del tour, ultima canzone, la poca voce rimasta dopo 30anni di carriera, che tenta di arrampicarsi sulle orme di Ian Gillan… meno male che c’é il pubblico, come sempre, a dare man forte
Setlist: Intro, Sirens, Gutter Ballet, Edge of Thorns, Don’t Talk to Me, Power of the Night, Ghost in the Ruins, 24 Hrs. Ago, Beyond the Doors of the Dark, Legions, Strange Wings, The Price You Pay, White Witch, Devastation, Prelude to Madness, Hall of the Mountain King, Child In Time, Believe.