Live Report: Jorn a Rozzano (MI)
JORN LÄNDE – TEODOR TUFF – FROM THE DEPTH – DRAGONHAMMER
Theatre di Rozzano, 5 dicembre 2012
Live report a cura di Marcello Catozzi
Il Theatre di Rozzano, locale da concerti di recente costruzione e ben strutturato, che sorge alla periferia di Milano, ci accoglie in una fredda serata di dicembre proprio mentre gli italiani FromThe Depth stanno ultimando la loro performance.
Dopo qualche minuto è la volta del quintetto norvegese Teodor Tuff, che mette subito in mostra una buona coesione e un sound roccioso, di discreto impatto emotivo. Il pubblico dimostra di gradire battendo le mani ritmicamente, invitato a scandire il tempo dall’headbanging del grintoso bassista Rayner Haroy. Il cantante, da parte sua, sfodera una voce bella pulita, forte e chiara, capace di raggiungere le ottave più ostiche.
La formazione di questo tour 2012 è la seguente:
– voce: Terje Haroy
– chitarra: Christer Haroy
– chitarra: Knut Lysklaett
– basso: Rayner Haroy
– batteria: Knut Hellem
Durante il tempo a sua disposizione la band venuta dal Nord sciorina una prestazione precisa e convinta, nel segno di un rude power metal scandinavo ingentilito, però, da alcune componenti melodiche. L’abbinamento vincente tra il tiro deciso e possente della base ritmica (sorretta e pompata con cadenze prettamente heavy dal duo Knut Hellem / Rayner Haroy) e le melodie delle linee vocali e chitarristiche rappresenta il segno distintivo di questa “family band” assurta, di recente, agli onori delle cronache.
Ecco l’elenco delle song presentate, in gran parte tratte dall’ultimo disco “Soliloquy”:
– Last Supper
– Deng’s Dictum
– Addiction
– Redeemed
– Tower Of Power
– Stranger
Congedati i Teodor Tuff, si avvicina il momento clou della serata. Dopo una veloce sistemata al palco, nell’oscurità si intravedono le sagome dei musicisti che occupano la scena, mentre le note inquietanti dell’intro incominciano a diffondersi nell’aria densa di fumo: è il preludio alla granitica “Road of the cross” (dall’album “Spirit Black”). Una partenza sprint, caratterizzata da una muraglia di suono spaventosa che investe violentemente l’udito ma che ben si addice allo stile e allo spirito della band.
Quest’ultima, in epoca recente, ha avuto un paio di avvicendamenti al proprio interno; ecco come si presenta la nuova line-up rimaneggiata:
– voce: Jorn Lände
– chitarra: Trond Holter
– chitarra: Jimmy Iversen
– basso: Bernt Jansen
– batteria: Willy Bendiksen
Rivedere Jorn dal vivo a distanza di quattro anni dall’ultima esibizione costituisce un indubbio piacere per i fan accalcati sotto al palco, che esprimono tutto il loro attaccamento al cantante norvegese con accorata e totale partecipazione.
L’esordio si presenta di fortissimo impatto sonoro, anche grazie alla scelta di questa song potente e incisiva, sparata a tutto volume nel segno della potenza nuda e cruda. A voler essere pignoli e un pochino esigenti, non guasterebbe un’aggiustatina ai suoni, che arrivano troppo sguaiati e secchi, perlomeno nei primi 15/20 minuti dello show. In particolare, la batteria avrebbe meritato più cassa e le chitarre più volume, nell’economia di un sound più pieno e calibrato. Ma l’elemento essenziale, in questa circostanza, è ancora una volta (del resto non potrebbe essere altrimenti) la voce di Jorn, che scaturisce forte e devastante come al solito e, per magia, incanta e cattura l’attenzione di ogni presente!
Si prosegue con alcuni brani del passato più o meno recente, quali “Shadow People” e “Below”, dai quali si capisce come il condottiero vichingo, stanotte, sia intenzionato a non fare prigionieri.
In “Bring Heavy Rock to the Land” (che dà il titolo all’ultimo prodotto discografico della band) il pubblico duetta con il biondo frontman. Con “Time to be King” arriva l’immancabile tribute ai Masterplan, per i quali Jorn spende parole di ammirazione.
Dopo “The inner road” irrompe il drum solo, possente e vigoroso, di Willy Bendiksen, vecchio e glorioso compagno d’armi di tante battaglie, che per una decina di minuti maltratta le pelli da par suo scatenando l’entusiasmo generale.
La dirompente “Black song” introduce il fantasmagorico guitar-solo del talentuosissimo Trond Holter, new entry di tutto rispetto, che rappresenta una piacevole sorpresa per tutta la platea. La performance del gigantesco biondone è davvero pirotecnica, fatta di scale vertiginose e di acuti lancinanti, nei canoni dello stile chitarristico “nordico” ove tecnica e velocità si fondono in un insieme sfavillante. Al termine dell’assolo il resto della band si unisce all’incontenibile Trond in un esplosivo finale di stampo metal.
Si prosegue con la splendida “We brought the angels down”, in cui il pubblico si fa sentire nei cori duettando con un ispiratissimo Jorn, la cui voce palesa una forma eccezionale.
Con “I came to rock” la band si congeda momentaneamente, per ritornare a scuotere le pareti del Theatre con un’accoppiata che riaccende gli entusiasmi della gente: “Lonely are the brave” e “War of the world” chiudono nel migliore dei modi uno show che ha soddisfatto le orecchie e le anime dei fans di questo inossidabile eroe vichingo.
La setlist completa risulta essere la seguente:
– Road Of The Cross(da: “Spirit Black”)
– Shadow People (da: “Lonely are the brave”)
– Below (da: “Spirit Black”)
– World Gone Mad (da: “Spirit Black”)
– Bring Heavy Rock to the Land (da: “Bring Heavy Rock to the Land”)
– Time To Be King (Masterplan cover)
– Man Of The Dark (da: “Lonely are the brave”)
– The Inner Road (da: “Lonely are the brave”)
– Drum solo
– Black Song (da: “The Duke”)
– Guitar solo
– We Brought The Angels Down (da: “The Duke”)
– I Came To Rock (da: “Bring Heavy Rock to the Land”)
Encore:
– Lonely Are The Brave (da: “Lonely are the brave”)
– War Of The World (da: “Lonely are the brave”)
Stando ai commenti entusiastici delle persone che hanno avuto la fortuna di assistere allo show, si può ascrivere a successo lo spettacolo di stasera, senza alcuna ombra di dubbio. L’indomito team norvegese ha portato a casa i tre punti, per dirla in gergo sportivo; il suo capitano, l’intramontabile Jorn Lände, ha regalato ancora una volta una prestazione di pura classe, degna della sua fama, così come peraltro i suoi gregari, dai connotati di sicura affidabilità e robustezza, a dispetto di una leggera ma avvertibile penalizzazione causata da suoni non altrettanto definiti e precisi.
In ogni caso, l’aspetto più rilevante è che ci si possa sentire saziati da una bella scorpacciata di sano vecchio Rock; pertanto, il bilancio della serata risulta assai positivo e l’unico rammarico – ahimè ricorrente per chi assiste con una certa assiduità a eventi della specie – sta nel retrogusto amarognolo avvertito dal palato, pensando al numero dei presenti, che avrebbe potuto e dovuto essere di gran lunga maggiore, visto lo spessore dei protagonisti che hanno dato vita a un grande evento. Ma ormai – si sa – queste sono considerazioni ricorrenti in un’epoca sempre più “difficile”, nel settore di mercato attuale riferito a questo genere musicale. Comunque sia, anche se in mezzo a pochi irriducibili fedelissimi, ancora una volta ciascuno dei fortunati spettatori può legittimamente cantare a squarciagola: “I came to Rock”! E questa è sempre la cosa più importante!
Marcello Catozzi