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Live Report: Josefstadt by Brutal Assault 2021

Di Davide Sciaky - 23 Agosto 2021 - 11:00
Live Report: Josefstadt by Brutal Assault 2021

Report e foto a cura di Davide Sciaky

Puoi vedere il photo report completo qui.

Josefstadt by Brutal Assault
12-14 agosto 2021

Dopo più di un anno dall’inizio della pandemia un concerto, e ancora di più un festival, “normale” sembra un’utopia.
Negli ultimi 18 mesi tante band si sono organizzate per fare concerti in streaming – e altre attività per coinvolgere i fan, come Q&A -, alcuni locali hanno organizzato concerti a sedere, sempre di dimensione piuttosto ridotta, ma inevitabilmente tutti i concerti e festival di dimensioni maggiori sono stati rimandati sempre più in là.
Nel 2021, però, grazie alla diffusione sempre maggiore dei vaccini e all’adozione del Green Pass, qualcosa comincia a smuoversi: in giro per l’Europa diversi eventi ricominciano ad avere luogo, e anche alcuni festival iniziano a organizzare edizioni ridotte per la gioia dei fan affamati di musica live.
Il Brutal Assault è tra questi e dal 12 al 14 di agosto nelle familiari mura della fortezza di Josefov si è svolto il Josefstadt, questo il nome della versione in piccolo del festival ceco.

Edizione ridotta, versione in piccolo sono espressioni che servono solamente per fare un rapido confronto con il Brutal Assault “normale”, ma non fatevi trarre in inganno: piccolo non vuol dire di scarsa qualità, anzi, nei tre giorni di evento abbiamo visto come un festival anche di dimensioni ridotte possa essere gestito con la stessa professionalità, ed offrire per molti aspetti la stessa qualità, dei festival più grossi e blasonati.

Cominciando dal principio, arrivando al festival siamo stati accolti dai banchetti che controllavano il Green Pass; solo una volta verificatane l’autenticità allo spettatore veniva dato il wristband, il classico braccialetto che permette l’accesso ai festival. Per chi non fosse stato in possesso del Green Pass, nessuna paura, un efficiente tendone vicino all’ingresso permetteva di fare tamponi rapidi.
Il wristband sopra nominato includeva una tesserina di plastica con un chip per i pagamenti cashless (nulla di nuovo per i visitatori abituali del Brutal Assault, e di altri festival internazionali come l’Hellfest): in tutta l’area del festival, infatti, è stato possibile fare pagamenti solo ed esclusivamente tramite il bracciale, ricaricabile comodamente anche tramite carta di credito nei vari “Top-Up Point” sparsi per il festival. Cibo, bevande, merchandise del festival e della band, banchetti di altri venditori, tutto passa dal cashless. Sistema comodissimo dato che da un lato ha eliminato la necessità di portare sempre dietro i soldi (che tra un pogo e l’altro si rischiano di perdere), e dall’altro ha permesso a chi veniva dall’estero di non dover convertire soldi in corone ceche.
Per il Josefstadt sono stati utilizzati due palchi, il Sea Shepard Stage come palco principale – palco che solitamente è in un tendone un po’ opprimente e, soprattutto, caldo, ma che fortunatamente per quest’occasione è stato lasciato aperto – e l’Octagon Stage, palco già presente nello stesso formato e con lo stesso nome nel Brutal Assault normale.
Tra i due palchi, e non solo, sono stati disposti diversi banchetti di merchandise, cibo e bevande: con una buona varietà di scelta, e prezzi delle birre di circa 2€ e del cibo che mediamente si aggirava sui 4-5€ per un pasto abbondante (ma volendo esistevano alternative ancora più economiche), tutti i partecipanti non possono che essere rimasti soddisfatti.
Arriviamo quindi alla musica, la lineup del Josefstadt è stata sicuramente interessante vedendo gruppi locali minori affiancati da band internazionali più note come Hypocrisy, Vader, Destruction e Marduk.

Tra i primi gruppi del primo giorno, sul Sea Shepard Stage, abbiamo incontrato gli austriaci Harakiri for the Sky, validissimo gruppo che negli ultimi anni ha raccolto molti consensi e guadagnato tanti fan con il loro Black Metal venato di malinconia e di melodie. La band ha suonato qui il primo concerto dell’anno e non si è risparmiata con un’esibizione molto energica nonostante una posizione in scaletta abbastanza bassa in un orario pomeridiano molto caldo. Se la musica degli austriaci difficilmente può scatenare mosh o sing along, abbiamo comunque sentito grandi acclamazioni tra una canzone e l’altra, segno del grande apprezzamento del pubblico.

Michael “JJ” V. Wahntraum (Harakiri for the Sky)

Sempre sul palco principale abbiamo trovato dei Decapitated assolutamente massacranti che hanno scatenato i primi mosh pit e fatto decollare i primi crowdsurfer.
I polacchi sono stati tanto musicalmente cattivi e violenti, quanto palesemente felici di essere nuovamente su un palco come si poteva vedere dai frequenti sorrisi del cantante Rafał “Rasta” Piotrowski. Tra una canzone e l’altra Rasta ringrazia i fan, sottolinea quanto sia bello essere di nuovo su un palco, ma sempre rapidamente e tornando subito alla musica. In poco meno di un’ora, infatti, i polacchi suonano dodici canzoni estratte da tutti i sette album pubblicati.

Rafał Piotrowski (Decapitated)

Tra il concerto dei Decapitated e quello dei loro connazionali Vader nei banchetti del cibo avviene un brutto incidente: uno stand prende fuoco e in pochi attimi è quasi interamente in fiamme.
Situazione particolarmente pericolosa data la presenza di bombole a gas ma, fortunatamente, un furgone dei pompieri – sempre presente al festival – arriva immediatamente e spegne l’incendio.
Ennesima dimostrazione di grande professionalità, il giorno successivo il banchetto è stato prontamente ricostruito e ha ripreso a servire cibo regolarmente.
Con pure un incendio nel mezzo, il concerto dei Vader non viene ritardato neanche di un minuto e alle 21.40 i quattro salgono puntualmente sul palco.
Lo show è una speciale celebrazione dei 25 anni del classico della band “De Profundis” che viene suonato per intero. Insieme a questo disco i Vader suonano anche altre canzoni più recenti che però non sfigurano accanto alle prime, anche grazie ad un’esecuzione davvero potente ed energica.

Piotr “Peter” Wiwczarek (Vader)

Ci spostiamo quindi all’Octagon Stage dove è il turno dei Belzebong. Come il nome lascia facilmente intuire la band è dedita ad uno Stoner Metal particolarmente ipnotico e ripetitivo e, per rimarcare il concetto, ad inizio show il chitarrista si accende una canna che poi fa il giro di tutti i quattro membri del gruppo. Poi, i due chitarristi ed il bassista sollevano gli strumenti che sul retro recano lo slogan della band, “Smoke or Die”, e il concerto ha inizio. Luci verdi, fioche, accompagnano la musica pesantissima e “fumosa” dei Belzebong, uno show forse non per tutti ma che raduna comunque molti spettatori davanti al palco.

Sheepy Dude (Belzebong)

Per concludere la serata torniamo sul palco principale dove arrivano i Destruction.
Già assente dall’ultima manciata di concerti, lo storico chitarrista Mike Sifringer è sostituito sul palco da Martin Furia (che ora sappiamo essere il nuovo chitarrista in pianta stabile della band); se la sostituzione non è quindi una sorpresa, rimane comunque una grossa incognita: riuscirà Furia a non far sentire la mancanza di Sifringer?
La risposta è affermativa, la band guidata dall’imponente Schmier mette in piedi uno show devastante e per oltre un’ora dispensano i presenti con una massiccia, goduriosa dose di Thrash Metal.
La band spinge così tanto, velocissima e inarrestabile, da finire in anticipo la scaletta e lascia al pubblico la scelta di una canzone conclusiva.

Marcel “Schmier” Schirmer (Destruction)

Il secondo giorno iniziamo a scaldarci con le Burning Witches, band svizzera tutta al femminile dedita ad un Heavy decisamente classico in cui si sentono forti influenze di Iron Maiden e simili. Nonostante suonino alle 12.30, sotto ad un sole cocente, le cinque sono assolutamente in palla e fanno uno show davvero convincente. A bordo palco notiamo Schmier dei Destruction – vecchia conoscenza delle Witches dato che ha prodotto il loro album di debutto – che dispensa pollici in su e corna alle cinque ragazze (e si fa selfie). Loro, carichissime, intrattengono i presenti con 40 minuti di metallo fumante.

Romana Kalkuhl e Laura Guldemond (Burning Witches)

Torniamo sull’Octagon Stage, alcune ore più tardi, per vedere i Dordeduh, gruppo nato ormai un decennio fa da una costola dei Negura Bunget. Freschi della pubblicazione del nuovo, ottimo “Har”, i quattro romeni suonano per la prima volta alcune delle nuove canzoni che risultano convincenti anche in sede live. Il Black Metal atmosferico e folkeggiante (Folk “serio”, non quello festaiolo di altre band etichettate come Folk) richiama tantissimi spettatori che riempiono lo spazio davanti al palco e sulle balconate laterali.

Dordeduh

Al termine dello spettacolo dei Bunget, torniamo ancora una volta al palco principale dove stanno per suonare i Marduk, una delle band di punta del festival.
Evocative luci rosse illuminano i quattro svedesi che scatenano l’inferno sul palco. Cattiveria, cattiveria, cattiveria è la parola d’ordine e nell’oltre un’ora a disposizione vediamo la band sputare veleno Black Metal senza tregua.
Di fronte al palco troviamo il maggior affollamento visto fino a questo momento al festival, sembra davvero che ogni singolo persona presente al Josefstadt sia accorsa a vedere i Marduk. Allo stesso tempo, purtroppo, i suoni non sono ottimali (a differenza del resto del festival che ha avuto quasi sempre suoni praticamente perfetti) e spesso la chitarra si perde nella batteria violentissima, martellante, ma forse un po’ troppo alta. D’altra parte, la calca ci rende difficile spostarci e forse questo problema è dovuto anche alla posizione rispetto al palco. Lasciando perdere i suoni, la band svedese suona un ottimo concerto, evidentemente felice di poter tornare sui palchi, e Mortuus stesso interagisce col pubblico per sollecitare urla o, in un paio di momenti, per placarle per poter introdurre i brani successivi.

Daniel “Mortuus” Rostén (Marduk)

Ultima band della serata, sempre sul Sea Shepard Stage, sono gli Hypocrisy, gruppo che troviamo nel punto più in alto della locandina, un po’ gli headliner principali di tutto il festival.
Come tante altre band presenti all’evento, anche gli svedesi suonano qui il primo concerto dall’inizio della pandemia, nel caso degli Hypocrisy l’ultimo show risale addirittura alla fine del 2019. Nei giorni precedenti al Josefstadt, la band aveva pubblicato sui social foto dalla sala prove dove si sono esercitati per tornare sui palchi in piena forma, e così è stato!
Il gruppo di Peter Tägtgren apre le danze con ‘Fractured Millenium’, intro perfetta per un concerto, e continua inarrestabile con canzoni che coprono un po’ tutta la loro lunga discografia.
Come dicevamo sopra, la band suona il primo concerto in quasi due anni, e proprio Tägtgren lo sottolinea dal palco ringraziando tutti i presenti per essere accorsi al festival e sotto allo stage; il musicista rivela anche che il nuovo album della band (il primo dal 2013) uscirà sicuramente entro l’anno e che a breve diffonderanno più notizie.
Dopo questa succulenta rivelazione, però, è un peccato che gli svedesi non suonino un nuovo brano in anteprima, come ci si poteva aspettare dopo le parole di Peter.
Nonostante questa piccola delusione, il concerto è inappuntabile: potente, energico, esecuzione perfetta e, ciliegina sulla torta, suoni altrettanto perfetti che permettono di distinguere ogni minimo dettaglio delle canzoni.
Con il classico ‘Roswell 47’, gli Hypocrisy si accomiatano dal palco chiudendo una fantastica seconda giornata di festival.

Peter Tägtgren (Hypocrisy)

Il terzo e ultimo giorno di Josefstadt comincia con gli Spasm, gruppo Grind ceco che ci delizia con quaranta minuti dedicati ad alcuni dei temi più cari al genere, principalmente merda e masturbazione. Il cantante, sovrappeso, si presenta con indossando solo uno stretto costumino stile Borat, e una maschera con un pene al posto del naso. Non potremmo chiedere di meglio per accompagnare la nostra colazione, e rimaniamo anche sorpresi da quanto sia coinvolto il pubblico in alcune canzoni. Proprio per il brano finale ci ritroviamo presissimi dal coro “Masturbation – No pain, no gain!”.

Radim (Spasm)

Più avanti nel pomeriggio troviamo gli Azarath, gruppo polacco autori di un ottimo Death Metal con sprazzi di Black. La band è forse principalmente nota per essere stata fondata da Inferno dei Behemoth ma, purtroppo, il batterista è impegnato proprio nella registrazione del nuovo album della band, ed è quindi stato sostituito per questo concerto da Adam Sierżęga (che già in passato lo ha sostituito diverse volte). Sierżęga fa il suo, anche se si può sentire che manchi qualcosa nella batteria; d’altronde Inferno è un batterista fenomenale e non è per niente facile sostituirlo.
Lo show è comunque molto godibile e al termine della performance vediamo tante facce soddisfatte, insieme a qualche espressione confusa di chi non ha ancora capito cosa sia successo dietro alla batteria.

Peter (Azarath)

Tocca quindi agli S.D.I., storica band Speed/Thrash tedesca nata negli anni ’80 e ritornata in attività negli ultimi anni dopo una pausa di più di vent’anni. Nonostante la formazione a tre molto essenziale, gli S.D.I. hanno un suono compatto e massiccio. I tedeschi hanno recentemente pubblicato un nuovo disco, il primo in 31 anni, e suonano quindi per la prima volta o quasi alcuni brani nuovi, insieme a quelli storici. Le canzoni sono divertenti e infatti scatenano in fretta un mosh pit che durerà per l’intero concerto.

Reinhard Kruse (S.D.I.)

Doveroso menzionare la presenza, proprio nel mosh pit, di un bambino di tre anni (i suoi genitori ci hanno raccontato che quel giorno era il suo compleanno) che passa l’intero concerto a correre nel mosh. Per tutto il tempo diversi spettatori si sono assicurati che non gli succedesse nulla correndogli a fianco, a volte prendendolo in braccio, ma il bambino e inarrestabile e non si ferma un secondo per tutto lo show. A fine concerto il vincitore e lui, tutti nel pubblico lo hanno notato, e tantissimi passano a salutarlo.

Ci avviciniamo alla conclusione del festival ed è il turno degli Igorrr, uno degli headliner della sera. Dopo il recente terremoto in formazione che ha visto la sostituzione di entrambi i cantanti della band siamo sicuramente curiosi, ma anche un po’ timorosi, del risultato di questo avvicendamento in lineup. I due vecchi cantanti, infatti, Laure Le Prunenec e Laurent Lunoir, univano un grandissimo talento vocale ad una notevole presenza scenica.
Bastano pochi attimi però per toglierci ogni dubbio: nonostante i pochissimi concerti suonati con la band, JB e Aphrodite, i nuovi cantanti, sono assolutamente perfetti per la band e suonano un gran concerto. La musica degli Igorrr è folle, schizofrenica, geniale e, se per alcuni può essere difficile da digerire in studio, dal vivo è difficile non farsi coinvolgere. Particolarmente notevole la performance di Aphrodite Patoulidou, che scopriamo provenire dal mondo dell’opera, come si può facilmente intuire ascoltandola, che accompagna ad una esibizione canora straordinaria dei movimenti sul palco che catturano immediatamente tutti i presenti. Al termine dello show possiamo dirlo con certezza, gli Igorrr hanno rischiato grosso con questo cambio di lineup, ma i due nuovi cantanti sono stati la scelta giusta e la band sicuramente non ne uscirà indebolita, anzi!

Aphrodite Patoulidou (Igorrr)

A concludere la serata sul palco principale troviamo i Mgła, per chi scrive una delle band più interessanti degli ultimi anni nella scena Black. Come sempre i quattro si presentano sul palco vestiti completamente di nero, chiodo, cappuccio tirato su e una “maschera” (sostanzialmente un semplice telo nero) a far sparire il volto e senza indugi o intro si lanciano subito in ‘Age of Excuse II’, seconda canzone dell’ultimo disco.
Scenicamente il concerto è semplicissimo, un telone con il logo della band, luci blu, occasionale fumo sparato dai lati. Ma basta la musica, e il semplice abbigliamento dei polacchi, a trasmettere l’idea di malvagità più totale. Nessuna interazione col pubblico, brevissime pause tra una canzone e l’altra, i Mgła macinano inarrestabili quattro brani dall’ultimo album, quattro dallo stupendo “Exercises in Futility” e una da “With Hearts Toward None”. Come abbiamo detto sopra cattiveria, tantissima, ma anche tanta tecnica ed è veramente notevole come le canzoni siano suonate alla perfezione fino all’ultima nota, soprattutto la complessissima, ed estremamente goduriosa, batteria.

M. (Mgła)

Al termine del concerto ripensiamo ai tre giorni appena passati e non possiamo che essere soddisfatti e felici: dopo l’ultimo anno e mezzo sembrava impensabile poter assistere ad un festival nel 2021 e respirare una tale aria di normalità.
Tanti ottimi concerti di grandi band, ma anche banchetti di merchandising, di birra e di cibo, incontri con metallari di tutto il mondo, brindisi con vecchi amici e nuove conoscenze, mosh pit, tutte cose che non molto tempo fa davamo per scontate, oggi segnano un – anche se solo temporaneo – ritorno ad una normalità che per tanto tempo è sembrata difficile da ritrovare.