Live Report: Kampfar & Borknagar @Melodka, Brno, 18/04
Introduzione etnografica
Brno si trova in una posizione nella geografia europea che non sai se definire una botta di culo epica o una sfiga invereconda. A 100 kilometri da due capitali europee (Bratislava, Vienna) e a 50 da un centro del metal mitteleuropeo sconosciuto ma importante come Zlín, garantisce vagonate di concerti figherrimi a un tiro di schioppo. Questa situazione, però,unita al fatto di non essere una capitale, fa sì che di concerti a Brno ce ne siano tremendamente pochi. Sicché, in cinque anni di Repubblica Ceca, la mia prima fatale andata (e che andata) nella Metropoli Morava avviene solo ora, per assistere (#esticazzi) a una serata norrena di tutto rispetto: Kampfar e Borknagar.
Ad ogni modo, a Brno godo di una fitta rete di collaboratori, nel presente caso ne cito due, il Presidente* e il Vicepresidente**, che mi guidano traverso le asperità della metropoli morava e coi quali intrattengo affari di scarso interesse e sicura gloria.
Al Melodka, setting dell’incontro, giungo che la prima delle band di cartellone, i Diabolical, hanno già concluso. Galeotta fu una cena col presidente*, protrattasi a causa di discorsi su territori anche più a oriente della Moravia e di (potreste supporre) non poche complicazioni digestive. E invece no. Tremendamente galeotto è il promoter del concerto, la Obscure, che pensa bene di anticipare l’inizio del live dalle ore 20:00 alle 19.10, e di farcelo sapere alle (a me e agli altri 200 convenuti alla Melodka) 17.40 tramite comunicazione su social network.
I – KAMPFAR
Saremo anche 200, ma non si respira: la Melodka è costituita di due salette, una per il bere e l’altra per il pogo, robe che se inciampi sugli anfibi di qualche vichingo a caso manco c’è spazio per cadere. Ed è in tal clima che ha luogo l’esibizione dei Kampfar.
Concerto a dir poco pirotecnico, i norvegesi producono un volume di suono spaventevole pur essendo in quattro, e la povera strumentazione tecnica della Melodka cade giusto a fagiolo. Suoni ruvidi e semplici, che non hanno bisogno di effettoni e quant’altro per essere notati.
Al contrario, la minimalità del tutto da un grande risalto a quella che è la vera virtù dei Kampfar, vale a dire montare melodie lente e maestose. Non mancano i classici come Norse, Hymne o Troll, Død Og Trolldom, ma comunque anche i più recenti pezzi di Djevelmakt e di Profan (da brividi proprio Profanum) trovano il loro spazio. Ci si scalmana e dimena per quanto il poco spazio consente, ma l’adrenalina la fa da padrone dalprimo all’ultimo secondo.
In tutto questo rimango piuttosto stupefatto da Dolk, del quale mi ero fatto un’immagine, stando a saghe e leggende, di trucido e schivo energumeno. Al contrario, Dolk scherza col pubblico, interloquisce (e il pubblico moravo poco capisce, rispondendo “yes” a qualsiasi cosa), invita all’interazione e incita la bolgia.
Gran muro sonoro, gran prestazione, grande attitudine. Un successone insomma.
II – BORKNAGAR
Capirete a questo punto che tutta la tecnologia che ha giocato a favore dei Kampfar non torna esattamente utile ai Borknagar. Una tastiera, due chitarre, tre voci e un growl. E come fai? Tanto più che su Pål “Athera” Mathiesen, sostituto di Vintersorg, avevamo già espresso dubbi al Brutal Assault di due anni fa. Complice la sfiga, anche Pål come il presidente* è gravato da problemi di stomaco, e non finisce qui. Su Oceans Rise infatti il microfono non gli funziona più e ci pensa il (questa volta) provvido Nedland a frombolargli il suo – che tanto su Oceans rise non canta e di tastiere ne usa poche.
Ad ogni modo, superati i primi impacci e superati gli equilibri di riproduzione del suono con Rhymes of the Mountain ed Epochalypse, è proprio con Oceans Rise che il concerto prende a ingranare. Non arriva ai livelli di quello che può essere un festival all’aperto – altra strumentazione – ma gli scandinavi si mettono splendidamente in carreggiata.
Trascinato dalle voci di Vortex e Nedland, oltre che dal buon growl di Athera, il concerto prende quota, le linee di chitarra di Brun e Ryland si fanno definite, comprensibili e, sì cazzo, convincenti! Brani che vengono lasciati interamente a Vortex per ovvi motivi – Ad Noctum e Universal – esercitano la loro presa sulla plebe e mettono la strada in discesa per il sestetto.
Con The Eye of Oden anche Athera si prende la sua rivincita, dimostrando di saper adattare il pulito molto meglio alle canzoni cantate da Garm piuttosto che quelle di Hedlund – sarà anche per quello che il set, di ben 15 canzoni, non prevede pezzi di Epic né di Empiricism. Sia quel che sia comunique Athera si rivela molto valido sia su Dauden che su The Dawn of the End, mentre Vortex spadroneggia da par suo in Frostrite e Icon Dreams.
Bis ovviamente affidato ovviamente a Colossus – delirio – e a Winter Thrice, con cui i Borknagar consegnano una prova di coesione a dir poco superiore e concludono magistralmente un set che, superati i primi intoppi, può essere definito ottimo.
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The Rhymes of the Mountain
Epochalypse
Oceans Rise
Cold Runs the River
Ad Noctum
Universal
The Eye of Oden
Frostrite
Icon Dreams
Ruins of the Future
Dauden
The Dawn of the End
Bis
Colossus
Winter Thrice
*Evviva il presidente, lunga vita al presidente
** Evviva il vice, lunga vita al vice