Live Report: Killswitch Engage a Milano

Di Stefano Burini - 2 Maggio 2013 - 21:00
Live Report: Killswitch Engage a Milano

Killswitch Engage + Sylosis + Heartist

25/04/2013 @Magazzini Generali, Milano (MI)

 

Alle ore 19 e 15, quando giungiamo in prossimità dei Magazzini Generali, i parcheggi non sono ancora stati presi d’assalto, segnale evidente del fatto che il grosso del pubblico, complici il giorno di festa e il clima clemente, deve ancora arrivare. Il tempo di sbranare un panino e trangugiare l’immancabile birra quando i primi rumori provenienti dal soundcheck ci indicano che è ora di entrare.

 

 

Tocca ai californiani Heartist, giovanissimi virgulti di casa Roadrunner, il ruolo di apripista della serata. Il quintetto guidato dal vocalist Bryce Beckley sale sul palco mentre il locale va, poco alla volta, riempiendosi e l’esibizione incomincia, in ogni caso, di fronte ad un pubblico già discretamente numeroso e di certo incuriosito da questa band giovane e, almeno da noi, ancora sconosciuta. Nessuna concessione a scenografie o ad eventuali trucchi o abiti di scena e un’attitudine tutta sudore e violenza, mitigata dagli immancabili refrain ultramelodici (peraltro non del sempre perfettamente intelligibili per via della voce un po’ “indietro”): questi i tratti distintivi degli Heartist. Le canzoni hanno globalmente un buon tiro e, anche laddove la barriera del famigerato emo-core viene oltrepassata, Beckley, Gaytan e compagnia dimostrano di sapersela cavare in maniera più che dignitosa. Peccato per alcuni brani viziati da qualche problema di suoni di troppo, ma fortunatamente la situazione di lì a poco migliora in maniera decisa, dando il giusto risalto alle vocals melodiche che caratterizzano il singolo “The Answer”, la più melodica “Where Did I Go Wrong”, sulle tracce tanto dei 30 Seconds To Mars quanto degli ultimi Periphery, e la conclusiva “Disconnected”. Per gli amanti di queste sonorità una piacevola sopresa in grado di svolgere in maniera efficace il ruolo di opening act per una serata che parte con i giusti presupposti.

 

 

Ore 20 e 20 e giunge il momento dei Sylosis, con Josh Middleton che aggredisce la platea fin dall’opener “Fear The World” con le sue growl vocals rabbiose ma intelligibili. L’impatto monolitico che si sente su disco si conserva in maniera perfetta, tra ritmiche granitiche, assoli al fulmicotone e un attitudine thrash senza compromessi. “Sands Of Time” assesta al pubblico un colpo che pare gia definitivo grazie al riff indovinatissimo, alle demoniache screaming vocals di Middleton e all’aggressivitá sconfinata di una sezione ritmica spietata e senza pause; il pogo di notevole intensitá che si scatena proprio sotto al palco, è la migliore testimonianza del gradimento da parte dell’uditorio. Su “Stained Humanity” Josh orchestra l’immancabile wall of death mentre il riff fa molto thrash d’annata (Metallica, Slayer, ecc ecc) e le ritmiche catchy non fanno altro che gasare ed aizzare in pubblico gia decisamente su di giri. “Reflections Through Fire” prosegue nella stessa direzione, tra complesse architetture sonore, grande attitudine e tonnellate di inesauribile violenza mentre la band inglese, sul finale della superba “Teras”, gioca da par suo con una serie di stop and go assassini dispensati con precisione chirurgica. “All Is Not Well” mescola un po’ le carte in tavola mettendo in campo le sue ritmiche cadenzatissime e un riff che nn fa prigionieri, nel tentativo di allontanare quella leggera sensazione di noia che, come accadeva su disco, nonostante l’indubitabile perizia dei Sylosis,  tende alla lunga a farsi strada proprio a causa della monoliticità del sound del combo inglese. Chiudono l’esibizione, e senza perdere un grammo d’intensità, “Altered States Of Consciousness”, forse un po’ in sordina rispetto a alle precedenti, pur con il plus di un finale a tutta birra  che rimanda la memoria ai gloriosi Metallica, e la conclusiva e furiosa “Empyreal, Part 1”, impreziosita da uno dei pochi assoli di chitarra dispensati in tutto il concerto. Ottima conferma live per una band ancora giovane ma dal curriculum già piuttosto importante. La presenza scenica non è di certo il fiore all’occhiello degli albionici e il loro sound è fin troppo quadrato, eppure molte canzoni mostrano un talento non da tutti e l’attitudine complessiva della band, concentrata ed energica e con la sua punta di diamante nel piccolo ma cazzutissimo Josh Middleton, è di quelle che fanno scuola, sicché la risposta del pubblico si rivela giustamente (anche se, forse, inaspettatamente) calorosa.

Setlist

01. Fear the World
02. Sands of Time
03. Stained Humanity
04. Reflections Through Fire
05. Teras
06. All Is Not Well
07. Altered States Of Consciousness
08. Empyreal, Part 1

 

Ore 21 30 e i KSE entrano in scena a suon di pop danzereccio, a ribadire lo spirito giocoso di cui il chitarrista e leader Adam Dutkiewicz si fa a più riprese portavoce, tra smorfie, siparietti e pose. L’apertura è riservata a “The Hell In Me”, anche opener del nuovissimo “Disarm the Descent”. Segue l’ormai “classica” “A Bid Farewell” e, nonostante l’attittudine sembri essere quella giusta, con Jesse che saltabecca come un ossesso da un lato all’altro del palco aizzando la folla e Adam che fa da buffo contraltare sulla destra del palco, sembra esserci qualche problemino audio di troppo che non pare risolversi nemmeno con la successiva “Fixation On The Darkness”, estratta dal preistorico “Alive Or Just Breathing”. Lo show inizia a prendere realmente quota a partire da “The New Awakening”, sulle note della quale si scatena un circle pit da girone Dantesco; seguono “Life To Lifeless”, “No End In Sight” e “Take This Oath”, tutte e tre cantate con grande convinzione da Jesse, graditissimo rientrante in luogo del gigante buono Howard Jones. “The Arms Of Sorrow”, tratta da “As Daylight Dies”, si configura come LA ballad della serata, con l’immancabile dedica, da parte di Adam, alle “beautiful italian babies” e, anche in questo caso, grande resa e grande apprezzamento. Si torna a pestare duro con  “This Is Absolution”, seguita da “All We Have”, dominata, quest’ultima, dalla batteria forsennata di Justin Foley e dal rifferama nervoso. Dopo un breve siparietto che ha visto protagonista un ragazzo che si è guadagnato la birra di Jesse, scocca l’ora dell’acclamatissima “Rose Of Sharyn”, altro  classico moderno di grande valore. “Numbered Days” e “Self Revoluition” confermano la vena di un gruppo decisamente in serata mentre la più leggera e scorrevole “In Due Time” riesce nell’intento di conferire grande varietá alla scaletta. Con la sempreverde “My Curse” e la spettacolare “The End Of A Heartache”, si chiude la setlist “ufficiale”, tuttavia la band, richiamata a gran voce da tutto il pubblico, torna allo scoperto per l’immancabile bis riservato a “My Last Serenade”, uno dei brani simbolo dei Killswitch Engage. Si chiude così un esibizione convincente sotto tutti i punti di vista; di quelle che, di fatto, incoronano una band relativamente “nuova” come degna di raccogliere lo scettro dei grandi del passato (nonostante le ovvie differenze di genere e di contesto).

Setlist

01. The Hell in Me
02. A Bid Farewell
03. Fixation on the Darkness
04. The New Awakening
05. Life to Lifeless
06. No End in Sight
07. Take This Oath
08. The Arms of Sorrow
09. This Is Absolution
10. All We Have
11. Rose of Sharyn
12. Numbered Days
13. Self Revolution
14. In Due Time
15. My Curse
16. The End of Heartache
17. My Last Serenade (encore)

 

Nel complesso, una bella serata scandita a suon di bordate thrash/death e *core dispensate da tre generazioni di gruppi facilmente annoverabili nel cosiddetto “metal moderno”. Tre prove globalmente convincenti, seppur a tratti afflitte da qualche leggero problema di suoni e da un’illuminazione non sempre funzionale a valorizzare il lato visivo dello show; c’è stato in ogni caso di che gioire.

 

Live report a cura di Stefano Burini, fotografie a cura di Michele Aldeghi.