Live Report: King Gizzard and the Lizard Wizard@ Parco della Musica, Padova 22/08/2023
Live report a cura di Sandra Neuburger
Live Report: King Gizzard and the Lizard Wizard@ Parco della Musica, Padova 22/08/2023
Se qualcuno fosse ancora sorpreso di leggere un report riguardante un gruppo spesso banalmente riferito come ‘garage’ sulle pagine di un magazine che tratta principalmente di Heavy Metal e delle sue sfumature, significa che quel qualcuno non ha idea di chi siano i King Gizzard and The Lizard Wizard.
La band australiana, composta da sei membri tutti poco più che trentenni, ha all’attivo 24 full-lenght ed una miriade di altri album tra live, bootleg e remix album a partire dal 2010. Descrivere in poche righe la varietà, la qualità, la follia e l’immaginario della loro produzione sarebbe assolutamente impossibile, ma se ai loro esordi si sono cimentati per lo più in un estroso ed energico garage rock dalle ampie influenze retro e psichedeliche, mi pare opportuno ricordare che nella loro evoluzione troviamo punk, vari livelli di elettronica, infinite sperimentazioni dai toni orientali, jazz, jam sessions di varia natura e persino alcuni riusciti spaccati hip hop à la Beastie Boys. E ultimo ma non ultimo, un grandioso Heavy Metal anch’esso vagante tra varie ispirazioni, esordito in un disco intero nel 2019 con il pazzesco ‘Infest the Rat’s Nest’ e proseguito proprio quest’anno con la loro ultima produzione ‘PetroDragonic Apocalypse; or, Dawn of Eternal Night: An Annihilation of Planet Earth and the Beginning of Merciless Damnation’ (si, si chiama proprio così), che non faticherei a descrivere come il miglior album Metal uscito nel 2023 per non avere la pretesa di dire nell’ultimo decennio.
E in questo ultimo tour, susseguitosi a distanza di pochi mesi al precedente (con grandiosa tappa italiana al gremito Alcatraz di Milano), i nostri non hanno mancato di proporre dal vivo brani tratti da questa loro agguerrita produzione dai toni incazzati, ma permettetemi di andare con ordine e tornare a breve su questo punto.
A Padova i KGLW si presentano al Parco della Musica, una simpatica venue estiva dove purtroppo non riesco a vedere il gruppo di apertura ‘The Prize’, anch’essi di Melbourne, a causa dell’arduo compito di trovare un parcheggio per la mia auto che mi fa subito capire che anche a questo giro il concerto è meritatamente affollato.
Riesco ad entrare a pochissimi minuti dall’inizio, il caldo si fa sentire ma l’eccitazione riesce a mantenermi in piedi nonostante i quasi 38 gradi della location poco distante dal centro della città veneta.
I KG sono un gruppo molto giovane che riesce ad attenersi a diverse mode del momento senza scadere in alcuna banalità. Prima di ogni concerto, proiettano sul backdrop un disclaimer che incita a fare tutto il casino possibile nel rispetto del prossimo, invitando a segnalare qualsiasi abuso fisico e violenza alla sicurezza. Si presentano sul palco con outfit che hanno l’aria di essere niente più che i primi indumenti trovati nell’armadio, la mente pulsante del gruppo e polistrumentista Stu McKenzie ha un paio di pantaloncini scuri ed una maglietta bianca qualunque, i capelli medio lunghi sparpagliati senza un senso ed il volto imberbe che lo fa sembrare ancora più giovane. Ambrose Kenny Smith, membro mascotte della band, armonicista, tastierista, rumorista, sassofonista, cazzeggista e cantante in coppia con Stu, indossa un gilet da pescatore ed un paio di pantaloni spiegazzati che la maggior parte di noi indosserebbe per andare a tosare l’erba del giardino di casa.
Il pubblico è eterogeneo, ci sono tantissimi giovani dall’aria di amare l’Indie Rock ed un profuso utilizzo di droghe leggere, ma scorgo anche diverse persone più attempate e non poche magliette nere con loghi di band ben più oscure.
Non ci sono molti fronzoli nella loro apertura, un paio di ‘Are you Ready’ volanti, qualche secondo per accordare gli strumenti e si parte subito con le sassate: ‘Mars for the Rich’, tratto da ‘Infest the Rat’s Nest’, riscalda subito la platea urlante con riff massacranti e la poliedrica voce di Stu, capace di passare da toni dolcissimi ed infantili ad acuti e grida degni del thrasher più incazzato, è accordata sui suoi toni più violenti mentre sfodera insieme al secondo chitarrista Joey Walker un suono che non ha nulla da temere dalle più popolari band del panorama Metal.
Si prosegue Hard’n’Heavy, ‘Converge’ e ‘Witchcraft’ dal nuovo album infuocano i presenti con un tiro devastante, poi ‘Self Immolate’ nuovamente da Infest e infine ‘Satan Speeds Up’, per poi addolcire i toni con la classica ‘Magenta Mountain’ ed il suo flauto traverso (suonato da Stu, che canta, schitarra come un pazzo proponendo assoli spaziali con il suo esteso campionario di strumenti, si sposta spesso alle tastiere, scrive la maggior parte dei brani e ha registrato e mixato in prima persona tutti i dischi della band nel suo piccolo studio casalingo, anche se varie leggende narrano che molti brani siano stati prodotti durante i tour e addirittura registrati con i loro smart-phone).
Tra i vari tratti pazzeschi di questo gruppo, c’è il fatto che nessuna scaletta sia uguale a quella del giorno prima. Una produzione così vasta dà loro modo di poter proporre brani differenti ogni volta, e al netto di essere alla mia terza esperienza live con loro, posso dire che sembra che confezionino ogni volta un susseguirsi di brani il più adattabile possibile al contesto della venue.
Col caldo di Padova, è un piacere passare a pezzi più molli dopo essersi presi a spallate per quasi mezz’ora, gli astanti bruciano spinelli e ondeggiano lasciando traspirare quel poco d’aria che rimane loro, è il momento di lasciarsi trascinare nella psichedelia ed i visual frattalici ci aiutano ad entrare nel mood.
Non sono un’esperta di strumenti in generale ma appaiono di brano in brano chitarre dalle forme e dalle accordature sempre più fantasiose, molte delle quali dall’aspetto estremamente vintage e le famose microtonali con le quali i nostri hanno sperimentato largamente ai tempi di ‘Flying Microtonal Banana’.
Si alternano alle voci Stu, Joey ed Ambrose che si sposta dal suo cubicolo di tastiere, effetti e strumenti a fiato per prendere le redini del palco nei brani cantati primariamente da lui con un fare da rockstar diametralmente opposto alle sue faccette buffe nel resto della performance, il tastierista Cook Craig prende occasionalmente in mano chitarre e Stu e Joey si buttano sulle tastiere al centro del palco per la durata di un paio di pezzi.
Può sembrare tutto un casino infernale ma il risultato è un concerto di apocalittica capacità sonora. I generi si alternano di brano in brano e se dapprima i KG ci propongono le loro canzoni dall’inizio alla fine lasciando applaudire il pubblico mentre cambiano strumenti e posizioni sul palco, al grido di ‘Are you Ready for some Jamming?’ si scatena un putiferio emozionale di più di mezz’ora che cavalca molti loro brani fusi l’uno nell’altro dove testi di alcuni vengono sostituiti alla melodia di altri e si passa da low tempo trotterellanti dalle voci effettate e suadenti ad un finale estremo che rasenta il Black Metal passando da momenti che ricordano un hard rock ottantiano farcito di tastiere.
Permettetemi a questo punto di perdere il filo della scaletta, che forse è il dettaglio meno importante del concerto, è sempre probabile rimanere delusi dalla mancanza di questo o quel brano (si trattasse anche solo dei singoloni, non basterebbero dieci concerti per suonarli tutti), ma è altrettanto certo che ci saranno alcuni dei nostri preferiti e che non rimarremo insoddisfatti dalla performance di alcuni pezzi più oscuri, che magari non ci ricordavamo neanche che esistessero perchè è letteralmente impossibile tenere le fila di una produzione così mastodontica e dettagliata.
Mi domanderò eternamente in che modo queste persone così giovani conoscano così tanta musica e siano così capaci di tirare accenni perfetti a più o meno qualsiasi genere musicale mantenendo un profilo così basso, ironico e scanzonato dimostrando mostruose capacità tecniche, tenendo il palco con un tiro micidiale e tanto show in più di due ore non-stop di musica e creando crescendo ed atmosfere così perfetti in ogni occasione con scalette sempre diverse dove pare che sia lasciato molto ad un’improvvisazione super sinergica che non perde mai un colpo.
Mi ricordo un polverone pazzesco tagliarmi la gola mentre il pubblico sudatissimo di scuote sull’armonica di ‘Gamma Knife’, che riporta ai toni classici dei KG più punk e fuzzeggianti, e non so con che parole descrivere la grandiosità del finale dove vengono suonati in fila senza pause gli ultimi cinque brani del concept album di ben tre dischi ‘Murder of The Universe’, dove la storia di un Cyborg confuso viene raccontata in sottofondo con il testo che appare interamente nei visual che aggiungono alla narrazione effetti ottantiani mentre si parla di apatia, decadenza e morte per poi esplodere in una pomposa celebrazione dell’atto di vomitare, fa ridere in maniera pazzesca ma fa anche esaltare vista la tiratissima esecuzione del tutto. Al picco di ‘Vomit Coffin’ e ‘Murder of the Universe’ il pubblico è letteralmente in delirio, il caldo sembra non esistere più, l’inevitabile stanchezza è sopraffatta dalle chitarre, e alla chiusura del concerto, dove i KG ci lasciano senza éncore, gli applausi e le grida inondano il Parco della Musica mentre i nostri ringraziano a testa bassa come se nulla fosse successo.
Avrei voluto aggiungere ad ogni frase di questa recensione un’altra miriade di note e dettagli, avrei voluto raccontare della persistente armonica di Ambrose vessillo della musica dei King Gizzard and The Lizard Wizard e dei suoi assoli di sax nella Jam, avrei voluto esaltare le immense doti di Batterista di Michael Cavanagh e delle sue maglie classic metal (a questo giro, Metallica), avrei voluto parlare della salopette di Joey Walker e della tuta arancione da carcerato del bassista Lucas Skinner, avrei voluto fare riferimento alle occhiate tra i musicisti quando sembrano aver l’espressione di chi ha scazzato una nota liquidando la questione tra loro con una spalluccia ed un sorriso, ma è letteralmente impossibile descrivere tutto ciò che ha a che vedere con questa band in una mera recensione del loro concerto.
Unica pecca da parte mia, la mancanza del super singolo ‘Gila Monster’ da PetroDragonic, uno dei più accattivanti brani metal mai scritti della storia della musica, che ho ascoltato in repeat dal primo istante dalla sua uscita, ma a parte questo, tutto perfetto. Suoni perfetti, esecuzione perfetta, scaletta perfettamente bilanciata, divertimento e potenza senza un attimo per riprendere fiato.
Al finire del concerto, nella lunga fila al banco del merch che oltre ai numerosi dischi offre una serie di bellissime magliette (inutile dire che i KG dominano anche in quanto a grafiche ed effetti visivi nella loro offerta di oggettistica), incontro inaspettatamente un amico che mi abbraccia sudato dicendomi, ‘Abbiamo appena visto il miglior gruppo che sia mai esistito negli anni duemila’.
Non ho da dargli torto. I KGLW sono una band immensa, forse l’unica, in un panorama bastevolmente mainstream, ad aver portato eccellenza musicale di prima categoria tra le nuove generazioni. Hanno fatto, e faranno, la storia.
Un live, al pari di tutti i loro altri che ho visto, lungo, drenante, impegnativo, divertente, concitante, creativo, che non vorresti che finisse mai anche se mette a durissima prova il corpo e l’udito (difficile trovare un punto dell’audience dove qualcuno stia fermo o non stia navigando molleggiante nel favoloso trip proposto dagli australiani).
Ne esco estasiata e in attesa del prossimo, al netto di passare la mia esistenza ad inseguire più o meno ancora valevoli carampane del rock, l’ondata di freschezza ed energia portata dai King Gizzard è qualcosa di molto difficile da ritrovare in altri concerti, e consiglio a chiunque non li abbia mai visti, a prescindere dai gusti musicali purché capaci di reggere un muro sonoro ed un’ecletticità di tale portata, di farsi il favore di andarli a vedere non appena appariranno nuove date.