Live Report: Metal Brigade Fest a Pavia
17 e 18 Luglio 2010, Metal Brigade Fest. Il primo festival metal mai organizzato nella città di Pavia. Un’occasione che, fino a poco tempo fa, in molti avrebbero considerato come pura fantascienza. Invece è avvenuto, ecco come è andata.
Pavia è una città strana. A volte sembra chiedere a gran voce qualcosa e, quando glielo si dà, si ritira in se stessa, non accettando il regalo che tanto faticosamente si è confezionato per lei.
Questo è, in sintesi, quanto è avvenuto con il Metal Brigade Fest.
Da qualche anno le occasioni per ascoltare musica metal in Pavia e provincia sono limitate a qualche locale sparso tra Milano e l’Oltrepo’ che saltuariamente invita gruppi a suonare. Spesso, poi, queste date sono salutate da discrete affluenze che diventano anche più numerose se il nome del gruppo è minimamente noto, anche solo nella zona.
Una due giorni dedicata al metal, organizzata in centro a Pavia, quindi, avrebbe dovuto richiamare un buon numero di appassionati.
Purtroppo non è stato così. Nonostante l’impegno profuso da Franco Belloni e Davide “Santo” Rubino per organizzare l’evento, scontrandosi anche con il comune che ha tentato in ogni modo di boicottare l’evento (tra l’altro relegandolo nel parcheggio del palazzetto dello sport, con ben poca ombra, ma tanto asfalto, a disposizione), e coinvolgere band di qualità e nomi di un certo rilievo, la manifestazione è andata quasi deserta.
Ma andiamo con ordine.
Sabato 17 Luglio 2010, Metal Brigade Fest, giorno 1.
Il primo giorno è stato dedicato principalmente all’heavy classico, al power e a qualche pizzico di prog.
E’ toccato alle WARSIS aprire l’evento. Un trio di donne dedite a un power metal molto roccioso e spruzzato di epic. Nate come cover band dei Manowar non hanno fatto mancare un buon numero di cover dei Kings of Metal. In particolare questi pezzi hanno attirato l’attenzione dei pochissimi spettatori che hanno sfidato la calura e il sole delle tre del pomeriggio. Un’impresa titanica sia per la band, che per chi cercava di seguirla dalla prima fila.
A seguire è toccato alle ROUGENOIRE da Milano. Nuovamente un gruppo femminile, composto da cinque ragazze dedite a un hard rock roccioso e orecchiabile. Solo quattro i pezzi per loro, ma molto convincenti della grinta con cui si presentano sul palco. Così si è cominciato con “Make a Better Happy Ending” per passare poi a “Sharpedge”, “Not Your Own Vicious” e chiudere, infine, con una bella e ispirata cover di “It’s a Long Way to the Top”.
Terza band della giornata a salire sul palco gli HELLCIRCLES. Gruppo dedito a un mix tra power, heavy e qualcosina di prog. Bravi tecnicamente, cosa che mettono in luce nei diversi assoli che costellano le loro canzoni, presentano una prima voce alta e aggressiva, molto power, ma anche una seconda voce che compare solo saltuariamente con piccoli interventi in growl. Dal proprio repertorio propongono “Let-Us-Unite”, “The Damage Done”, “Rise Again” e “Take or Give Up”. Cercano di coinvolgere il pubblico, soprattutto con le cover, piazzate in chiusura, di “Fear of the Dark” e “Pull Me Under”, ma ci riescono solo in parte. Purtroppo, nonostante il buon spettacolo, il caldo è ancora troppo intenso.
A questo punto toccherebbe ai SOUNDSTORM, ma, ufficialmente a causa di un malore del cantante, il gruppo ha disdetto il giorno stesso a poche ore dall’inizio del concerto.
Tocca quindi ai TIMESWORD. Stavolta si è dalle parti del prog più classico, tecnico e di buon gusto, ma anche orecchiabile. I loro brani alternano assoli e intrecci strumentali, che mettono in luce la gran tecnica di tutti i musicisti, a sfuriate devastanti. Qui e là compare anche una spruzzata di elettronica ad opera delle tastiere che rende più saporito il tutto. Il risultato sono brani molto lunghi (alla fine collezioneranno quasi un’ora di concerto con soli quattro pezzi: “Thousand Year Kingdom”, “Highway to Paradise”, “Skyland” e “Real Mistery”, quest’ultimo ben oltre i 15 minuti), ma che non stancano risultando sempre molto vari e coinvolgenti.
Finalmente comincia a calare un po’ il sole e, anche se le temperature rimangono torride (anche e soprattutto a causa dell’altissima umidità), comincia a vedersi un po’ più di pubblico anche sotto il palco. I BEJELIT, band aronese di cui è da poco uscito il terzo album, sale sul palco potendo contare su un po’ di gente in più per cui suonare. Nel periodo a loro disposizione eseguono “Rostov”, “Haunter of the Dark”, “Son of Death”, “Astaroth”, “Sail from Beyond”, “Just a Dream”, “Deathrow”, “Shinigami” e, infine, la cover di “Mirror Mirror”. Tutti i gruppi finora citati non si sono risparmiati di fronte ai pochi presenti, sfornando prestazioni convinte e convincenti come se fossero di fronte a folle oceaniche, a riprova della loro professionalità. Una menzione speciale va però fatta a Fabio Privitera, cantante dei Bejelit che, forse anche grazie a una temperatura leggermente più sopportabile, si è distinto per la dinamicità della sua prova sul palco.
Col sole ormai calato, mancano solo due band per finire la giornata. La prima delle due è quella degli OVERMASTER. Il gruppo ha appena esordito discograficamente per la Cruz del Sur Music, ma è nota agli addetti ai lavori già da qualche tempo. Il loro heavy-power metal è orecchiabile e incisivo, soprattutto, però, è la loro prestazione dal vivo a convincere tutti, sia il pubblico che gli altri musicisti. Nonostante l’assenza del batterista Carlos (impegnato in quella data come session-man con gli Annihilator), sostituito degnamente da Max Buell, le prime file vengono letteralmente asfaltate dalla violenza e dall’impatto sonoro di questo gruppo. Probabilmente in molti non dimenticheranno facilmente la prestazione di Gus dietro al microfono e degli altri, o canzoni come “Marble King”, “Spartan Warriors”, “Overlord”, “Revolution World”, “Jungle of Madness”, “Children of the Sand”, “Battle Prayer” e “Prophet of War”. Così come è successo a chi scrive.
A chiudere, degnamente, una giornata dedicata all’heavy metal nella sua forma più pura, una band composta da nomi che hanno fatto davvero la storia di questo genere in Italia. I BUD TRIBE vedono alla voce Daniele “Bud” Ancillotti che sicuramente tutti ricorderanno come storico singer della STRANA OFFICINA, al basso il fratello Sandro Ancillotti (già “quinto uomo” della STRANA OFFICINA), alle chitarre Leo Milani (ex-SABOTAGE) e il recentemente scomparso Marcello Masi (ex-STRANA OFFICINA) e alla batteria Dario Caroli (anche lui ex-SABOTAGE). La loro prova sul palco è stata, ovviamente, maiuscola e all’altezza della reputazione e di quell’aura di vaga leggenda che circonda personaggi di tale spessore. Non molti tra il pubblico, composto principalmente da giovani, sapevano chi avessero di fronte, ma il carisma di lungo corso di questi musicisti ha subito conquistato tutti. Pur non conoscendo le canzoni, molti, dopo un solo ritornello, erano sotto il palco a cantare “Face the Devil”, “Holy War”, “Metal Show”, “Black widow”, “Starrider”, “Ghost Dance”, “Mother’s Cry”, “Roll the Bone”, “Non Sei Normale”, “Rock’N’Roll Tribe” e la conclusiva “Metal Brigade”. Certo non vi era brano migliore per concludere questa prima giornata del festival.
Domenica 18 Luglio 2010, Metal Brigade Fest, giorno 2.
Il secondo giorno è stato dedicato principalmente ai generi estremi, in particolare black, death e thrash, con qualche escursione al di fuori dei lidi del metal vero e proprio.
L’affluenza di pubblico, nelle prime ore d’inizio del festival, sembra leggermente più sostenuta rispetto al primo giorno. Forse merito del passaparola, del giorno più favorevole o della temperatura che, grazie a una costante brezza che ha tirato per tutto il giorno, ha dato un po’ tregua, rendendo la giornata decisamente più sopportabile.
Ad aprire le danze, questa volta, è toccato ai NEVRAST, band quasi di casa, essendo composta da musicisti di Pavia e Milano. Dispiace che l’unico gruppo a sfoggiare il face-painting sia stato piazzato proprio nelle ore più soleggiate, ma i ragazzi hanno offerto uno spettacolo più che degno. Il loro black è principalmente votato alla violenza e all’attacco sonoro richiamando alla memoria vaghi eco dei Marduk, anche per il modo di alternare sprazzi leggermente più melodici ad altri più aggressivi. Pezzi come “Moonchant”, “Vampiric Tyrant”, “End in a Thousand Sights”, “Obire Bestis” e “Funeral Fog” hanno subito attirato e conquistato i presenti alzando l’attenzione sull’evento.
Secondi in scaletta i CARVED, provenienti da LaSpezia. Il loro stile è definibile come un death metal melodico con qualche accenno vagamente prog e l’uso, saltuario, della voce pulita ad alternarsi e a sovrapporsi con quella growl e scream. Le tastiere, sempre magniloquenti, ma mai invasive, hanno certamente donato uno spessore in più alla loro prova. Gli accenni thrash di alcuni passaggi delle chitarre, poi, hanno garantito un abbondante head-banging da parte del pubblico presente su brani come “Echo of Cindarella”, “Enter the Silence”, “Scripta Manent”, “Perfect Storm” e “Black Lily of Chaos”. In conclusione i Carved si sono concessi anche una nota polemica nei riguardi del Sikelian Hell, festival siciliano recentemente annullato per le pressioni della chiesa locale. Per quanto le ragioni fosse giuste e condivisibili, i toni lo sono stati un po’ meno e l’organizzazione del metal fest si è dovuta rapidamente dissociare per non avere problemi in seguito.
A seguire son saliti sul palco gli HOLT, band di Monza. Loro si definiscono genericamente metal, in realtà il loro stile fonde elementi thrash, dati dagli strumenti, con una voce molto particolare che sembra sfociare piuttosto nel cross-over. Dimostrazione di questa non totale attinenza al metal anche la scelta di coverizzare un pezzo degli Slipknot.
A questo punto sarebbe toccato ai Self Disgrace, causa defezione il loro spazio è stato, però, prontamente riempito dagli ART OF SILENCE. Il gruppo di Milano è dedito a un death-thrash molto veloce e potente che alterna voce growl e pulita. Il risultato è di tutto rispetto e anche il pubblico ha mostrato di apprezzare appieno la loro proposta musicale seguendo appassionatamente tutte le tracce della loro scaletta: “Primeval Spirit”, “Twilight of the Gods”, “Glorious Death”, “Illusion”, “Psychosis for Domination”, la cover di “Angel of Death” degli Slayer (che ha ovviamente spopolato) e la conclusiva “The Edge of Insanity”. Anche se reclutati all’ultimo minuto, credo che nessuno abbia avuto nulla da ridire su questo cambio, grazie alla prova di tutto rispetto offerta sul palco.
Personalmente i MECHANICAL GOD CREATION son stati una sorpresa. Nonostante siano di Milano, infatti, non ho mai avuto occasione di ascoltarli, il che è davvero un peccato, perchè dal vivo son davvero devastanti. Tra le band ispiratrici possono certamente annoverare gli Arch Enemy, non solo per lo stile di death melodico che propongono, capace di passaggi melodici e sfuriate paurose, ma anche per la presenza di una singer donna. Il growl di Lucy è potente e aggressivo ed è sicuramente una delle armi in più di questa band. I loro brani “Inhuman Torture Surgery”, “I Shall Remain Unforgiven”, “Trespass”, “MTBF”, la cover di “DNR” dei Testament, “SHadow Falling”, “Project Kill” e “Death Business” sono suonati tutti orecchiabili e vari, capaci di non stancare la platea nonostante l’ininterrorro attacco sonoro di tre quarti d’ora.
Gli SHUT US DOWN sono stati nuovamente un gruppo con frammistioni esterne al metal. Il loro death con elementi crossover e core si avvaleva dell’uso di due vocalist di ruolo. I saltuari passaggi thrash son quelli che han meglio attirato l’attenzione del pubblico, peccato, però, per una struttura delle canzoni che è suonata, sulla lunga distanza un po’ ripetitiva. Lo stesso dicasi per l’uso delle due voci che avevano la tendenza a seguire sempre gli stessi schemi. La tecnica messa in evidenza è, però, risultata convincente e certamente, se sapranno migliorare sotto alcuni aspetti, potranno dire la loro.
Discorso simile per i successivi WITHIN YOUR PAIN. La band milanese, autrice di un death-core molto ritmato, ha offerto un buon spettacolo, per quanto rovinato da diversi fischi del microfono del cantante. I presenti si son comunque dimostrati attratti e interessati dalla proposta musicale.
La giornata, iniziata all’insegna di una leggermente maggiore affluenza di pubblico rispetto alla precedente, ha stranamente invertito la tendenza. Mentre sabato vi era più gente alla sera che nel primo pomeriggio, durante la domenica son sembrati esservi più spettatori nel pomeriggio che alla sera.
Così, anche un gruppo della zona piuttosto noto come i NECROART, ha potuto contare su una folla sotto il palco decisamente inferiore rispetto a certe band che li hanno preceduti. Lo spettacolo della band death-sinfonica non è, però, stato da meno rispetto agli altri o in virtù degli spettatori. “Pandemonic Opium Night”, “Necronova”, “Le Fleur Noir”, “Loves Deadly Weapons”, “Funeral Within”, “Demon Witch”, “The Crimson Minority” e “A Visionary’s Trip” hanno fatto capire a tutti i presenti la classe e le capacità di questo gruppo. La scaletta ha presentato brani già conosciuti e apprezzati, ma anche estratti dal nuovo album come “Loves Deadly Weapons”, canzone piuttosto strana per i Necroart che alterna momenti dal lento incedere, quasi doom, ad altri violentissimi che hanno letteralmente “pettinato” (per citare il cantante Max) i presenti nelle prime file.
A chiudere la serata, questa volta, sono stati i DEATH MECHANISM. Il gruppo thrash veronese ha sfoderato una prestazione di tutto rispetto presentando canzoni vecchie (e vecchissime) e nuove come “Contaminated Soil”, “A Good Reason to Kill”, “Mass Slavery” (title track del nuovo EP in uscita a settembre), “Bloody Busine$$”, “Genuin-Cide”, “I Will See”, “To Die From Their Birth” (ripescata addirittura dal loro primo demo), “War Mechanism”, “Slaughet in the Jet-Set” e molte altre. Come nel giorno precedente non molti, probabilmente, sapevano chi fosse quell’Andy Panigada dei BULLDOZER indicato come special-guest della serata. L’attenzione degli addetti ai lavori e di quelli con qualche anno di esperienza in più, però, era tutta per lui e per quell’unica canzone che ha suonato con i War Mechanism.
In conclusione, tirando le somme, il Metal Brigade Fest è stata un’esperienza quasi fallimentare. Non per l’organizzazione, professionale e appassionata da parte degli organizzatori Franco Belloni e Davide “Santo” Rubino, a cui va il plauso mio e di chi è intervenuto. Non per le band, quasi tutte addirittura al di sopra delle più rosee aspettative, autrici di prestazioni convincenti e genuine, degne di grandi platee, nonostante il poco pubblico. Ma fallimentare per quanto riguarda l’affluenza. La città di Pavia e le zone limitrofe non hanno risposto come sarebbe stato possibile e auspicabile. Bisogna ammettere che i forti paletti posti dal comune per questa manifestazione non hanno certo reso più appetibile l’evento (relegare il concerto nel parcheggio del Palazzetto dello Sport di via Treves è stata una scelta scellerata viste le temperature), ma i nomi coinvolti sarebbero dovuti essere sufficienti per richiamare un certo pubblico, quantomeno per assistere alle loro esibizioni nelle ore serali. Così non è stato e, a questo punto, purtroppo, temo che la città di Pavia dovrà dire addio a un eventuale Metal Brigade Fest per il prossimo anno.
Come si suol dire: “chi è causa del suo mal…”