In questo 2010 si è tenuta la settima edizione dell'”Inferno sul Paradiso”, il Metal Camp 2007. E non si può definire meglio questo Metal Camp, situato in una valle spettacolare, solcata da un fiume dai colori impossibili e circondata da colline e, più in là, da montagne torreggianti ricoperte di boschi.
A differenza della grande e compatta spianata di Wacken, spettacolare a suo modo per il colpo d’occhio sulla marea di tende dominata dall’imponente coppia di palchi principali, l’area camping del Metal Camp si snoda tra una serie di pascoli dalla quale si diramano piccoli anfratti e sentieri nascosti nei boschi, ottimi per chi desidera di accamparsi nel refrigerio di un’ombra che a Wacken rappresenta ben più di un lusso.
Certo è che quest’anno la parola refrigerio non era esattamente di casa in quel di Tolmino. A seguito di uno spettacolare temporale nel primo pomeriggio di lunedì, che ha mietuto decine di “vittime” tra tende e gazebo, il tempo è andato via via migliorando fino a trasformarsi in una cappa di caldo insopportabile durante le ore diurne, che scemava via via in una cappa di caldo umido durante la notte. Molto meglio, nonostante tutto, della pioggia perpetua che ha piagato l’edizione del 2009.
Già ci si aspettava un mare di fango dopo la tempesta del 6 luglio, e invece non ho potuto fare a meno di vedere delle piccole idrovore al lavoro per liberare i sentieri principali dalle pozzanghere: una piccola accortezza che probabilmente ha evitato i ben noti effetti “palude cancrenosa” – un classico dei festival che intervallano pioggia a sole.
Il complesso organizzativo è stato all’altezza dell’occasione: multiple le entrate all’area camping, completamente libera e attorniata nella sua parte terminale da un ventaglio di checkpoint che controllavano braccialetti e biglietti. Una sensazione di libertà piacevole anche se un tantino opprimente nell’avvicinarsi al fiore all’occhiello dell’intrattenimento Metalcampiano: il metalhead riarso dal sole ha avuto la possibilità di trovare refrigerio nelle spiagge dell’alto Isonzo, invitanti e di un colore azzurro fuori dal mondo. Sulle sue sponde è stato allestito un bar, un DJ a pieno regime e, nelle profondità della notte, un piccolo show a luci rosse “tutto compreso”, ci siamo capiti.
Onesti i prezzi: la birra, spesso criticata ma a mio giudizio del tutto adeguata, costava 3(4) euro a boccale. E a questo punto non si può non citare il sistema economico del festival: all’interno del Metal Camp infatti non si utilizzano euro, ma una valuta speciale, probabilmente per schivare qualche dazio governativo. Si acquistano dei tagliandi di carta, con pezzatura da 3, 1 e 0,5 euro, con i quali si possono comprare bibite e cibo. Il sistema, dopo un po’ di diffidenza iniziale, in effetti funziona, anche se chiaramente saranno rimaste migliaia di euro di tagliandi inutilizzati, ma sono stati fortunati – perché dei tagliandi di carta in un metal camp piovoso sarebbero potuti diventare inservibili e scatenare la furia della gente. Per le bibite, normale amministrazione: si evita il mare di bicchieri e bottiglie assegnando loro il valore di un euro e di un gettone, che si può riconsegnare ai banconi in cambio dello sconto di un euro per la bibita successiva. Anche qui, centinaia di gettoni saranno dispersi in giro per l’Europa alla fine del festival, ma tutto sommato non è un gran male, considerati i prezzi tutt’altro che stellari.
Calorosa la riposta del paese di Tolmino, ben attrezzato con supermarket costantemente riforniti di cibo e birra, stand in ogni parco, una pletora di indicazioni temporanee per l’area camping, box office e toilette, e soprattutto bar, pizzerie e birrerie tutte attrezzate per l’evenienza, con metal a tutto spiano e buona disposizione nei confronti del mare di metalhead che si è mosso per le sue strade per cinque giorni senza creare scompiglio né sporcizia: lode e plauso ai metalcamper di tutto il mondo.
Ancora una lode ai servizi offerti dall’organizzazione: niente bagni fissi ma una gran quantità di piccoli gruppi di unità temporanee (i cosiddetti “bagni chimici”, per intenderci), che poteva finire davvero in tragedia ma che invece si è rivelata pulita, efficiente e virtualmente senza file: plauso allo staff che le teneva costantemente pulite e utilizzabili, per essere bagni chimici di un festival metal, ovviamente.
Due i palchi a disposizione, all’ombra di un bizzarro casinò decadente. Il percorso boscoso tra il primo e il secondo stage era punteggiato da un metal market adeguato e ricco di offerte tra il dozzinale e l’interessante. Buona la capienza complessiva, forse un po’ troppo angusto il pit del palco secondario, ma viste le band offerte tutto sommato non c’era da lamentarsi.
Suoni: come al solito punto dolente e ago della bilancia di ogni festival, il cui centro motore è ovviamente la musica. I risultati variavano sensibilmente di band in band: a prestazioni cristalline si sono alternati disastri fatti di ronzii e feedback di chitarra a dir poco imbarazzanti, anche con band di prima scelta come Obituary o Exodus. Alcuni spostamenti di band non annunciati hanno reso un po’ confusionario il running order e alcuni divieti “ballerini” hanno gettato nel panico molta gente (niente acqua in spiaggia il primo giorno, divieto di accedere alla spiaggia per chi comprava un biglietto giornaliero (!)), ma tutto sommato la direzione ha saputo gestire il festival con gran professionalità, complice anche la sua lunghezza e l’affluenza relativamente limitata (tra 10.000 e 11.000 biglietti, di ogni taratura).
Tuttavia, l’inferno sul paradiso è riuscito comunque a terminare in positivo, per cui largo alla musica!
Reportage fotografico a cura di Daniele Peluso.
PRIMA GIORNATA – Martedì 6 luglio 2010
Introduzione
(a cura di Gianluca Toffanello)
Mentre tutta la gente si è assiepata sotto il gran tendone causa violento temporale e il terreno è diventato una distesa paludosa (sembra un rito beneaugurante…), mentre gente fradicia (non solo di acqua!!!) si diverte a saltellare tra le pozzanghere, prende il via la seconda giornata del MetalCamp. Sicuramente la band più attesa della giornata sono “il clan della foresta” Korpiklaani che avranno il compito di darci la buona notte, ma anche i “Corpi Cannibali” sono molto attesi da più che, già dalle prime note dell’opener band Lost Dreams, urlano ad alta voce il nome della band capitanata dal frontman George “Corpsegrinder” Fisher.
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Dornenreich
(a cura di Nicola Furlan)
Freitanz e Jagd, canzoni tratte dall’ultimo full-length uscito nel 2008 “In Luft Geritzt”, hanno aperto lo show degli austriaci Dornenreich, autori, diciamolo fin da subito, di un concerto davvero splendido. La band ha confermato l’abilità nell’esprimere le emozioni che caratterizzano, ormai da qualche anno, il nuovo tipo di approccio musicale più orientato all’impatto emotivo che all’aggressività che contraddistingueva gli esordi di fine anni novanta. Capitanato dal fondatore e principale compositore Jochen Stock, il combo ha poi buttato in pasto ai pochi presenti Trauerbrandung e Wer hat Angst vor Einsamkeit? ovvero pezzi che hanno contraddistinto gli esordi del nuovo corso attualmente in uso negli aspetti compositivi più attuali. È andata davvero bene.
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Crowbar
(a cura di Stefano Pastore)
Il sole è ancora alto e fa un gran caldo quando gli statunitensi Crowbar prendono il loro posto sul main stage. Ho trovato lo sludge metal della formazione di New Orleans fuori posto nella giornata, per carità Kirk Windstein e Pards hanno suonato bene ed in maniera impeccabile ma non li vedo come un gruppo live e soprattutto non come un gruppo da festival come il Metalcamp. Noiosi e monotoni non mi sembra abbiano esaltato i comunque pochi, vista anche l’ora e il caldo, presenti. Da rivedere magari in una situazione più consona a loro.
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Nevermore
(a cura di Nicola Furlan)
Warrel Dane ha qualcosa che non va! Sia un problema fisico, sia un qualcosa legato a periodi particolarmente stressanti, il cantante dei Nevermore è apparso visibilmente provato nel fisico e, di conseguenza, nella voce. Che la band sia (con molta probabilità) una delle realtà più importanti dell’intero panorama post-thrash di sempre non ci sono dubbi: soli, ritmiche, composizioni e attitudine sono caratteristiche ormai consolidate del lavoro profuso dal combo di Seattle. Al MetalCamp non hanno fatto eccezione a tale Legge. Un’ora di spettacolo ha visto la band destreggiarsi tra il vecchio e il nuovo con slancio, con l’energia di chi ormai padroneggia il proprio mestiere eccellendo sotto tutti i punti di vista. Perfetto il lavoro alle chitarre da cui spicca il brillante operato del talentuoso Loomis. Azzeccata anche la scaletta data la proposizione di classici come Born, Enemies Of Reality e The River Dragon Has Come; peccato per la mancanza di un’attesa The Seven Tongues of God. Ottimi anche i suoni che in questa edizione, qualche volta, hanno lasciato un po’ a desiderare, ma fortunatamente non è toccata ai Nevermore. Certo, resta il rammarico per i frequenti cali di voce di Dane, ma ancora più ci si è preoccupati della forma fisica del cantante, davvero sotto tono, rosso in viso, costretto ad interropere il cantato più volte per riprendere fiato. Ci auguriamo sia solo un momento difficile.
Setlist: Born, Beyond Within, The River Dragon Has Come, Your Poison Throne, Inside Four Walls, Narcosynthesis, The Termination Proclamation, This Godless Endeavor, The Heart Collector, The Obsidian Conspiracy, Emptiness Unobstructed, Enemies Of Reality
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Soulfly
(a cura di Daniele Balestrieri)
Nonostante un running order che definirei “per famiglie”, ovvero non particolarmente tendente all’estremo o al brutale, non mancavano le scariche di adrenalina, in particolare dei signori del thrash metal cavernicolo sudamericano, tasselli fondamentali della giornata sicuramente più violenta dell’intero festival. Reduce di un Omen che ha decisamente fatto parlare di sé, Cavalera è in forma più che ottima e riesce a imbrigliare un pubblico al principio abbastanza freddo nonostante una Attitude e Prophecy davvero trascinanti. Ma basta il solo pick leggendario di Refuse-Resist che il pubblico improvvisamente si triplica: Max ricorda le sue origini, le pelli di Núñez fanno rimbombare l’intera vallata di Tolmino dei ritmi tribali di Chaos A.D. e non solo, gli affamati di Sepultura avranno di che godere con un inatteso (ma non troppo) Territory e una coppia Roots Bloody Roots ed Eye for an Eye da massacrare qualunque folkster che abbia avuto la malaugurata idea di procedere troppo presto verso le prime file in attesa dei Korpiklaani. Come al solito, Cavalera = garanzia di pressione alta, in ogni incarnazione, sia essa Cospiracy, Nailbomb, Sepultura o Soulfly.
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Korpiklaani
(a cura di Daniele Balestrieri)
Gettati come da tradizione a rimestare le acque e a svegliare gli ubriachi nel cuore della notte, i Korpiklaani presentano ancora una volta uno show degno di qualunque prezzo di biglietto. Si presenta per l’ennesima volta sullo stage il collaudato microfono cornuto, uno Jonne sorridentissimo che mastica un inglese sempre più stantio (ma questa temo sia diventata una trovata scenica che sta guadagnando il favore di sempre più band di una certa corrente) e una scaletta che non lascia bocche asciutte. Vodka distrugge come al solito con la sua brevità esplosiva, interessante l’intromissione di Joudan Viina ma triste l’omissione di Uniaika, ma tra un Wooden Pints, la sempiterna Cottages & Saunas, Beer Beer e ovviamente la quasi malinconica Korpiklaani, ogni buon metalhead ha avuto di che scapocciare e masticare. Il solito trucchetto dell’ubriaco ha mietuto decine di vittime, che pensavano che Jonne fosse realmente in uno stato pietoso. In realtà, come i vecchi Korpiklaanici ben sanno, è dai primi piccoli tour di Spirit of the Forest che Jonne si rotola a terra, si alza e rovina di nuovo al suolo, spesso persino cantando in posizione supina e sorretto da Jaakko. L’alcool è parte integrante dell’humppa folk e i Korpiklaani ne sono stati ancora una volta signori e padroni.
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Brezno
(a cura di Gianluca Toffanello)
A volte è molto meglio frequentare palchi minori per conoscere nuove realtà piuttosto che ostinarsi ad ascoltare band con nomi più altisonanti e annoiarsi. Questo è il caso dei Brezno, combo Folk metal di Ljubljana (Slovenia) composto da ragazzi poco più che ventenni fra cui spicca la bella Inez (voce/flauto), la cui voce ricorda tanto quella di Tarja Turunen. I Brezno hanno all’attivo un solo Ep dal titolo “Viharnik”, ma hanno una buona padronanza del palco e sanno come coinvolgere la folla. Pezzi degni di un particolare plauso sicuramente “V nebo” e l’inedito “Glas preteklosti” il cui ritornello ben si presta ad essere cantato a squarciagola dai fan. Bravi ragazzi, speriamo di vedervi presto in Italia!
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Illuminata
(a cura di Nicola Furlan)
Anthem of Apocalypse e The World Collector, brani composti dalla band austriaca Illuminata, hanno attirato l’attenzione di chi scrive che, data la temporanea disponibilità di tempo, s’è presentato sul second stage del MetalCamp ad osservare l’esibizione delle realtà underground in cerca d’attenzione data l’importanza della vetrina slovena. Autori di un gothic metal spiccatamente melodico, i sei provenienti di Graz hanno dato vita ad uno show molto coinvolgente, enfatizzato pure da un settaggio suoni di qualità superiore. Il doppio cantante femminile (Katarzyna bravissima anche al flauto!) ha rappresentato quel quid in più in grado di valorizzare un songwriting maestoso e dalle melodie azzeccate. La conferma d’aver dietro agli strumenti musicisti di tutto rispetto ha certificato le potenzialità di uno dei gruppi più convincenti della prima giornata della kermesse slovena. Promossi.
Setlist: Anthem of Apocalypse, Dead Warden Dreamer, The World Collector, Cold Hands Warm,Hearts, End my Agony
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Metsatoll
(a cura di Daniele Balestrieri)
Suonare per ultimi e per giunta sul secondo stage non dev’essere un’esperienza semplice da affrontare per la maggior parte delle band. Ma per gli estoni Metsatöll dev’essere stato un colpo al cuore ricevere la notizia che avrebbero suonato pressoché in contemporanea con i Korpiklaani, band con la quale condividono la quasi totalità dei fans e con la quale è pressoché impossibile competere, a livello di appeal e richiamo.
E infatti i brutali guerrieri del folk indipendentistico baltico si sono ritrovati con un pugno di ubriachi ad agitare i pugni verso di loro: pochi ma buoni, i guerrieri che han preferito combattere al fianco dei Metsatöll piuttosto che immergersi nel bagno di folla di Jonni e compari.
Un gruppo certamente da riscoprire, etichettato spesso come “folk birraiolo” da chi probabilmente non ha mai sentito nemmeno un loro album. L’atmosfera tetra e decadente e l’incanto ancestrale trasmesso dal trio in prima linea, immobile e granitico, porta quasi a un’ipnosi che bene si accompagna alla notte fonda e ai fumi dell’alcool. Imperturbabili nella loro presentazione dell’ultimo, splendido album Äio, i nostri Lauri, Raivo e Markus trascinano il pubblico nelle loro nenie con classe e dedizione, pur se di impatto ridotto per via dell’assenza dei tanti cori e strumenti tradizionali che infarciscono i loro ultimi album. Una band che avrebbe certamente tratto giovamento da una maggiore visibilità.
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LA FOTO DEL GIORNO (Korpiklaani)
… a domani per la seconda giornata, state con noi!