Live Report: Metaldays 2013 a Tolmino (Slovenia) 2/2
METALDAYS 2013 – TOLMIN, SLOVENIA
Parte 2/2
4° GIORNATA – 25 luglio 2013
NOTE DI GIORNATA E SECOND STAGE
La storia del thrash metal europeo incontra il second stage. Ecco gli Onslaught. Per la band il tempo sembra non essere passato mai e quelli che colpiscono di più sono il cantante Sy Keeler e il batterista ex-Extreme Noise Terror, Michael Hourihan, la cui dinamica è inarrestabile.50 minuti di mazzate, su pelli e piatti, da lasciare a bocca aperta. Supportati ancora una volta da suoni davvero ben calibrati, gli Onslaught portano in scaletta brani da tutto il repertorio, partendo da quelli degli ultimi dischi, per tornare pian piano indietro fino ai pezzi del 1985, di quel “Power From Hell” che ha dato il via alla scena thrash-core britannica. La storia ha messo piede al Metaldays in questa giornata… fortunato chi c’è stato.
Quello che mi è sempre venuto in mente pensando ad un concerto degli Shining è sempre stato un cordiale miscuglio di vari fluidi corporei e brandelli di pelle. Kvarforth non delude, presentandosi sul palco accompagnato da rasoio e un bell’assortimento di tagli vari. Människa, o’Avskyvärda Människa esplode cadenzata e misantropica attraverso gli amplificatori, seguita da Vilseledda Barnasjälar Hemvist e Han som Hatar Människan (Colui che odia l’umanità), ricca di assoli come d’altra parte tutto Redefining Darkness. E gli assoli non si contano nemmeno durante il concerto, con i numerosi scambi tra il blueseggiante Valovirta e Huss, ai quali viene lasciato ampio spazio sul palco. Segue Låt oss ta allt från Varandra, con una brevissima partecipazione di Høst direttamente dai Taake. Quando Kvarforth si accovaccia intonando istericamente Sunshine, my only Sunshine ci accorgiamo che è giunta l’ora di Förtvivlan, min arvedel (Disperazione, la mia eredità) in cui disperazione e tratti di cantato pulito e chitarre acustiche si mescolano quasi a ricordare gli Opeth.Varietà che si ripete nella malinconica For the God Below, una delle poche canzoni con testi in inglese, in cui i due chitarristi mostrano cosa vuol dire avere classe da vendere. Chiude questo spettacolare concerto Tillsammans är vi Allt.
MAIN STAGE
Poche sono state le band progressive metal presenti al Metaldays quest’anno. La Direzione ha preferito investire un pò più sull’estremo. Una di queste band sono stati i norvegesi Leprous. Ancor prima di esser guidicati dalla presenza del pubblico (davvero contenuta) meritano rispetto per le loro grandissime qualità tecniche e per il loro stile così escluvido da essere più adatto ad una location intima piuttosto che al gigantesco palco incastonato nell’arida e soffocante arena naturale di Tolmino. La band si esibisce infatti nel primo pomeriggio con 35° di calore e non è nemmeno supportata (come alcune fortunate realtà del main stage…) da suoni piacevoli all’ascolto. Nel caso dei nostri, ad esempio, sono i bassi ad ovattare tutta la gamma di arrangiamenti del quartetto capitanato da Einar Solberg. La dimensione di ‘pezzi da novanta’ come Bilateral piuttosto che Thorn viene sistematicamente contenuta e non riesce a rendere onore ad una band dalle indubbie qualità.
Un altro grande nome sale sul main stage. Si tratta di Ihsahn, carismatico frontman dei defunti ed immortali Emperor, ma qui alle prese con uno stile musicale assai differente, chiamiamolo ‘experimental avantgarde’? O come preferite… fatto sta che sul palco la band convince ben poco. Troppo esclusiva ed ingessata per un ambiente così poco incline alla sobrietà. Non mi capite male, personalmente apprezzo dischi come “angL” ed “After”, ma per surriscaldare la già bollente piazza di Tolmino ci vuole ben altro approccio. Bravi, ma inadatti.
Passati i venti minuti di cambio palco, ecco gli Annihilator, una delle più importanti technical-speed metal band della storia. Il quartetto si trascina dietro il settaggio fonico dei precedenti gruppi per cui lo straordinario operato del talentuoso axeman Jeff Waters è costantemente messo in sordina da un rimbombo tonante… e costante. Ciò non toglie che i nostri hanno messo in campo uno show di tutto rispetto. Tra i vari brani tratti da “Metal”, da “Annihilator”, da “Set the World on Fire”, da “Kill of the Kill”, ecc. fanno capolino pure due brani inediti, ad anticipazione del nuovo disco in uscita a giorni (che sembra sarà davvero un gran bel disco!). Waters e Patton si alternano alla voce sui brani fino al terzetto di chiusura, che propone niente meno che The Fun Palace, I Am in Command e il capolavoro Alison Hell. Quello che resta più di tutto, e bisogna renderne onore in chiusura di critica, è che Jeff Waters è stato, è (e sarà…) uno dei più grandi chitarristi della storia del metal. E non c’è altro da dire.
Finalmente il sole scompare dietro le montagne di Tolmin, l’aria si fa pesante di fronte al palco principale. L’area concerti è quasi completamente piena di gente che attende con ansia le leggende del death svedese Hypocrisy. Aprono con la melodicissima End of Disclosure, title track della loro ultima fatica, seguita dalla molto più violenta Tales of thy Spineless. Si torna al death metal delle origini e al growl classico di Left to Rot, con un Peter Tägtren in ottima forma, direttamente da “Penetralia”. Fire in the Sky infuoca un poderoso mosh pit. Come sempre gli Hypocrisy dimostrano di essere una gran live band, Tägtren si scusa con il pubblico per una mancata apparizione al meet & greet e regala grandi classici del calibro di Necronomicon, Roswell 47 ed Eraser durante l’encore.
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5° GIORNATA – 26 luglio 2013
NOTE DI GIORNATA E SECOND STAGE
Altra bella figura per una band del second stage. Salgono sul palco i melodic metaller britannici Bloodshot Dawn. Il gruppo ha dimostrato una grandissima competenza soprattutto nel muoversi e nel legare le pause tra un brano e l’altro, grazie ad un rapporto esclusivo con il pubblico. Non molto originali, questo è da appuntare, ma la loro esibizione è stata assai piacevole. Da citare la grande capacità esecutiva nelle sezioni soliste da parte del chitarrista Ben Ellis.
Ed è il momento dei Karnak, talentuosa technical brutal death metal band goriziana già in giro da parecchio tempo. Il quartetto porta a termine un concerto d’alto livello, soprattutto se misurato dalla precisione con cui vengono eseguiti i brani, nonchè dalla tenuta di un profondissimo growl da parte del chitarrista/cantante Francesco Ponga, devastante dal primo all’ultimo brano. Pure in questo caso a rendere onore alle grandi capacità del gruppo di Monfalcone vengono incontro dei suoni perfettamente distinguibili in grado di mettere in evidenza ogni singolo strumento. Da citare anche la magistrale prestazione del batterista Stefano Rumich. Notevoli.
Direttamente da Oslo, gli Aura Noir arrivano ad allietarci la serata con la loro violentissima miscela di black e thrash, vantando tra le proprie file Apollyon degli Immortal e Blasphemer da Mayhem e Nader Sadek. La batteria corre veloce e monotona sulle note iniziali di Upon the Dark Throne, seguita subito dopo dal black’n’roll di Blood Unity. L’esibizione è stata purtroppo rovinata da una serie di black out che hanno coinvolto tutta l’area del festival e che ha costretto le band a interrompere il loro concerto per una ventina di minuti. Quando l’area concerti al buio e non puoi nemmeno prenderti una birra per consolarti, parte un assolone di batteria, seguito a breve dalle inconfondibili pestate di Postmortem: il pubblico ormai disperato si riavvicina al palco, incuriosito. Pochi minuti dopo il massacro sonoro riprende con la combo Black Metal Jaw /Hell’s Fire/Black Deluge Night. La velocissima Sons of Hades da “Black Thrash Attack” chiude questa tormentata esibizione.
Snervati dai black out che hanno accompagnato l’esibizione degli Aura Noir, aspettiamo con un po’ di apprensione l’arrivo dei pilastri del viking death svedese, gli Unleashed! Si parte subito con la velocissima Blood of Lies, seguita da Destruction e The Longships Are Coming, con la quale l’imponente cantante Johnny Edlund incita il pubblico ad accompagnarlo con le parole. C’è da dire che gli Unleashed non sono mai stati una di quelle band con testi memorabili, ma la loro semplicità ben si presta alla dimensione live. Il pubblico infatti risponde di buon grado ad ogni coro e accompagna il buon Johnny sulle dolci parole di Wir Kapitulieren Niemals e Midvinterblot. Per il resto la performance è assolutamente perfetta: veloci, brutali, e putridi, come gli anni Novanta ci hanno fatto apprezzare.
Metal Days volge ormai al termine, con i maestri del doom svedese che chiudono l’edizione di quest’anno. L’aria si fa fredda e pesante, facendo dimenticare la calura del giorno e preparando il campo ai Candlemass. Forti del nuovo album “Psalms for the Dead” e del nuovo cantante Mats Levén, la band mette su uno spettacolo strepitoso nonostante l’ora tarda. Si comincia con subito con Prophet, prima traccia del nuovo album, un misto di momenti lenti e veloci che coinvolge il pubblico fin da subito. Mats compie un lavoro superbo, intrattenendo il pubblico ormai stremato da cinque caldissime giornate di festival tra una canzone e l’altra, persino invitando qualcuno a cantare sul caldo (che ahinoi si è rifiutato). La band offre una setlist abbastanza equilibrata, con molti brani nuovi (Waterwitch, Psalms for the Dead) che comunque hanno forte presa sul pubblico, e i grandi classici (Bewitched, At the Gallows End, Dark Reflections), cantati da praticamente ogni persona al secondo palco. La lunga intro parlata di Black as Time ci dà un po’ di respiro prima dell’ovvio encore, con cui la band ci lascia sulle note dell’ immortale Solitude. I cori del pubblico su ‘Ashes to ashes, earth to earth and dust to dust, and please let me die in solitude’ concludono degnamente la nostra permanenza a Tolmin per il 2013.
MAIN STAGE
Cala la notte, quella ormai rischiarata solo dalla luna e, da dietro un palco recintato (straordinaria la scenografia come potete vedere dalla galleria fotografica relativa), ecco che compare King Diamond, un vero e proprio maestro dell’heavy metal di tutti i tempi. Grande attesa, non smentita da un concerto incredibile e da un pubblico superlativo per partecipazione, sia per scaletta, sia per cura scenografica. Insomma, tutto super! Mostruse le prestazioni su pezzi come Welcome Home, Voodoo, Shapes of Black, Eye of the Witch nonché sulle piacevolissime cover dei suoi Mercyful Fate: Come to the Sabbath ed Evil. C’è pure tempo per un bel solo di batteria e si arriva alla grande all’encore dove troviamo, oltre le cover citate, anche The Family Ghost e Black Horsemen. E poi che spettacolo non è stato vedere on-stage un mostro delle sei corde come Andy LaRocque? Unici nella storia, esclusivi come pochi, i danesi hanno regalato ancora una volta, in quasi trentanni di carriera, uno show davvero magico, mistico… e fottutamente metal!
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See You Next Fuckin’ Year!
Antonio Saracino, Daniele Balestrieri, Daniele Peluso, Nicola Furlan