Live Report: Metaldays 2016 @Tolmin (Slovenia) – Parte II
METALDAYS FESTIVAL 2016
TOLMIN (SLO)
24-30 LUGLIO 2016
PARTE II – 27-28-29 LUGLIO
Live Report a cura di:
Antonio Saracino, Daniele Balestrieri, Daniele Peluso, Nicola Furlan
Photo Report a cura di:
Daniele Peluso
27 luglio, cielo nuvoloso, grigio, più britannico che europeo, ma lo sanno ormai tutti che Tolmino ama la pioggia e non fa sconti a nessuno… ma nel frattempo il camp si sveglia tra umidi fumi d’alcol e pseudo zombi umani alla ricerca della loro tenda… e tra una colazione e una sciacquata di acqua più o meno ghiacciata, si arriva al primo pomeriggio…
Ed ecco uscire on-stage una delle più importanti realtà grindcore di tutti i tempi. I Napalm Death. Ehm… ma sono davvero loro a suonar ‘sto disastroso show? La band appare stanca, con il solo Barney in grande spolvero. Il frontman è iperattivo, il suo growl mastodontico sempre efficace. Il resto? Spenti, come candele ammuffite gli altri, a partire da Danny Herrera, da oggi chiamato mr.100% trigger ovvero dinamica zero assoluto! La domanda che poi molti si sono posti: ma dove è finito quel tagliente e ruvido scream tra i ritornelli da parte del leggendario Mitch Harris? Di quella figura fondamentale c’è ormai poco o nulla se non tanto appesantimento, in tutto. E stavolta a nulla servono le varie: Scum, Suffer the Children, You Suffer, Mass Appeal Madness. L’impressione è che sia davvero finita.
Il thrash metal teutonico continua a scrivere pagine di storia live sui palchi, grandi o piccoli che siano. E sappiamo tutti che di quel manipolo di balordi, da sempre, i Kreator sono quelli che più di tutti li riempiono quei pit. Vero è che sono stati i più bravi a veicolare melodia, vero anche che il buon Petrozza sa fare il frontman, sa raccogliere consensi. E per l’occasione, oltre alle molteplici chiaccherate con gli astanti, la band ha fatto le cose in grande con fuoci d’artificio e fiamme. Se ci mettiamo vicino anche la devastante dinamica ritmica di Ventor, il gioco è fatto. Brani come Extreme Aggression, Enemy of God, Terrible Certainty, Hordes on Chaos, Suicide Terrorist, Pleasure to Kill o Flag of Hate hanno inciso per attitudine ancora prima che per qualità. Vera attitudine. Strepitosi.
I Pro-Pain salgono sul palco con un Gary Meskil tendente al presuntuoso. Non un saluto, non un incitamento a far casino tra la polvere. Il gruppo inizia a sparare fuori, uno dietro l’altro i pezzi, una scaletta senza alti, né bassi: ordinaria. Un lavoro ben fatto e corroborato da un parco suoni ben calibrato sui bassi per un impatto dal profondo gusto hardcore. Però i quattro suonano freddi, senza interazione col pubblico. E lo show scivola via lasciando grande senso di delusione. Occasione perduta per vedere delle leggende in azione.
Che bello veder rinascere nel tempo la leggendaria scena thrash/death metal britannica. Inaffiata da fiumi di birra, la terra d’albione sta riproponendo super band, nuovamente alle prese con i riff più veloci e taglienti dai tempi della marcia scena apple-core. Gama Bomb, Evile, Overoth, Acid Reign, Onslaught, tutti nuovamente in pista per dare una lezione alla scena americana che al tempo tanto soffocava, ma che ora ha ben poco da proporre rispetto quella Europea. E gli Overoth non deludono. Ottimo l’approccio on-stage: agitati, coinvolgenti, precisi. Il loro death tinto di riffing thrash coinvolge… Promossi a pieni voti, augurandoci che tanta qualità possa sanare la recente uscita dalla scena dei Bolt Thrower.
Gravati da un settaggio suoni mediocre, Spiros Antoniou e compagni calcano il Ian Fraser “Lemmy” Kilmister stage appena concluso l’acquazzone tipico e ricorrente di Tolmino. I Septicflesh sono una band devastante, qualitativamente molto ricercata. Il piacere di ascoltare la sinfonicità dei greci è quanto di meglio si possa assaporare in questa edizione. Il gruppo tende, anno dopo anno, sempre più nella direzione indicata dai Behemoth, ma non viene meno né la personalità, né le abilità dei nostri. I peddi di “Titan” dimostrano la crescita dai tempi del seminale capolavoro della loro nuova era “Sumerian Daemons” evidenziando il grande spessore artistico del gruppo. Eccellenti.
Second Stage infuocato, pieno di stage diving dalla prima all’ultima fila e scandito nei boati di qualche wall of death che tanta scena fa. Eccoli, i Gama Bomb, classica thrash metal band che, al momento, si configura anche come uno dei punti di riferimento della neo-rinata scena planetaria del genere. Show impeccabile, divertente e ben suonato. Il pubblico s’è fatto coinvogere, rispondendo al coinvogimento del singer Philly Byrne con contro-ritornelli ed incitazioni. Simpatici ed efficaci: il thrash metal non chiede altro.
Wow! Wow! I Nine Treasure, cinesi provenienti da Beijing, danno vita ad un delirio sotto il palco. Dotati di uno scazzo rock senza pari, propongono il loro Mongolian Folk con tanta classe e tanta bravura da far impallidire. Spettacolo allo stato puro. Uno stage diving costante oscura chi cerca di guardare il secondo stage in una location ormai satura fino ad esplodere. I boati arrivano fino al main stage in attesa del cambio palco. Balalaike, Morin khuur, chitarre, bassi, cori e percussioni danno vita ad un sound e ad una ricercatezza musicale di altissimo livello cui si sommano abilità di primo piano da parte del quintetto asiatico. Non ve li perdete se per uncaso più unico che raro dovessero incrociare il vostro cammino.
Possiamo dire quello che ci pare… gli Exodus senza Zetro al microfono valgono la metà di quello che erano in grado di trasmettere con Rob Dukes. Brani come Blood In, Blood Out, The Toxic Waltz, A Lesson in Violence, Piranha, Children of a Worthless God, Body Harvest prendono una dimensione spessa e potente, non fanno prigionieri. Zetro è amato, un vero leader e animale da palco. La sua voce inconfondibile, ancora in grado di spaccare come un tempo, è vera leggenda. E fa poca di ffierenza se al posto di Gary Holt sul palco c’è l’amico di Lee Altus, Kragen Lum in prestito dai californiani (e condivisi) Heathen. La band incarna il sound e lo stile che ha reso immortale il thrash bay area. Né Megadeth, né Slayer, né Metallica, per tenersi tra i big, sono in grado di far respisare thrash come gli Exodus. Una delle migliori esibizioni di questa edizione del Metaldays!
I melodic deathster tedeschi Larceny ne dovranno fare di strada per lasciare il segno in festival di questo calibro. La band suona sì bene, nulla da dire, ma non sa coinvolgere, né tantomeno il songwriting si fa ricordare per un qualcosa di speciale. Di questo genere ne è ormai saturo il globo ed al momento non ci sentiamo di confermare che la band in questione possa essere di qualche interesse, né su disco, né se vi si presentasse l’occasione di vederli dal vivo.
“Ragazzi, ci vediamo più tardi, al Second stage suonano Black Metal”.
In concomitanza con le esibizioni di Exodus e Blind Guardian sul Main Stage, sul palco secondario, in uno sterrato fatto di ghiaia, radici e fango, è andato in scena uno dei momenti più cupi e bui di tutto il Metaldays. Uno dopo l’altro, divisi soltanto dai naturali tempi tecnici richiesti per il cambio palco, si sono avvicendate on stage due delle punte di diamante del Religious Black Metal europeo.
Valkyrja prima ed Horna poco dopo hanno condiviso con il loro pubblico (numerosissimo a dispetto dei grossi nomi presenti a poco più di 100 metri) due ore di intenso, oscuro e maligno Black Metal. Nessun orpello, nessun effetto scenico: l’oscurità è stata la sola compagna di viaggio per la quella parte di Tolmino che ha scelto Il Black Metal nonostante tutto.
Un altro Metal Days è terminato e si può tranquillamente archiviare come un ennesimo festival di successo che non ha mostrato il suo volto peggiore come l’ondata di furti di diversi anni fa o i blackout continui di 2 anni fa. Rimane la voglia di vederlo fiorire completamente senza diventare il baraccone che è diventato Wacken. Chiediamo a gran voce il ritorno dei mercatini che contano, dei CD introvabili, delle magliette oscure, dei demo e delle band che hanno fatto migliaia di chilometri per farsi conoscere in Europa. Francamente, di occhiali “swag” e di peluche dei Minion possiamo volentieri farne a meno.
Un po’ meno hardcore inoltre non avrebbe guastato: probabilmente ben più di un metalhead di vecchia data avrà storto il naso alle sonorità dei Rise of the Northstar o dei Phantasmagoria ma sembra che la “fusion” sia arrivata per restare a lungo. Cambiate le sonorità imperanti cambia anche il pubblico, con una evidente voglia di pogare assolutamente inedita anche in band di medio calibro. Il crowdsurfing negli ultimi anni è diventato un fenomeno tanto prominente da far diventare le file centrali del pit una vera e propria ferrovia a scambi dove riescono a scorrere più corpi contemporaneamente anche quando la situazione non è delle più invitanti, come per esempio durante le ballad. Voglia di protagonismo, voglia di catturare il “crowd selfie” perfetto per raccogliere più like possibile sui social network; qualunque sia il motivo, il metal e il suo fandom sono in continuo cambiamento e non possiamo che attendere con trepidazione quale sarà la direzione intrapresa.
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…arrivederci al prossimo anno!