Live Report: Mr. Big a Milano
Sold out: è la sera del 22 settembre e fuori dall’Alcatraz di Milano si respira l’aria delle grandi occasioni. Sono molti in Italia ad aspettare il ritorno di Mr. Big, e purtroppo non tutti riusciranno ad assistere all’esibizione dei quattro americani. All’interno l’atmosfera è già bollente. Vecchi e nuovi fan attendono impazienti l’inizio delle danze. I quattro Mr. Big si faranno aspettare un poco. Ma una volta partiti non si fermeranno più, per oltre due ore.
Immagini di Luca Di Pascale, parole di Riccardo Angelini.
Come da copione è la canzone del trapano elettrico ad aprire le ostilità. Eric Martin – l’aspetto e la voce di un ragazzino – non ha nemmeno bisogno di scaldare l’ugola e subito spinge al massimo su bridge e chorus, mentre Billy e Paul esaltano la folla con il loro irrinunciabile doppio assolo di basso, chitarra e trapano Makita. Subito chiaro il programma della serata: rock duro e spettacolo a volontà. L’apertura è dominata dai classici di ‘Lean Into It’, con ‘Green-Tinted Sixities Mind’ e ‘Alive And Kickin’ a fare la parte del leone. I brani si dilatano spesso per via dell’esuberanza virtuosistica del duo Gilbert/Sheehan, letteralmente scatenato sulle corde. Prima del lentone strappamutande ‘Just Take My Heart’ trovano spazio anche i due inediti pubblicati sull’imminente ‘Back To Budokan’: segnale forte e chiaro che la vena creativa nei Mr. Big non è affatto esaurita (che ci siano speranza per un nuovo album da studio?). A impressionare più di ogni altra cosa è però la tenuta e la sinergia dei ragazzoni sul palco, singolarmente ineccepibili ma soprattutto ancora capaci di un’intesa perfetta – un cronista alieno sbarcato oggi sulla terra faticherebbe a credere che questi quattro non suonavano assieme da quasi sette anni.
L’assolo di Pat Torpey apre la seconda parte del concerto, in cui ampio spazio sarà dato alle acrobazie dei solisti. Sornione come pochi, il buon Pat parte in sordina per poi avventurarsi in evoluzioni ritmiche sempre più complesse e veloci, per un finale che lascia tutti a bocca aperta. Martin riprende il controllo del palco, riposato abbastanza da affrontare una tutt’altro che semplice ‘Price You Gotta Pay’, mentre tra una rasoiata e l’altra Sheehan trova lo spazio per il suo assolo di armonica a bocca. Quando basso e chitarra finiscono di scherzare fra loro, scocca l’ora della universalmente nota cover di ‘Wild World’. Di lì a poco la band uscirà di nuovo nel buio per lasciare il solo Paul Gilbert ad affrontare l’avidità della folla con la propria Ibanez. Le dita del guitar hero a stelle e strisce percorrono la tastiera a velocità supersoniche, Paul aggredisce la chitarra, la suona coi denti, a momenti se la magna. L’apoteosi arriva insieme alla double neck (una per lui e una per Sheehan), con Eric e Pat che sgattaiolano sul palco da dietro le quinte per assistere le evoluzioni soliste dei compagni. Puro esibizionismo, e alla folla piace così. Dopo un altro trittico di brani, fra i quali spicca la trascinante ‘Rock & Roll Over’, arriva il momento della gloria anche per il buon vecchio Billy – e qui il suo tapping al fulmicotone spiega come mai ai tempi qualcuno pensò di chiamarlo “l’Eddie Van Halen del basso”. A voler trovare il pelo null’uovo, il suo stacco solista (non diversamente degli altri) si protrae fin troppo a lungo, concedendosi volentieri allo spettacolo e al virtuosismo senza star sempre a curarsi di melodia o musicalità, ma ancora una volta le acclamazioni del pubblico danno ragione ai nostri. Tempo allora di chiudere i giochi con la fulminante ‘Addicted To That Rush’, applicazione pratica della millenaria massima “dulcis in fundo”.
Immancabile il bis, che non poteva lasciare fuori l’acclamatissima ‘To Be With You’ e l’arcigna ‘Colorado Bulldog’. Sorprendente il quasi-tris, con la band che invita la folla a scegliere il brano con cui dovrà chiudersi il concerto: quasi scontata la vittoria di ‘Shy Boy’ (e a David Lee Roth saranno fischiate le orecchie), poi già che ci sono i quattro lassù mettono in mezzo anche una ‘Baba O’Riley’ che manda tutti a casa con un sorrisone.
Gli scettici che nutrivano fors’anche legittime riserve sulle condizioni della band e sull’opportunità dell’ennesima reunion di questo decennio possono dunque mettersi il cuore in pace. Il ritorno dei Mr. Big celebra una band in forma smagliante, con l’esperienza dei veterani e l’esuberanza dei ragazzini. Sound roccioso, esecuzioni precise, carica travolgente e digressioni soliste prossime se non oltre i limiti dell’eccessivo – ma ai presenti è piaciuto così – sono prove sufficienti a testimoniare la cifra attuale della superband americana. Con queste premesse, c’è da credere che i nostri possano ancora avere molto da dire nel panorama hard n’ heavy, e c’è da sperare che la reunion non si esaurisca con il solo tour. Troppo presto per parlare di un disco da studio? Chissà. Noi incrociamo le dita.
Riccardo Angelini
Setlist:
Daddy, Brother, Lover, Little Boy
Take Cover
Green-Tinted Sixties Mind
Alive And Kickin’
Next Time Around
Hold Your Head Up
Just Take My Heart
Temperamental
It’s For You / Mars (Bringer of War) Theme
Pat Torpey Drum Solo-
Price You Gotta Pay
Wild World
Take A Walk
Guitar / Bass Duet (”full band human capo”)
The Whole World’s Gonna Know
Rock And Roll Over
Billy Sheehan bass solo-
Addicted To That Rush
Encore:
To Be With You
Colorado Bulldog
–
Shy Boy
Baba O’Riley