Live Report: Nile a Roncade (TV)
28/01/2011
NEW AGE CLUB, RONCADE (TV)
NILE, MELECHESH, DEW-SCENTED, ZONARIA
Live e foto report a cura di Nicola Furlan
Inizia con un gelido “venerdì da leoni” l’annata 2011 al New Age club di Treviso. All’insegna del metal più estremo e intransigente, ecco sul palco i veterani Nile dal South Carolina; una band dal successo in continua ascesa, complice l’uscita della loro ultima fatica discografica “Those whom the God Detest” targata Nuclear Blast. La release li ha proiettati nell’universo delle band più acclamate ed amate in tutto il globo, ricevendo ampi consensi da pubblico e critica.
La serata è stata una tra le più attese d’inizio anno ed ha creato un certo fermento nello spirito di colui vi scrive questo report, giacchè reputo i Nile una band di grandissimo spessore nonchè, artisticamente parlando, ineccepibile sotto ogni punto di vista! I cancelli aprono in anticipo, attorno le ore 20 causa un clima gelido e a tratti ostile che ha spinto i pochi presenti fin’ora giunti a richiedere un caldo rifugio e, sopratutto, ad approfittarsi delle prime fila, quelle che garantiscono uno spettacolo mozzafiato.
Nella sala semi deserta ci appostiamo in vista dei preparativi e all’incirca alle ore 20.40, sale sul palco l’opener band, gli svizzeri Darkrise che con il loro death metal groovy dall’incedere meccanico (filo Strapping Young Lad) hanno avuto l’arduo compito di riscaldare l’atmosfera. Come spetta ad ogni band minore, il responso è stato una pista vuota e un feedback azzerato. Questo non ha aiutato i nostri a poter dar vita ad uno show coinvoilgente ma, sebbene nelle difficoltà, questa giovane band ha saputo mostrare i denti.
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Dieci minuti di cambio palco ci separano dall’inizio della performance degli svedesi Zonaria, band da Umea. La line-up, che negli ultimi 2 anni ha saputo ritagliarsi un ruolo di rilievo partecipando a tour di prestigio supportando bands come Dark Funeral, Vader, Septic Flesh, Satyricon, prosegue gli show a supporto dell’ultima release “Cancer Empire” (Century Media). Autori di un black-death votato ai mid tempo rocciosi e con una venatura sinfonica, i nostri assestano una setlist di un buon livello seppur risulta palese una certa mancanza di esperienza e dimestichezza.
Lo show è dinamico, pesca a piene mani dal loro ultimo album e pesca dai brani del precedente “Infamy and the Breed”. Il climax del New Age inizia a risentire di mancata spinta e la musica del combo svedese alla lunga risulta troppo ripetitiva, finendo per assonnare l’audience. Mentre il concerto s’appresta a volgere al termine, si iniza a intravvedere un incremento di astanti, segno tangibile che molti ancora devono arrivare.
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Mentre mi appropinquavo al banco per arraffare una birra al fine di contrastare la calura che pian piano inizia a svilupparsi all’interno del locale, sul palco si stanno preparando ad entrare in scena i teutonici Dew-Scented, ragazzi originari di Braunschweig e autori di un furibondo thrash metal venato di death ad altissimo tasso adrenalinico.
Oramai veterani dei palchi di tutta Europa, otto studio album all’attivo e una carriera con altissimi picchi qualitativi, i nostri, con l’autentica furia di una tigre, prendono posizione pronti a dare in pasto agli astanti tonnellate di metallo iracondo e fumante dalla prima all’ultima nota, risvegliando così la statica situazione fin poco prima dominante.
Come proiettili infuocati i nostri sparano brani dal loro ultimo lavoro “Invocation” sotto l’egida della lungimirante Nuclear Blast, passando da una “Turn to Ash” (refrain scuoti ossa) a “That’s why I despise you”, per poi ripescare brani dai precendi lavori come “Inwards”,”Impact”. L’ensamble dà vita ad una mosh pit devastante e il pubblico sembra apprezzare pienamente. Una sana dose d’energia coadiuvata i quarantacinque minuti di pura violenza sopraffina dove il quintetto non fa prigionieri e il sottoscritto ha potuto assaporare con somma soddisfazione l’effetto che provoca l’impatto di una parete di cemento da dieci tonnellate in piena faccia! Promossi a pieni voti!
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Il New Age si fa man mano sempre più gremito e la calura inizia a farsi sentire in maniera consistente. Tolto giubbotto e maglia, assisto al breve line-check dei demoni mesopotamici Melechesh, band che con l’ultima fatica “Epigenesis”, rilasciata sempre da Nuclear Blast, ha raggiunto lo status di band di culto. Negli ultimi anni i risultati hanno dato risultato positivo. I loro sforzi sono stati ripagati data l’attenzione manifestata da pubblico e stampa del globo. Coraggio e perseveranza sono le parole chiave dei Melechesh, precursori di una via concettuale e musicale non sempre facile e digeribile dal fan medio di metal estremo; le sfuriate black metal, unite al groove del thrash, vanno a caratterizzare una musica tipica mediorientale che i nostri han ben sintetizzato, rendendola quanto meno fresca e riconoscibile.
Dopo 15 minuti di soundcheck l’intro segnala l’inizio della performance della band con la trascinante “Triangular tattvic fire”, direttamente dalla loro ultima fatica. L’atmosfera si fa davvero plumbea e palpabile, un pezzo evocativo ricco di pathos quanto catchy che si lascia ascoltare per poi dare spazio al singolo del loro prossimo video clip “Grand Gathas of Baal Sin”, canzone costituita da un refrain di retaggio black/thrash costituito da un riffing velenoso sostenuto da una doppia cassa martellante. il tutto è ricamato a sangue dallo screaming di un Ashmedi acido ed indiavolato, carismatico e sapiente come ogni frontman di rilievo. Si prosegue con “Mystic of the Pillars”, “Sacred Geometry”, passando per la trascinante “Deluge of Delusional Dreams” tratta dall’ottimo “Emissaries”.
Nonostante la buona volontà di Ashmedi e soci il pubblico sembra non apprezzare molto il sound, forse troppo ostico alle orecchio di chi è avvezzo a pane e brutalità! Chiude la setlist la magistrale e furibonda “Rebirth of the Nemesis (Enuma Elish Rewritten)” con il suo blast-beat al fulmicotone. La percezione è che lo show non sia stato apprezzato a tutto tondo. Per quanto riguarda il sottoscritto, la band ha saputo regalare attimi di intensa atmosfera, elemento che spesso, nella musica estrema degli ultimi anni, viene a mancare. Pollice alto quindi per l’istrionico Ashmedi e la sua ciurma.
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Tempo per i preparativi ovvero il consueto cambio palco e il fermento per l’imminente performance dei mitici Nile si fa sentire! La configurazione on-stage è cambiata: Mr.Toler Wade lascia il microfono centrale al nuovo (ma solo di conferma) Chris Lollis al basso e voce principale, ma il risultato non cambia: furia e maestria si uniscono per dar vita a brani di elevatissimo spessore per gusto compositivo e tecnica, elementi che han reso il combo di Greenville uno degli alfieri del death metal più apprezzati ed osannati al mondo!
Ad le danze ci pensa una minacciosa intro, preludo alla potentissima opener “Kafir” tratta dall’ultima perla “Those whom the God Detest”. La canzone lascia senza fiato e riesce a catapultare magicamente l’ascoltatore nelle furiose guerre dell’antico Egitto. I due axe man sfoderano una pioggia tagliente di scale dal retrogusto “faraonico” sorrette dal funambolico drumming del greco George Kollias, vero e proprio martello pneumatico dietro al kit.
Lasciatemelo dire, è impressionante la disinvoltura e precisione con cui l’ellenico innanella le varie strutture ritmiche, passando da pattern dal sapore tribale ai blast beat al fulmicotone per non dimenticare una doppia cassa al cardiopalma!
Un Lollis mattatore annuncia la successiva “Sacrifice unto Sebek”, pezzo tratto dal monumentale “Annihilation of the Wicked”. Chitarre di basalto caratterizzano questa traccia. I gong in background lasciano spazio alle sfuriate di batteria che s’intrecciano a trame chitarristiche mai banali e con un groove trascinante. Il pubblico sembra davvero sentirsi a suo agio tanto da lanciarsi in un selvaggio pogo.
Spietati carnefici, i nostri continuano la loro “battaglia” con la colossale “Hittite dung of Incantation” introdotta dal macina cadaveri Kollias. Il quartetto non lascia prigionieri. Una velocità spaventosa ed una chirurgica esecuzione caratterizza il brano, incentrato su di una vera e propria slavina di scale e solo disarmanti; Karl Sanders e DallasToler Wade son due autentici guitar heroes del death metal in grado di fondere tra loro un livello tecnico impressionante con una caratura compositiva che rende ogni singola sfumatura un piccolo tassello di un gran capolavoro.
Il pubblico affamato acclama i nostri con ovazioni da stadio e i Nile rincarano la dose con “Permitting the Noble Dead to Descend to the Underworld” che certifica l’operato di una band coesa al 100% sia in termini di feeling, sia di coordinazione strumentale: veri orologi svizzeri in grado di deflagrare ed estasiare. Si prosegue con “4th Arra Dagon” sempre tratta dal ultima fatica discografica. Il refrain epico e catacombale che la caratterizza stimola gli astanti sull’anthemico chorus ”ARRA ARRA ARRA DAGON DAGON DAGON,ARRA ARRA ARRA DAGON DAGON DAGON”, forte come un urlo di battaglia risuonava ovunque impietoso. Dopo un momento di encore meritatissimo la tenebrosa “Sarcophagus” intona le sue prime note e subito un boato riecheggia possente e maestoso, minaccioso quanto affascinante, come un cobra che traccia il suo sentiero strisciando nelle sabbie di un deserto senza tempo! L’epicismo antemico non termina qui. È il turno di “Ithiphallic” dall’omonimo platter del 2007. Subito dopo arriva “Laying fire upon Apep”. Non poteva mancare il masterpiece “Lashed to the slave stick”.
Ma non è finita. I Nile sorprendono ancora una volta tutti riproponendo una traccia oramai data per dispersa o seppellita negli eterni oceani di sabbia del magnifico e seminale “Amongst the Catacombs of Nephren-Ka”, primo full lenght nella storia del combo americano che diede loro il cosidetto “battesimo di fuoco” nel panorama del metal estremo mondiale. Ci stiamo riferendo a “Serpent Headed Mask”, uno dei brani meglio riusciti ed efficaci partoriti dalla prima incarnazione della band e poi riproposto per il tour in questione in chiave più attuale e rivisitata, grazie anche a molti anni d’esperienza alle spalle.
L’impavido Chris Lollis annuncia l’ultima canzone dello show; il pubblico oramai in delirio adulatorio urla le proprie richieste, ma a chiudere un lotto, a dir poco devastante, è proprio lei, la celebre “Black seeds of Vengeance”. La title track del disco che fece la fortuna della band di Sanders e soci nell’ormai lontano 2000, appare come una tempesta secolare di sabbia. La bufera avvolge gli astanti con vorace furia omicida; li travolge e sconvolge un New Age oramai “schiavizzato”. La serata si conclude e tra sudore ed ossa rotte.
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