Live Report: Orphaned Land a Romagnano Sesia (NO)

Di Fabio Vellata - 29 Ottobre 2013 - 19:37
Live Report: Orphaned Land a Romagnano Sesia (NO)

Orphaned Land + Klone + Matricide + The Mars Chronicles

23 ottobre 2013 – Rock’n’Roll Arena – Romagnano Sesia (NO)

Live report e foto a cura di Fabio Vellata

Il talento e lo spessore artistico, spesso, non vanno di pari passo con il consenso di pubblico e le grandi platee.

Un sospetto ed una considerazione per cui abbiamo avuto conferme la sera del 23 ottobre scorso, data dell’esibizione novarese degli ottimi Orphaned Land.
La singolare quanto eccellente band israeliana, protagonista insieme ad un manipolo di valenti colleghi di un tour europeo a supporto della recente nuova uscita discografica intitolata “All Is One” ha, infatti, potuto dimostrare la propria eccellente statura qualitativa di fronte ad un misero e sparuto numero di convenuti, giunti a manifestare supporto a dispetto di una fresca serata autunnale che, complici la pioggia caduta copiosa sino a poche ore prima, la cadenza infrasettimanale, la crisi imperante e – probabilmente – il big match di Champions League, ha rivelato un’affluenza di pubblico invero scarsa e ben poco consona al livello dello show.

Un particolare per cui le quattro band coinvolte non hanno tuttavia mostrato significativi cenni d’insofferenza, lasciando piuttosto che la buona musica assumesse il ruolo di massima protagonista di una serata per pochi intimi ma dai risvolti assolutamente piacevoli.
Toni di massima familiarità ed empatia con gli spettatori, momenti di coinvolgimento collettivo e sorrisi a profusione, sono stati il sigillo di uno spettacolo all’insegna della fratellanza, suggellato dalla presenza di due band israeliane (oltre agli Headliner, i sanguigni Matricide) e due francesi (Mars Chronicles e Klone), scelte a simboleggiare metaforicamente l’ideale – come il motto transalpino insegna – di Libertè,Ègalitè, Fraterintè.

 

Sono passate da pochissimo le 20.00 quando proprio i francesi The Mars Chronicles salgono sul palco, dando il via all’esibizione.
Poche decine di minuti di concerto davanti ad un pubblico tanto limitato da apparire quasi una riunione familiare, hanno permesso al gruppo autore del recente omonimo EP, di fornire un assaggio del proprio stile, fatto di rock progressivo dai sapori alternativi, leggere inflessioni Death e qualche sconfinamento nel sempre più popolare Djent.
Non male, anche se, ad essere onesti, talmente lesti ad apparire e uscir di scena, da lasciare quasi il dubbio di averli visti davvero…

 

Più solida, quadrata e selvaggia l’attitudine scelta invece dagli israeliani Matricide, realtà sorta nel corso del 2005 e da considerarsi quasi come una sorta di gruppo “parallelo” dei più blasonati headliner.
Il loro è un death metal talora piuttosto classico, irrobustito da iniezioni melodiche dai risvolti metalcore e potente riffing alla Meshuggah.
Guidati dalle vocals nervose del frontman Ran Eliahou e dalla coppia d’asce Yogev Sitton e Auria Sapir, il quintetto ha lanciato sul palco grande energia e vitalità, dimostrando una buona forza d’urto mista ad una più che discreta facilità d’ascolto.
Poco più di mezz’ora di esibizione in cui apprezzare i brani dell’EP “We Are Alive”, preludio di quello che dovrebbe essere il full length d’esordio di prossima uscita.

 

Con l’arrivo in scena dei Klone, secondo gruppo transalpino in programma, la sensazione che si concretizza è quella di un netto passaggio qualitativo verso l’alto.
La band di Poitiers è attiva sin dal 1995 e può mettere in gioco doti di peso quali grande esperienza, notevole originalità ed una maestria strumentale dai valori assoluti.

Recente autore di un nuovo album intitolato “The Dreamers Hideaway”, il sestetto dimostra di aver ulteriormente ampliato il proprio concetto di death metal “progressivo”, accentuandone i toni talvolta apocalittici, ora vicini a certi echi sludge e djent. Chitarre pesanti come piombo, atmosfere dilatate e suggestioni visionarie, si alternano sullo sfondo di sfuriate di violenza e melodie rarefatte, con tanto di clean vocals spesso accostabili a quelle di Myles Kennedy degli Alter Bridge: insomma, non proprio facili da ascoltare, ma alquanto fascinosi e magnetici.
Il pubblico, divenuto un po’ più folto ma dai numeri sempre risicatissimi (ridicoli se rapportati alla qualità dell’evento), apprezza senza riserve. Da notare nelle prime file, gran parte dei membri delle altre band, Orphaned Land compresi.
L’esibizione, della durata di un’ora circa, saccheggia in via primaria la tracklist del platter appena uscito, toccando vertici di gradimento con le potenti ed evocative “Rocket Smoke”, “Corridors” e “Dreamer’s Hideaway”, brani in cui gli spettatori sono stati assorbiti da una trance ipnotica ed irreale, costruita magistralmente dal singer Yann Ligner e compagni in una performance che si è rivelata come una delle migliori sorprese della serata.

Una band questi Klone, che – data la bravura dimostrata e l’originalità messa in mostra – meriterebbe probabilmente maggiori spazi e qualche conferma in più.

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Precisi e puntuali, gli attesi protagonisti della serata varcano il tendone del Rock n’Roll Arena alle 22.30 nette.
Il sempre scarso ma comunque molto caloroso pubblico (nota di merito per gli spettatori presenti che, con un atteggiamento affettuoso ed espansivo, ha comunque fornito una resa pressoché doppia in termini di partecipazione), ha tributato le giuste ovazioni alla comparsa del leader Kobi Farhi, presentatosi nella caratteristica tenuta dai chiari riferimenti “biblici”. Completamente scalzo e vestito da una tunica lunga sino alla caviglia: tratti mediorientali, capelli lunghi ad incorniciare il volto e barba lunga. Il perfetto compendio di un’immagine volutamente ispirata alla figura del Gesù di Nazareth, così come da iconografia conosciuta.
Un bel contrasto con il bassista Uri Zelcha, in scena con una esuberante t-shirt dei Cannibal Corpse

Introdotto sul palco dalle note della suadente “Through Fire And Water”, il quintetto israeliano racconta sin dalle prime battute, visioni che accomunano culture differenti sotto l’unico simbolo di una musica universale, capace di comprendere in un corpo solo la radice mistica delle tradizioni e l’irruenza terrena dell’istinto.
Melodie arabeggianti sovrastate da chitarre heavy, sfociano nella superba “All Is One”, brano portante e title track del nuovo album uscito a giugno di quest’anno: un capolavoro di coinvolgimento che l’audience apprezza senza riserve. Kobi e compari sono in ottima forma: l’impressione è quella di un gruppo di musicisti affiatato ed unito da profonda amicizia, aspetto che va a tutto vantaggio della resa sul palco.
Come prevedibile, è il nuovo cd ad essere il massimo protagonista dell’esibizione con ben cinque brani estratti: insieme alle opener “Through Fire and Water” e “All Is One”, la bellissima “Simple Man”, dedicata al secondo chitarrista in procinto di far ritorno in patria, e le impegnate  “Children” e “Brother”  tracce che testimoniano – a livello testuale – l’anima profondamente pacifista della band israeliana. Molto bello a tal proposito, l’excursus storico proposto da Farhi ad introduzione proprio di “Brother”: “secondo la storia, gli arabi discendono da Ismaele, mentre gli ebrei da Isacco, due fratelli nati dallo stesso padre Abramo. Capite? Siamo fratelli. Quindi, tutta questa guerra che continua da decenni è una vera stronzata, costruita solo da politici e fanatici per questioni che non ci devono riguardare”.

Nell’arco dell’ora e mezza di concerto, il quintetto originario di Petah Tikva non omette tuttavia il ripescaggio di grandi episodi del proprio passato, riproponendo, tra le altre, la magnifica “In Thy Never Ending Way”, la potente “Barakah” e le cadenzatissime “Olat Ha’tamid” e “Sapari” – da “The Neverending Way Of OrwarriOr” – senza dimenticare le più dure “Ocean Land” e “The Kiss Of Babylon”  – da “Mabool” – e qualche piacevole estratto più datato, come “The Beloved’s Cry”, dal primissimo disco “Sahara” e “El Meod Na’ala”, pescata da “El Norra Alila” del lontano 1996.
Simpatici inoltre, i momenti di pura convivialità succedutisi in vari frangenti: i membri delle altre band non hanno perso occasione per manifestarsi sul palco in danze ed accompagnamenti collettivi.
Un effetto scenico notevole in un clima di festa che, in alcuni passaggi, ha dato l’idea della notevole fratellanza tra tutti i musicisti coinvolti.
Immediata da qui, una considerazione un po’ triste quanto indicativa della scarsa presenza di pubblico: a tratti, con più di venti persone impegnate in scena, l’impressione era quasi di avere più gente proprio on stage ad esibirsi che non nel parterre ad assistere alla performance…

Originali ma comunque inquadrati nel copione standard degli eventi live di ogni parte del globo, anche gli Orphaned Land concludono il loro concerto nel più classico dei modi: spente le luci per la tipica uscita di scena “simulata”, il gruppo rientra incitato dai presenti, per proporre la saltellante “Norra el Norra”, degna chiusura di uno show di altissimo livello in cui tutti i presenti sono invitati a saltare a ritmo di musica insieme alla band.

Insomma, grande concerto, a dispetto di una presenza di pubblico semplicemente inadeguata alla caratura delle band di testa e serata di ottimo divertimento.
Gli Orphaned Land si dimostrano gruppo dalla statura artistica assoluta, oltre che personaggi in grado di creare ottima empatia con gli spettatori.
Bellissima sorpresa i Klone, gregari più che dignitosi Matricide e Mars Chronicles.
In aggiunta, suoni senza sbavature e massima vivibilità della sala: impossibile chiedere di più.

L’unico – curioso – interrogativo che ci ha assalito al termine del concerto è stato però inerente all’ubicazione del locale dichiarata ai membri delle varie band.
I continui “grazie Milano”, pronunciati con sicurezza al microfono hanno aperto qualche dubbio: qualcuno avrà poi detto loro che Milano dista da qui un bel pacco di chilometri, che siamo in un’altra regione, in un’altra provincia ed in una zona territoriale, la Valsesia, che con l’hinterland milanese non ha nulla a che vedere?

Mistero un po’ insolito ed un po’ buffo che ci ha fatto molto sorridere a conclusione di un evento piacevolissimo.

 

Fabio Vellata