Live Report: Paradise Lost + Pallbearer + Sinistro @ Phenomenon, Fontaneto D’Agogna 28/10/2017
Paradise Lost
Pallbearer – Sinistro
28/10/2017 @ Phenomenon, Fontaneto D’Agogna (No)
Live report a cura di Fabio Vellata
Una bella risposta di pubblico per l’unica data italiana dei Paradise Lost, storica band britannica impegnata in un tour di concerti a supporto del recente – ed interessantissimo – “Medusa”.
Luogo prescelto per lo show, la magnifica location del Phenomenon di Fontaneto D’agogna, locale che si conferma come uno dei meglio concepiti ed organizzati per ospitare eventi di questo tipo.
Supportati dai portoghesi Sinistro e dagli americani Pallbearer, Nick Holmes ed i Paradise Lost arrivano in Italia forti di un seguito che si è ingrandito nel corso degli anni, frutto di un percorso musicale vario che ha saputo, in quasi trent’anni di carriera, abbracciare le sfumature del doom–gothic-dark metal, declinato talora, pure nelle accezioni più commerciali del termine.
Dopo una moderata attesa, le porte del locale si schiudono intorno alle 21.00, a beneficio di un pubblico sin dal prime battute già nutrito nel numero. Molti i convenuti anche da zone piuttosto esterne e distanti, a testimonianza di come il nome dei Lost “tiri” ancora parecchio.
Una mezz’oretta ed è già tempo di ascoltare la proposta dei sorprendenti Sinistro, band lusitana guidata dall’allucinata e schizofrenica singer Patricia Andrade.
Una piacevole scoperta, non c’è che dire: nell’arco del poco tempo a disposizione, il quartetto ha magnetizzato la platea, basando lo show su di una setlist ipnotica ed a tratti furibonda. Accento particolare proprio sulla cantante, autrice di una performance non solo vocalmente di alto livello, ma pure di grande impatto in termini teatrali. Un misto di lirismo, intepretazione e follia pura, che ha colpito per la veemenza e la forza con cui è stata eruttata in faccia al pubblico.
Non avevamo mai avuto l’occasione di ascoltarli prima: senza dubbio un’indicazione interessante per l’approfondimento della conoscenza di un gruppo fascinoso, dotato di personalità e lontano dai canoni tradizionali del gothic doom metal.
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Platea sempre più folta, quasi a riempire per intero l’ottimo locale novarese: sono da poco passate le 22.00 quando ad entrare in scena sono gli statunitensi Pallbearer.
Cambio di atmosfera e giù, in apnea, nei miasmi più paludosi e soffocanti di un doom–core claustrofobico ed iperamplificato.
Il gruppo basa molto della propria spinta sulla ferocia delle chitarre, roventi e martellanti al limite dell’asfissia: il singer e chitarrista Brett Campbell non pare avere nelle doti vocali dal vivo il punto di forza massimo. La voce, in effetti, è spesso una sottile litania che accompagna piuttosto che guidare.
La monoliticità dei brani, talora sconfinanti in cori al limite del metalcore, rappresenta inoltre un limite nell’esecuzione live, che spesso risulta stordente ed ermetica.
Al netto cioè, di un volume mostruoso e di un impatto granitico, un po’ di noia risulta alla fine inevitabile: occorre essere strenui fan del genere per reggere senza qualche fuggevole sbadiglio un’esibizione che al termine offre valutazioni contrastanti.
Musicisti di grande abilità, impatto autentico e viscerale, per una proposta che però nell’arco di tre quarti d’ora arriva al suo termine un po’ con il fiato corto. E con la beata speranza che il momento dedicato agli headliner giunga il prima possibile.
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Un quarto d’ora esatto dopo le ventitré, ed ecco finalmente palesarsi i Paradise Lost, la band per cui – inutile negarlo – la totalità dei convenuti ha deciso di muoversi in questo tiepido sabato sera di fine ottobre alla volta del Phenomenon di Fontaneto D’Agogna.
Ricordi che si ammassano tumultuosi e tuffi nel passato: un rincorrersi d’emozioni che per un attimo ci ha spediti al lontano 1992, anno in cui avevamo scoperto questo insolito ed unico gruppo inglese, protagonista di una miscela di gothic metal, heavy e doom, dai contorni affascinanti e carichi di tensione emotiva.
L’incipit è tuttavia – come da programma, del resto – dedicato all’album di recente pubblicazione: “From The Gallows” ha il compito di scaldare il pubblico, ormai divenuto corposo e ben nutrito in termini di presenze. In tempi di magra per i concerti “fuori zona” come questi, un qualcosa per cui essere parecchio soddisfatti.
Prime ed inevitabili impressioni in ordine sparso: Mackintosh sembra ormai un punk schizoide, Edmonson e Aedy hanno perso praticamente tutti i capelli, mentre il singer, il carismatico Nick Holmes, oltre a quelli, pare essere pure un po’ scarso di voce.
Un particolare che si rivelerà una costante per tutto il concerto, minandone in minima parte l’efficacia. Ormai più a proprio agio sui growl che nelle tonalità pulite, Holmes, in effetti, ha talune volte dato l’impressione di sussurrare i testi dei brani meno tirati, anziché interpretarne con piglio le sfumature. Una carenza evidente a cui il frontman inglese ha tuttavia sopperito con mestiere e carisma, doti innate da sempre in lui riconoscibili.
Ottima ad ogni modo la scelta della scaletta, sparsa ad abbracciare l’intera produzione dei Paradise Lost e congeniata in modo da risultare varia ed accattivante. A pezzi di insana ferocia come “Blood And Chaos” o “Gods of Ancient”, hanno fatto da contraltare le melodiche “One Second”, “Erased” ed “Enchantment” (brividi!).
Nulla da eccepire sulla bontà esecutiva della band (Aedy e Mackintosh sono sembrati divertirsi ancora un sacco, pur dopo tanti anni di militanza) ne sui suoni prodotti ed amministrati in modo adeguato.
Certo è che, per i vecchi aficionados, le vere gioie sono arrivate sul finale: le totalizzanti “As I Die” ed “Embers Fire” (Eccoli! I Lost di cui ci innamorammo eoni fa!), inframmezzate dal doom tetragono di “Beneath Broken Earth”, hanno rappresentato il vero clou dell’esibizione, pezzi con cui chiudere la parte “standard” di concerto – quella che precede i classici e canonici encore – mandando in visibilio i fan non più giovanissimi ed attaccati in particolar modo alla prima era della band britannica.
Il rituale consolidato dello “scappa dietro le quinte e fatti richiamare”, sperimentato tante volte, ha ovviamente efficacia anche con i Paradise Lost. I bis non sono però robetta di poco conto, ne scarsi in termini quantitativi: “No Hope in Sight”, “The Longest Winter” e “Last Time” – suggello finale tratto dal capolavoro massimo del gruppo, quel “Draconian Times” che ancor oggi rimane termine di paragone irraggiungibile – chiudono uno show sicuramente intenso, di buona durata (un’ora e mezza abbondante), accolto calorosamente da un pubblico, una volta tanto, molto numeroso e retto con carismatico mestiere da una band che è un pezzo di storia di tutto quel che si può definire gotico, dark ed oscuro in ambiti musicali.
Detto di una voce che, purtroppo, non è più quella di una volta (magari si è trattato solo di una serata un po’ storta: speriamo!), il rivedere i Paradise Lost dopo tanti anni è stato – per il sottoscritto come per molti altri – un motivo di autentica gioia.
Eccellente come sempre la location (un locale che non smetteremo mai di lodare per la funzionalità degli spazi, il comfort e la cura dei particolari), l’evento dello scorso 28 ottobre presso il Phenomenon di Borgomanero rimarrà per sempre in un angolo preciso della nostra memoria.
Quello dei ricordi più belli.
Setlist:
From the Gallows
Tragic Idol
One Second
Gods of Ancient
Enchantment
Erased
Medusa
An Eternity of Lies
Faith Divides Us – Death Unites Us
Blood and Chaos
As I Die
Beneath Broken Earth
Embers Fire
Encore:
No Hope in Sight
The Longest Winter
The Last Time