Live report: Primordial, Mourning Beloveth – Dublino, Button Factory
Ed è venuto il momento per lo show annuale dei Primordial a casa loro, quella Dublino che li ha visti esordire da ragazzini ormai 17 anni fa: esattamente un anno dopo il concerto in cui avrebbero dovuto registrare il loro primo DVD ufficiale, ci si ritrova al Button Factory in Temple Bar per quella che sarà la sessione di registrazione… del loro primo DVD ufficiale. Perché non sia stato realizzato con la data precedente non è chiaro: da quello che ricordo, alcuni inconvenienti avevaano in effetti infastidito il gruppo e la crew durante quel concerto (strumenti impazziti, telecamere “disturbate” dalla folla straripante…), ma obiettivamente non si trattava di nulla che non potesse essere ritoccato leggermente in fase di post-produzione. Gli inconvenienti, oltretutto, non sono mancati nemmeno questa volta: chissà che non ci si ritrovi tutti tra un anno?
Andiamo però con ordine. Dopo un primo gruppo d’apertura, perso perché l’orario del loro concerto è stato abbastanza assurdo (hanno iniziato intorno alle 6 del pomeriggio), i Nord Irlandesi Darkest Era, dediti a una miscela heavy/folk abbastanza vicini ai classicissimi Skyclad, sono i Mourning Beloveth i veri iniziatori della cerimonia: arrivano dalla contea Kildare (e qui conta parecchio, visto il numero di sostenitori che hanno attirato provenienti da quelle parti!), suonano un doom inverosimilmente mydyingbridesco, ma sono anche esperti, navigati e, in ultima analisi, affascinanti. Il loro concerto è infatti intenso come solo un gruppo doom con le guts sa fare: saccheggiando ovviamente l’ultimo A Disease for the Ages, il quintetto martella i presenti con sciabolate di pesantezza rara, grazie anche all’ottimo “peso” (e non sono ironico) del batterista Timmy Johnson. La presenza scenica è ottima, i suoni anche, e il tecnico delle luci abile a rendere alla perfezione l’atmosfera necessaria: colori freddi (blu e verde) e una quantità spropositata di fumo da palco fanno da contorno all’esibizione dolente del gruppo, ben sorretta dal frontman Darren. Quest’ultimo, a dire il vero, sostanzialmente ricalca in ogni movenza il ben più famoso Aaron Stainthorpe, ma del resto chi ha detto che non fosse quello che volevamo?
È però l’esibizione dei Primordial quella per cui gente è accorsa da tutta l’isola, quando non dal resto d’Europa (avvistati tra la folla diversi personaggi “strani”, tra cui un chitarrista degli Endstille); e rispetto a un anno orsono, i dublinesi si superano ulteriormente. L’inizio è ovviamente affidato all’inno Empire Falls, con Alan in tenuta da ufficiale durante la Grande Guerra e corpse paint d’ordinanza, con tanto di pseudo-ferita al cranio: evidente richiamo ai “morti senza nome” a cui il loro ultimo (capo)lavoro è dedicato. La folla, che ha reso la data sold-out come da tradizione, impazzisce immediatamente, rendendo effettivamente difficili le riprese del concerto (uno dei cameramen nel pit sotto al palco viene colpito dopo poco da una pinta di birra volante…); ma l’entusiasmo è alle stelle, e al gruppo importa solo questo. Con una scaletta leggermente diversa da quella di un anno prima, i Primordial snocciolano non solo i pezzi forti tratti dagli ultimi due album, ma anche gemme tratte dai loro esordi (la suggestiva Fuil Ársa, cantata in gaelico, su tutte); il drumming tribale di Simon O’Laoghaire è reso alla perfezione quanto a presenza e suoni, e scandisce il ritmo del rito per tutta la durata del concerto.
Qualche problema tecnico però arriva: al momento di attaccare l’arpeggio dominante di The Coffin Ships, la chitarra di Ciáran MacUiliam salta, costringendo il gruppo a suonare a memoria: ed è un peccato, soprattutto considerato che si tratta indubbiamente di uno degli highlights del concerto. Ma i momenti da urlo non mancano: da brividi come sempre As Rome Burns, cantata dal pubblico dall’inizio alla fine; il riffone blacky di No Nation On This Earth, uno dei più epici sentiti negli ultimi anni; e soprattutto la chiusura con Heathen Tribes, come sempre dedicata ai fan provenienti da un po’ tutto il continente (“anche a quelli che non erano ancora nati quando iniziavamo a suonare”, proclama Alan).
Un’oretta e mezza, sono le dieci e mezza di sera (e già, qui i concerti finiscono quando altrove iniziano…) e come sempre le vibrazioni restano nell’aria a lungo, anche mentre il locale si svuota. Chissà se la registrazione di un DVD ufficiale non sia la scusa per goderne anche i prossimi anni…
Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli