Live Report: Rhapsody Of Fire a Roma e Milano

Di Redazione - 4 Marzo 2011 - 9:00
Live Report: Rhapsody Of Fire a Roma e Milano

Sono trascorsi nove lunghissimi anni dall’ultima apparizione in suolo italico dei Rhapsody Of Fire e tutti i supporter della band triestina quando è stato annunciato il nuovo tour, sono andati in visibilio. Finalmente i nostri “mighty warriors” tornano sulla scena live e lo fanno per tre date qui in Italia. Ecco a voi il report delle due serate tenutesi a Roma e Milano.

Report e foto di Roma a cura di Francesco ‘Darkshine’ Sorricaro

Report di Milano a cura di Stefano Vianello.

Foto e chiosa finale a cura di Stefano “Steven Rich” Ricetti

Roma, Atlantico 26-02-2011

Grandissima era l’attesa per questo tour tanto sospirato dai fan dei Rhapsody of Fire e dalla stessa band friulana che, forte anche delle ultime fortunate pubblicazioni sotto l’egida della Nuclear Blast, ha potuto finalmente riguadagnare le sponde del biondo Tevere, dopo quasi 10 anni, con uno show tutto suo, per poter dimostrare il suo valore anche dal vivo.

L’assembramento di pubblico alle porte dell’Atlantico era già discreto all’ora dell’apertura ed il numero di spade (seppur di cartone) sequestrate ed ammassate sul pavimento dagli uomini della sicurezza prometteva un’ideale intensa battaglia in arrivo.

L’apertura della serata era affidata ai Vexillum. Freschi di contratto con la MyGraveyard Production ed ancor più di studio di registrazione, dal quale hanno da poco tirato fuori il loro debutto ufficiale, la band toscana ha buttato sul palco tutta la carica e l’entusiasmo che portava in corpo, sfoderando una prova davvero scintillante e coinvolgente.
Fieri di gridare la propria italianità, i cinque, autori di un epic metal molto snello e compatto, hanno coinvolto alla grande l’audience romana con i brani di The wandering notes ma, ancor più, con l’estrema verve che Galdor e compagni hanno saputo dimostrare davanti ad una platea così importante e difficile. Platea che, ad un certo punto, cantava Avalon a squarcia gola, dimostrando grande apprezzamento e rispetto per la musica che ha potuto ascoltare in poco più di mezz’ora di spettacolo. Grandi applausi hanno accompagnato l’uscita del primo gruppo di casa della serata.

Meno convincente, a mio avviso, la prova degli austriaci Visions of Atlantis, band più esperta e longeva rispetto ai suoi predecessori che non ha saputo però raccogliere i suoi stessi onori.
Vecchi persecutori di quella tendenza nightwishiana, che vide nascere, qualche anno fa, decine di gruppi di power sinfonico, con le tipiche venature gothic regalate da una voce femminile affiancata ad una maschile, si sono presentati davanti ad una platea che, da subito, non li ha visti di buon’occhio.
L’aspetto goffo del cantante Mario Plank ed i soliti elegantissimi apprezzamenti nei confronti della formosa Maxi Nil hanno avuto il potere di creare un contrasto decisivo alla mia indole da buon ascoltatore, indirizzando in maniera ancor più convinta la mia prevenzione nei confronti del loro sound.
In realtà, il concerto dei Visions of Atlantis non è stato in grado di stimolare moltissimo un’audience che, già dopo il primo brano in scaletta, chiamava a gran voce gli headliner della serata; cosa, è bene segnalarlo, mai fatta con il gruppo precedente. Una proposta piuttosto banale e monotona nelle sonorità non è riuscita a scalfire più di tanto la curiosità di fan anche molto giovani che erano poco interessati al loro tipo di proposta.
La volontà, i sei, ce l’hanno pure messa ma non sono serviti né i vecchi brani né i nuovi estratti dal recentissimo Delta a farli rimpiangere troppo, una volta usciti di scena. Purtroppo per loro hanno fatto solo da riempitivo qui a Roma.
 

Ed eccoci al piatto forte: i Rhapsody of Fire, qui ancora invocati semplicemente come Rhapsody. Dopo l’epica introduzione che si attendeva, estratta da Dar-Kunor, un tripudio di luci accecanti ha fatto strada a Fabio Lione e truppa, partiti subito forte sulle note di Triumph of Agony.
Con negli occhi la soddisfazione di vedere l’apprezzamento dei propri connazionali per il lavoro di una vita Luca Turilli, Alex Staropoli e tutti gli altri, sono subito sembrati in uno stato di forma eccellente e, soprattutto, fortemente vogliosi di dare il meglio di sé in questa serata capitolina. Le parole del frontman, alla fine di questa prima esecuzione, non lasciavano dubbi in tal senso: i Rhapsody of Fire erano lì per lasciare il segno.
Si sono susseguiti dunque calibri pesanti tratti dal recente passato del gruppo; Knightrider of Doom e la coinvolgente The Village of Dwarves hanno preceduto degnamente il primo estratto dall’ultimo The Frozen Tears of Angels, Sea of Fate che, sistemata saggiamente in una posizione abbastanza avanzata in scaletta, ha raccolto consensi anche indipendentemente dal suo reale valore rispetto alle altre già citate.
Guardiani del destino ha regalato un coro sentito e potente da parte di tutta una platea che, in realtà, si era fatta sentire in più di una occasione, dimostrando di conoscere a memoria anche le più impercettibili citazioni in latino celate nei lunghi e complessi testi della band, i cui sample registrati venivano riproposti per l’occasione dall’impianto. Anche quest’ultimo aspetto ha contribuito a dare a me, personalmente, una certa impressione di freddezza da parte dei Rhapsody sul palco: musicisti straordinari che risultano talmente perfetti e professionali da rasentare una ben visibile puntigliosità. In più di una occasione, questa loro poca fantasia a livello di presenza scenica o, se vogliamo, questo eccessivo perfezionismo, che gli impedisce di uscire troppo dagli schemi nelle situazione dal vivo, mi ha dato l’impressione di stare ascoltando esattamente e pedissequamente ciò che è inciso sui loro dischi.
Tutto ciò non riguarda di certo il buon Fabio Lione, il cui indiscusso valore istrionico si è misurato soprattutto nei momenti di pausa tra un pezzo e l’altro, quando il biondo crinito cantante si è lasciato andare a qualche, seppur programmato, intermezzo da karaoke con il pubblico. Niente di eccezionale, certo, ma certamente questa sua dote, unita ad una buona capacità di interagire con l’audience ed all’immancabile potenza vocale che lo ha sempre contraddistinto, fa capire, senza dubbio, che lui sarà sempre uno degli elementi più imprescindibili del combo.
Tornando al concerto, si è continuato a viaggiare su alti livelli grazie anche a chicche che portano il nome, per esempio, di Land of Immortals, inattesa quanto acclamata hit del primissimo lavoro Legendary Tales e ad altri pezzi da 90 come Dawn of Victory, Holy Thunderforce, Unholy Warcry, per non parlare dell’altro atteso momento evocativo donato da Lamento Eroico, primo pezzo in italiano della storia della band. Non sono mancati i solo di entrambi i validissimi componenti della sessione ritmica, il ben noto batterista tedesco Alex Holzwarth ed il sempre sorprendente bassista Patrice Guers. La frangia straniera dei Rhapsody of Fire, includendo anche il “gregario di lusso” Dominique Leurquin, ha dato prova ancora una volta di meritare il consenso tributatogli ed ha dimostrato, ancora una volta, di essere ormai davvero parte integrante del progetto.
Altri due estratti dal nuovo album: On The Way to Ainor e Reign of Terror hanno rinfrescato ulteriormente una scaletta zeppa di grandi classici che non poteva non chiudersi con quello che, probabilmente, è stato il primo vero grande successo della band, l’impetuosa Emerald Sword.
La chiusura strumentale, con finale “plastico”, di tutti i componenti, che rimanevano immobili con i loro strumenti fino allo spegnimento delle luci sul palco, ha concluso una serata che ha fatto brillare gli occhi sia dei fan accorsi qui, sia degli stessi fondatori storici dei Rhapsody, Turilli e Staropoli, usciti visibilmente soddisfatti dallo show.
Quello appena terminato è stato un concerto che ci ha restituito una band in piena forma e vogliosa di continuare su una strada che sembrava doversi interrompere solo pochi anni fa; un gruppo forse un po’ freddo per i gusti di qualcuno ma, comunque la pensiate, certamente un esempio di come anche il metal italiano possa mostrare un altissimo livello e competere con chiunque in Europa, e i tanti fan provenienti anche dall’estero ed entusiasti di questa intensa ora e mezzo di show erano qui a dimostrarlo.
 

Setlist:
Dar-Kunor
Triumph of Agony
Knightrider of Doom
The Village of Dwarves
Sea of Fate
Guardiani del Destino
Land of Immortals
On The Way to Ainor
Tharos Holy Rage – Drum Solo
Dawn of Victory
Lamento Eroico
Holy Thunderforce
Dark Prophecy – Bass Solo
Unholy Warcry
The March of The Swordmaster
———–
Reign of Terror
Emerald Sword

 

Milano, Alcatraz – 28/02/2011

Vexillum
L’arduo compito di aprire la serata spetta ai Vexillum, giovane band toscana agli esordi. Nonostante la fresca età, il gruppo ha dato alle stampe un ottimo disco di debutto, nel quale miscela power metal a inserti folk e epic. Il sound non sarà certo dei più originali, ma questi cinque ragazzi sul palco ci sanno fare: abbigliati tutti rigorosamente in kilt corrono avanti e indietro sul palco trascinando la folla come pochi gruppi spalla riescono a fare. Nella mezz’ora a disposizione, i Vexillum suonano brani estratti dal loro album d’erodio The Wandering Notes, tra i quali spiccano l’epica Avalon e la conclusiva The Traveller. Buona la prestazione vocale del cantante Dario Vallesi, anche se intorno al quarto brano della scaletta si è percepito chiaramente un calo della voce, probabilmente dovuto ai molti acuti fatti fino a quel momento. I suoni, piuttosto impastati sulle ritmiche dei primi brani, verso la fine dello show migliorano e contribuiscono alla piena riuscita del concerto. Simpatici e disponibili, i Vexillum finito lo spettacolo si sono buttati in mezzo alla folla per godere appieno dell’atmosfera della serata. Una band promettente da seguire assolutamente!

Visions Of Atlantis
Non si può dire invece la stessa cosa dei Vexillum per i Visions Of Atlantis. La band già dai primi brani proposti non riesce a convincere più di tanto il pubblico a causa probabilmente della proposta musicale ormai troppo inflazionata in un genere che ha bisogno di aria fresca per risollevarsi il morale. Il power sinfonico con doppia voce, maschile e femminile del combo austriaco non riesce a trascinare la platea come ci si aspetterebbe, risultando piuttosto monotono e senza esaltare più di tanto. Tecnicamente ineccepibili vengono proposti ben dieci brani, forse troppi, che pescano dall’intera discografia compreso l’ultimo lavoro Delta uscito da pochi giorni sul mercato.
Sarà un’impressione del sottoscritto, ma i vari membri dei Visions Of Atlantis sul palco danno una sensazione di poca omogeneità: il look decisamente gothic della cantante Maxi Nil, fa a pugni con lo stile emo del chitarrista Wener Fiedler che contrasta a sua volta con quello da classico metallaro del bassista. Insomma la senzazione è quella di un gruppo preconfezionato e poco adatto alla serata in questione. Il pubblico probabilmente è stato della mia stessa idea perché dopo una manciata di canzoni già invocava a gran voce il nome dei beniamini della serata che da lì a poco sarebbero saliti sul palco.
 

Rhapsody Of Fire
Erano anni che aspettavo l’occasione di poter vedere in sede live i Rhapsody Of Fire e finalmente intorno alle 21:15 ecco che le luci dell’Alcatraz si spengono e sotto i riflettori arriva la band accompagnata dall’intro musicale Dar-Kunor. Il boato della folla che accoglie i propri beniamini riempie il locale e un Fabio Lione in grandissima forma inizia la sua performance canora. Triumph Or Agony è il brano designato all’apertura, forse una scelta non propriamente consona vista la quantità di canzoni nettamente superiori in discografia: l’audio nei primi minuti non è dei migliori, le chitarre sono quasi inesistenti, totalmente sepolte dalla marea di orchestrazioni; verso il finale però si può già apprezzare un netto miglioramento. Una grinta non da poco quella sfoderata dalla band triestina che viene ripagata a suon di cori e incitamenti da parte di tutti i fan.
Lione non risparmia le forze e subito delizia tutti con una fantastica Knightrider Of Doom, subito seguita da The Village Of Dwarves. Alex Holzwarth alla batteria e Patrice Guers al basso sono due pilastri insostituibili, tecnici e precisi, plasmano la sezione ritmica nel migliore dei modi e per tutta la serata rimarranno protagonisti indiscussi: loro sono infatti anche gli intermezzi solisti posizionati sapientemente verso metà e fine scaletta per poter far riprendere fiato al buon Fabio. Alex Staropoli dietro alla sua tastiera fa il suo dovere senza esagerare in pose “plastiche”, a differenza dell’amico di sempre Luca Turilli che, tra uno sweep e l’altro, corre avanti e indietro sul palco. Probabilmente è questo andare e venire che in qualche occasione rovina la precisione degli assoli, ma sinceramente, lo spettacolo è talmente coinvolgente che si può benissimo ignorare queste piccole imperfezioni. Ottima la resa live dei pezzi presenti sull’ultimo album The Frozen Tears Of Angels proposti, ovvero Sea Of Fate e On The Way To Ainor, così come gli immortali brani del passato tipo Land Of Immortals.
Dopo l’assolo di batteria i nostri tornano alla carica con una devastante Dawn Of Victory che, con il suo coro cantato all’unisono da tutti gli spettatori, fa quasi tremare i muri dell’Alcatraz.
Fabio Lione, tra un brano e l’altro, non si risparmia in elogi su quanto sia caldo il pubblico italiano e ne ha ben ragione: pochi concerti hanno un coinvolgimento e una risposta così grande da parte dei fan come quella che questa sera hanno riscosso i Rhapsody. Vengono proposte quindi in sequenza una commovente Lamento Eroico e una ormai intramontabile Holy Thunderforce. L’apice però, a detta di chi scrive, viene raggiunto, prima dei bis di rito, con The March Of The Swordmaster, brano che scatena letteralmente ogni persona accorsa nel locale in cori a perdifiato con tanto di ovazione nel finale.
Dopo una brevissima pausa, i nostri tornano sul palco per proporre la loro canzone più estrema, Reign Of Terror, dove Lione passa da urla e scream da blackster a un cantato pulito con una semplicità disarmante, come stesse bevendo un bicchier d’acqua: questa è la prova definitiva di quanto possa essere versatile la sua voce, una delle migliori in assoluto nel genere metal.
In conclusione di questo fantastico concerto non poteva mancare la canzone che meglio rappresenta la storia dei Rhapsody Of Fire, Emerald Sword: si fa quasi fatica a distinguere la voce del singer toscano tra le voci della folla che lo accompagna dall’inizio alla fine del brano.
Una serata davvero indimenticabile quella di lunedì, un concerto pressoché perfetto a degna conclusione del tour europeo che i nostri hanno appena terminato. Non resta quindi che aspettare il nuovo disco che, pare, vedrà la luce quest’estate e sperare un ritorno a suonare dal vivo altrettanto veloce. Bentornati Rhapsody!
 

Setlist:
1. Dar-Kunor (intro)
2. Triumph Or Agony
3. Knightrider Of Doom
4. The Village Of Dwarves
5. Sea Of Fate
6. Guardiani Del Destino
7. Land Of Immortals
8. On The Way To Ainor
(Drum Solo)
9. Dawn Of Victory
10. Lamento Eroico
11. Holy Thunderforce
(Bass Solo)
12. Unholy Warcry
13. The March Of The Swordmaster
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14. Reign Of Terror
15. Emerald Sword
16. The Angels’ Dark Revelation (Outro)

 


Rhapsody Of Fire – Riflessioni.

Grande band, grande pubblico, grande festa. I Rhapsody Of Fire riscattano un passato altalenante in sede live sul suolo italico con una  prova superba che li pone ai più alti livelli di competitività internazionale.

Concerto entusiasmante, scaletta ben articolata, feedback caloroso e appassionato da parte dei presenti.

Lo show dei triestini “allargati” – non nel senso biblico ma in quello geografico – che si è consumato in quel dell’Alcatraz di Via Valtellina a Meneghinia ha avuto il sapore di quegli eventi che rimarranno scolpiti nel tempo e dei quali si continuerà a narrare negli anni a venire.
      
La classica notte che per un musicista vale una carriera.

Adrenalina a 1000.

Mediolanum capta est (Mayhem docet).
 

Stefano “Steven Rich” Ricetti