Live Report: Rock the Castle – 29/30 giugno / 1 luglio 2018
Il primo giorno di festival vede una line-up un po’ strana, ma certamente molto interessante.
La stranezza sta nel fatto che in un giorno ad alta concentrazione di Metal estremo troviamo Killswitch Engage, Nothing More ed Egosystema che, oltre ad avere poco a che fare con gente come Carcass e At the Gates, suonano generi anche poco compatibili e quindi facilmente chi apprezza gli uni non sarà un grande amante degli altri.
Non so poi se perché è un venerdì, o per la scelta o combinazione di gruppi, ma dal punto di vista delle presenze la giornata è purtroppo un flop e il Castello è pressoché deserto con ad occhio meno di 1000 spettatori (su una capienza di 9000).
Egosystema
Gli Egosystema rientrano tra i gruppi nominati prima che non c’entrano molto con la giornata; con il loro Hard Rock misto Alternative sarebbero più adatti alla giornata di domenica.
Al di là del genere, purtroppo, è un pubblico davvero misero quello gli italiani si trovano davanti.
Nonostante ciò i ragazzi mettono molta energia nella performance che dura circa 25 minuti e danno via al festival.
Tra il poco pubblico, un paio di ballad un po’ fuori luogo nella giornata ed il caldo che ammoscia gli spettatori, però, non si può dire che sia il migliore degli inizi.
Avanti i prossimi.
Game Over
I Game Over sono una realtà italiana ormai consolidata con tante esibizioni live all’attivo (lo scorso anno anche al nostro TrueMetal.it Festival) ed un buon seguito nell’underground.
Anche qui è un po’ strano trovare una band Thrash nel primo giorno, quando il secondo giorno del festival è interamente dedicato al genere; uno scambio tra loro e gli Xaon – band Symphonic Death che suonerà il secondo giorno – sarebbe stato forse consigliabile.
Considerazioni sul genere a parte, il quartetto ferrarese sveglia finalmente il pubblico (purtroppo sempre scarso) con una dose di sana aggressione sonora Thrash.
Il tempo a disposizione è poco, ma i ragazzi partono da subito in quarta e mettono tanta passione nei 25 minuti che passano sul palco; simpatica anche la citazione ai Metallica di “Ride the Lightning” con il backdrop blu con i fulmini.
Un bel concerto, cominciamo ad entrare nel vivo del festival.
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Nothing More
I Nothing More sono uno dei gruppi mai annunciati e scoperti con l’arrivo degli orari.
Sebbene di un genere radicalmente diverso da chi suonerà dopo, la loro proposta si muove tra l’Hard Rock e l’Alternative Rock, tra i sempre pochi spettatori si nota qualche grande fan che canta a squarciagola le canzoni.
Il cantante Jonny Hawkins arriva sul palco a torso nudo e inizia subito suonando una seconda batteria incastrata in uno strano supporto che rivedremo in azione poco dopo.
Concentrandosi sul microfono, poi, canta, urla, salta, corre su e giù per il palco apparentemente coinvolgendo gli spettatori, anche chi forse non è avvezzo al genere.
Dopo qualche canzone il bassista attacca il basso al supporto già visto e comincia a suonare un assolo; viene poi raggiunto dal chitarrista che lo aiuta e dal cantante che ci tamburella sopra con le bacchette della batteria.
Verso la fine dell’esibizione Hawkins si arrampica sulla costruzione che però smette di funzionare e ci rimane bloccato; niente di grave, con l’aiuto di un roadie il cantante riesce a scendere tra un applauso e qualche risata.
Il concerto convince e stupisce anche chi, come me, non conosceva la band e non aveva grandi aspettative da un gruppo così poco in linea con la giornata.
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Unleashed
Arriviamo finalmente al primo gruppo Death della giornata, gli svedesi Unleashed.
Il pubblico è ancora piuttosto scarno, ma i presenti sono chiaramente soddisfatti dall’esibizione: con la band di Stoccolma per la prima volta si scatena un piccolo, ma entusiasta mosh pit e tutti scapocciano con entusiasmo.
I suoni ottimi permettono al cantante/bassista Johnny Hedlund di scatenare le note del suo basso con abilità a scatenare la folla; i suoni sono oscuri, freddi, ma ben distinti, una cosa che non spesso si riesce ad avere ai concerti di gruppi del genere.
Alternando bordate violentissime e pezzi più cadenzati e solenni, gli svedesi conquistano il pubblico nella quasi un’ora a loro disposizione.
Dopo una canzone che sembrava aver concluso lo show, “Into Glory Ride”, Hedlund beve birra da un grosso corno, ne spruzza un po’ sul pubblico, e si lancia in una “Before the Creation of Time” che chiude il concerto.
Peccato per la ancora scarsa affluenza, ma gli Unleashed non si sono risparmiati e siamo contenti così.
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Napalm Death
Dopo essere entrati nel vivo della giornata con gli Unleashed, è il turno del gruppo Grindcore per eccellenza, i Napalm Death.
Gli inglesi si presentano suonando gli strumenti degli At the Gates, che ringraziano dal palco, dopo che i loro non sono arrivati per motivi tecnici.
Mark Greenway corre su e giù per il palco come in preda alle convulsioni, chi conosce la band sa quanto sia particolare il modo di muoversi sul palco del cantante, mentre degli abbastanza statici Shane Embury e Mitch Harris colpiscono implacabili le loro corde.
Barney scherza spesso con il pubblico che risponde con entusiasmo ed allegria; dopo ‘You Suffer’ e ‘Dead’ il cantate specifica che i pochi secondo sono stati davvero due canzoni, nonostante le risa di alcuni dal pubblico.
Raccontando come la band sia fan degli Anti Cimex viene presentata “Victims of a Bomb Raid”, cover che precede un’altra famosissima cover, “Nazi Punks Fuck Off”.
Come chi li ha anticipati, i Napalm Death hanno 50 minuti a loro disposizione che usano per suonare tantissime canzoni – facile, la maggior parte dei loro pezzi sono brevissimi – conquistando il pubblico, sempre poco numeroso ma entusiasta.
Il pogo non si ferma quasi mai durante lo show e tutti, sia sopra che sotto al palco, si mostrano contenti.
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At the Gates
È l’ora del secondo gruppo svedese della serata, le leggende del Death Metal melodico At the Gates.
Si inizia con un triplete di title-track, quelle degli ultimi tre album, quindi si parte con la nuova ‘To Drink from the Night Itself’, poi seguita da ‘Slaughter of the Soul’ e ‘At War with Reality’.
Questi sono anche gli unici album da cui vengono suonati dei pezzi, per la precisione ben 6 da “Slaughter of the Soul” e “At War with Reality”, e 3 dal nuovo.
L’ultimo arrivato in casa At the Gates, il chitarrista solista Jonas Stålhammar fa un lavoro egregio alle sei corde e non fa rimpiangere Anders Björler.
Purtroppo Tompa non è in formissima, e ogni tanto lo si sente faticare al microfono; nonostante ciò l’esibizione entusiasma, e quando il cantante si sposta da un estremità all’altra del palco viene sempre accolto con urla e un headbanging scatenato da chi si trova sotto.
Tendenzialmente le canzoni di Slaughter ottengono più successo, ma anche le altre non vengono disdegnate: ‘The Chasm’, ‘Heroes and Tombs’ , ’Nausea’ sono solo alcuni dei pezzi che si alternano tra pogo e corna al cielo.
Dopo un’ora di sudore e Death Metal di Göteborg, gli At the Gates si congedano con ‘The Night Eternal’; sul finale di questo pezzo i musicisti abbandonano il palco in successione, lasciando alla fine i due Jonas, chitarra e basso, a chiudere il set.
Peccato per la voce di Tomas, ma esibizione nel complesso buona e soddisfacente.
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Killswitch Engage
I Killswitch Engage sono uno dei gruppi citati in aperture tra le band che non si capisce perché siano state infilate in questa giornata.
Non lo scrivo con cattiveria, anzi, nonostante il Metalcore generalmente mi piaccia poco l’energia dei cinque americani mi ha colpito e ho trovato lo show piacevole.
Il problema è che il distacco tra Metal estremo è Metalcore è eccessivo per molti fan che erano al Castello Scaligero per il primo più che il secondo, con il risultato che molti spettatori (in una giornata già con poca affluenza) approfittano di questo momento per prendere una pausa e andare a mangiare.
La cosa non sfugge neanche al cantante Jesse Leach che ci scherza su tra una canzone e l’altra; l’esperienza e la professionalità della band però garantisce a chi è rimasto uno show suonato fino in fondo con grande trasporto.
Al gruppo si può criticare poco, suonano bene e si comportano come se fossero davanti ad un locale pieno; la scaletta pesca da un po’ tutta la loro carriera tra una recente ‘Hate by Design’ e una più vecchia “A Bid Farewell”, per arrivare a concludersi con una cover di ‘Holy Diver’ di Dio che, più di ogni altri pezzo suonato fino ad allora, coinvolge tutti i presenti.
Simpatica la scenetta con il chitarrista Adam Dutkiewicz che, senza mai smettere di suonare, salta giù dal palco e attraversa il pubblico di corsa.
Dispiace solo che si siano trovati in una giornata in cui c’entravano relativamente poco e in cui sono finiti per suonare davanti a veramente poche persone davvero interessate.
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Carcass
Torniamo in Inghilterra, torniamo al Death Metal, arriviamo ora agli headliner della prima giornata, i Carcass!
Avendo a disposizione un’ora e mezza la band riesce ad esibirsi in uno show completo che li vede suonare 15 pezzi che pescano da tutta la discografia.
Si parte quindi con una ‘316L Grade Surgical Steel’, tratta dall’ultimo album “Sugical Steel”, per poi tornare rapidamente indietro nel tempo con una ‘Buried Dreams’.
Il concerto è il primo della combo inglese in Italia con il nuovo chitarrista Tom Draper, recentemente entrato in formazione; una Les Paul in braccio, il ragazzo dimostra subito di che pasta è fatto macinando riff marci e potentissimi.
Il pubblico risponde esaltato, ma forse anche un po’ stanco, o forse solo troppo poco numeroso; Jeff Walker stesso lo nota quando chiedendo al pubblico di urlare ottiene una risposta meno rumorosa di quello che ci si potrebbe aspettare.
Ridacchia un, “Be’ forse siete stanchi” ed il massacro continua.
All’arrivo della monumentale ‘Heartwork’ il concerto sembra giunto al termine, ma la canzone si trasforma in ‘Carneous Cacoffiny’ e viene poi seguita da ‘Mount in Execution’ che questa volta, sì, chiude lo show.
Carcass devastanti, peccato il poco pubblico.
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