Live Report: Saxon a Romagnano Sesia (NO)

Di Fabio Vellata - 22 Novembre 2011 - 17:24
Live Report: Saxon a Romagnano Sesia (NO)

Show di grande fascino quella occorso la sera dello scorso 15 novembre presso la Rock n’Roll Arena di Romagnano Sesia (No). Dedicato ai vecchi defender ed ai seguaci non più giovanissimi di un heavy decisamente tradizionale ed al riparo da qualsivoglia contagio modernista, l’evento ha assommato una coppia di nomi dal profilo altisonante ed assoluto, quasi leggendario, se valutati sotto l’aspetto dell’importanza marcatamente storica dei protagonisti.
I canadesi Anvil, guidati come sempre dal folle e carismatico Lips Kudlow (frontman dalla simpatia contagiosa e debordante) ed i sudditi di sua maestà Saxon, introdotti dai validi Crimes Of Passion (bonus inatteso della setlist), hanno regalato ad una folla entusiasta ed incurante del freddo agghiacciante patito all’esterno del locale, una serata all’insegna di suoni antichi e vitali, onorando appieno l’unica data italiana di questo scorcio di tour europeo, programmata – non senza un pizzico di sorpresa – presso la sempre più interessante venue valsesiana.
Ancora oggi come un tempo, una combo di band capaci d’esercitare un grande ed indissolubile ascendente su di una vasta fetta di ascoltatori ed appassionati.

Live Report a cura di Fabio Vellata e Marcello Catozzi

Nel microclima della sala, denso di umidità, calore e sudore, fanno il loro ingresso i pimpanti Crimes of Passion, pieni di entusiasmo e voglia di spaccare. Peccato che il trattamento fonico riservato al malcapitato quintetto di Sheffield sia quanto di più osceno ci si potesse aspettare: il povero Dale Radcliff si è trovato a cantare per una buona metà dello show senza che si sentisse la voce, mentre la chitarra di Charles Staton usciva dalle casse con il suono distorto di una motosega, tipo quando (appena diciottenne) smanettavo lo stereo della mia 500 facendo friggere i poveri diffusori.

La band, comunque, ha portato avanti imperterrita o quasi (se appunto si esclude l’espressione di scazzo del chitarrista) il suo compito, sciorinando un’ottima performance e mettendo in mostra buone individualità, specialmente nel biondo frontman, deciso e convinto oltre che dotato di una timbrica pulita, e nella sezione ritmica, di gran tiro e precisione. Gli sfortunati figli di Albione hanno presentato il loro frizzante repertorio (un genere “hard ‘n’ heavy” alla Def Leppard, per intenderci) pescato dai due dischi prodotti finora, ovvero dal primo album dal titolo omonimo “Crimes of Passion” (2008) e dal più recente “To die for”, proponendo canzoni quali “Blown away” che avrebbero meritato ben altra resa sonora.

Marcello Catozzi

 

Liquidati i Crimes of Passion, nella calca sempre più rovente della sala serpeggia l’inquietante interrogativo se l’impianto reggerà all’impatto sonoro degli Anvil, notoriamente inclini a sonorità pesantissime. Nel giro di qualche minuto, i tre terribili canadesi compaiono sul palco e attaccano con una grinta pazzesca, piazzando un uno-due da KO: la strumentale e granitica “March of the crabs” seguita dalla diabolica “666” (dall’era di “Metal on Metal”, 1982), cantata da buona parte del pubblico. Si prosegue con la rocciosa “Juggernaut of Justice”, tratta dall’omonimo ultimo album, e poi è la volta della furiosa “Winged assassins” (da “Forged in Fire”, 1983). I suoni, stavolta, sono perfetti, belli potenti e in linea con lo stile aggressivo del trio di fabbri inossidabili. Dopo “On Fire” (altro tributo al neonato disco delle Incudini), ecco “This is Thirteen”, incalzata dalla famosissima “Mothra”, accolta con grande entusiasmo. Lips incomincia a proporre il meglio del suo repertorio fatto di smorfie, ghigni satanici e strabuzzamenti di occhi: a un certo punto della canzone si diverte a parlare dentro la chitarra, dando luogo a un simpatico duetto con la platea, e a giocare con un aggeggio metallico a mo’ di slide. Poi, prima del brano successivo, dice che ha bisogno di ricaricarsi, e si appoggia il jack alla lingua, con una scarica elettrica che ci fa capire il perché di certe sue inimitabili espressioni.

 

Si continua con la coinvolgente “White Rhino”, a cui fa seguito un travolgente drum solo che mette in evidenza lo smalto di Robb Reiner, potente pedalatore dalla mano pesante. Il ritmo non accenna a calare con le successive “Fuken Eh!” e “New Orleans Voodoo” (sempre da “Juggernaut of Justice”), dalle robuste venature blues. Lo show si conclude nel segno del metallo pesante, con il ritorno alle origini sancito dalla devastante “Metal on Metal” (1982), cantata a squarciagola dai fans più scatenati e accaldati. Al termine Lips, Glenn Five e Robb Reiner, con un inchino, raccolgono il meritatissimo tributo e si congedano, lasciando il palco al lavoro dei tecnici ma, soprattutto, lasciando un’ottima impressione e una compiaciuta soddisfazione in tutti i fortunati presenti.

Marcello Catozzi

Passate da poco meno di un quarto d’ora le 22.00, ecco il momento più atteso della serata.
Accolti da una folla caldissima, raccolta in una sala gremita al limite della capienza, i leggendari Saxon si presentano sul palco pronti a dare il via ad uno show che per molti, rimarrà qualcosa di memorabile e da raccontare, in virtù di un’esuberanza ed una presenza scenica che, dopo parecchi lustri di carriera, non sembra mostrare il minimo segno di cedimento.
Come ormai consolidato nel recente tour americano di supporto al nuovo “Call To Arms”, l’apertura dello show è riservata alla debordante “Hammer of The Gods”, significativo estratto a dimostrazione di quanto Byford e compagni sappiano ancora comporre tracce dal taglio heavy solido e ruggente come un tempo. Omaggiato dall’esecuzione di ben sei brani – per lo più concentrati nella prima parte del concerto – il nuovo album costituirà, come previsto, il nucleo più corposo della setlist, lasciando tuttavia ampio spazio ai grandi classici della band, debitamente lanciati in pasto al pubblico nel corso di una esibizione live lunga, completa e ricca di contenuti.
Più di due ore di concerto, per ventiquattro brani totali, a testimonianza di una tenuta fisica ancora davvero invidiabile.
 
Il vecchio Biff, appare in forma smagliante, la pancetta si vede, ma l’aplomb britannico e lo stile da frontman carismatico paiono tirati a lucido e messi in bella mostra. Non un cedimento della voce, un attimo di esitazione o un passaggio a vuoto per l’esperto singer ormai sessantenne, forse non più agilissimo, ma dotato di un approccio vocale inconfondibile ed assecondato alla perfezione da una crew di musicisti affiatati da una militanza di lunghissimo corso.

Ampia ed articolata, la scaletta non ha offerto motivi di delusione a nessuno dei presenti. Dalla totalitaria “Heavy Metal Thunder”, passando per la ruvida “Motorcycle Man” e gli inni “Denim & Leather”, “Wheels Of Steel”, “Rock The Nations”, sino a giungere alla melodica “Ride Like The Wind”, il gruppo si è lanciato sin dalle prime battute in un vortice di emozioni che ha investito la platea con la forza di un turbine, all’insegna di un unico e potente padrone: l’heavy metal.
Poco da ridire anche sulla potenza esecutiva di una band che definire rodata è pressoché scontato: le uniche sorprese in negativo dello show, deriveranno, infatti, dall’improvviso quanto inopportuno black out dell’amplificazione del palco patito dai Saxon nel bel mezzo dell’esibizione.
Nulla che possa sconvolgere esperti e navigati artisti come Byford, Quinn e soci: un paio di battute e qualche sorriso in attesa di ritrovare una situazione ottimale, e via ancora sulle ali di una setlist intensa e fiammeggiante, infarcita da una serie di classici capaci di mandare in visibilio l’intera platea.

Tiratissima, la prima parte del concerto giunge a compimento proprio con l’anthemica “Wheels of Steel”. La tradizionale uscita di scena con il ritorno sul palco dopo i boati del pubblico, è sancita da una serie di bis che, a dimostrazione di come quello dei Saxon non sia uno show parco nei numeri, si presentano corposi e nutriti come già la scaletta principale.
La celebre “Crusader”, seguita da “747 Strangers In The Night”, un ottimo guitar solo di Doug Scarratt, “Power & The Glory”, “Strong Arm Of The Law” e dall’inno “Princess Of The Night”, eseguito con al collo una maglia della nazionale italiana griffata “Biff” (simpatico omaggio del pubblico), concludono un evento dal sapore antico, convincente praticamente sotto tutti gli aspetti ed indicativo al fine di prendere coscienza con soddisfazione di quanto i Saxon stiano invecchiando decisamente bene.

Uscendo dalla sala, i commenti più gettonati, udibili dal pubblico che ordinatamente prendeva la via di casa la dicevano lunga su quello che era il pensiero un po’ di tutti: “ancora bravissimi ed in grande forma dopo tanti anni, nonostante il tempo che scorre ed una carriera lunga e piena di soddisfazioni…”

Fabio Vellata


Setlist:

01.    Hammer Of The Gods
02.    Heavy Metal Thunder
03.    Never Surrender
04.    Chasing The Bullet
05.    Motorcycle Man
06.    Back In ‘79
07.    Mists Of Avalon
08.    Dallas 1 PM
09.    Call To Arms
10.    Demon Sweeney Todd
11.    Rock n’Roll Gypsy
12.    Rock The Nations
13.    Battle Cry
14.    And The Bands Played On
15.    When Doomsday Comes
16.    Denim & Leather
17.    Ride Like The Wind
18.    20000 Ft.
19.    Wheels Of Steel

Bis:

20.    Crusader
21.    747 Strangers In The Night
22.    Guitar Solo
23.    Power & The Glory
24.    Strong Arm Of The Law
25.    Princess Of The Night