Death

Live Report Soilwork & Amorphis, 9 febbraio 2019, Sala Salamandra , Barcellona – Spagna

Di Matteo Orru - 24 Febbraio 2019 - 21:55
Live Report Soilwork & Amorphis,  9 febbraio 2019, Sala Salamandra , Barcellona – Spagna

Difficilmente perdo qualche data degli Amorphis da un po’ di anni a questa parte essendo, nel genere, tra le mie band preferite nonostante gli ultimi due lavori, specialmente l’ultimo, decisamente fiacchi e standardizzati su quello che può essere definito lo svolgimento del classico compitino, secondo il mio modestissimo parere.

Nonostante tutto dal vivo sono una di quelle band che difficilmente deludono pertanto un bel tour in combo con i Soilwork è qualcosa di imperdibile.

Considerata la mia ostilità, continuo boicottare i concerti sul suolo italiano per diversi e validi motivi che non sto a elencare e decido di festeggiare il mio decimo show degli Amorphis e il quinto dei Soilwork in terra spagnola, per esattezza alla Sala Salamandra a l’Hospitalet, in periferia di Barcellona.

Premessa: quando si dice nei luoghi comuni “ci lamentiamo dell’Italia ma quando organizzano qualcosa la evitiamo”, io dico “SI”! Ovvio che la evito, e finchè non cambierà la mentalità italiana basata sul fregare il metallaro o chi va a vedere spettacoli dal vivo a prescindere dal genere suonato con una supponenza del tipo “tanto i soldi li ha allora lo spenniamo per bene”, continuerò a fare così, senza contare che ogni venue in terra italica è ai limiti dell’ inadeguato e una singola birra è più economico acquistarla in farmacia. Tralascio qualsiasi pensiero circa l’ormai moda del secondary ticketing perché sennò mi sale l’istinto primitivo e non credo sia né luogo ne momento consono.

Detto questo, come ogni anno, la visita a Barcellona mi è sempre gradita, pertanto unendo l’utile al dilettevole mi dirigo senza troppi se e ma alla location prefissata.

Giusto il tempo di un drink fuori dal locale che mi imbatto in quell’energumeno di Speed Strid con il quale scambio simpaticamente due chiacchiere complimentandomi circa il loro nuovo full lenght che ha superato qualsiasi aspettativa in merito. Nel frattempo i Jinjer, band scelta come supporto al tour, hanno portato a termine il loro show.

Per chi non è mai stato alla Sala Salamandra, il locale si presenta non eccessivamente grande ma molto simile al Live di Trezzo, unica sala concerti italiana definibile decente oggigiorno (al netto di tutte quelle ex sale discoteca adeguate a sale concerti); ingresso, con bancone bar sulla destra e palco centrale anche se in metratura risulta leggermente più piccola rispetto alla sala di Trezzo.

L’acustica è sufficiente ma non impeccabile cosa già intuibile dalle band in apertura.

Fatta la provvista di birra a prezzi decisamente inferiori che nei famigerati locali italiani prendiamo posto a ridosso del palco senza dover affannare nonostante la serata sia sold out da parecchie settimane.

SOILWORK

Forti dell’ultimo nuovissimo e splendido disco Verkligheten, pare che i ragazzi di Helsingborg stiano vivendo letteralmente una seconda giovinezza iniziata con l’ottimo The Living Infinite nel 2013 e inanellando un ottimo lavoro dietro l’altro.

Nonostante i continui cambi di formazione pare che tutto ciò non abbia inficiato sia la resa sul palco che in studio anche se la curiosità è tanta nel vedere all’azione dietro le pelli quel giovane fenomeno di Bastian Thusgaard, già allievo di quella macchina da guerra, ora fedele soldato di Mustaine (speriamo per tanto tempo) di Dirk Verbeuren.

Luci spente e via con la doppietta devastante Verkligheten – Arrival che apre le danze e, suoni a parte che devono essere ancora perfezionati a dovere, notiamo subito una band in palla come non mai.

La sorpresa immediata è non vedere alla chitarra David Andersson, sostituito per il tour dal chitarrista dei conterranei Heavy Metal Maniacs WOLF, Simon Johannson e, il nuovo arrivato alle quattro corde, Rasmus Ehrnborn; svolgono entrambi un lavoro preciso e di alta classe, soprattutto il nuovo bassista che si è già cimentato nelle seconde voci dando un notevole contributo a Bjorn durante tutta la durata dello show.

La scaletta non ha fatto prigionieri ed ha pescato a destra e a sinistra tra i loro vari successi più o meno recenti con maggiore enfasi sul penultimo The Ride Majestic e la loro pietra miliare Stabbing the Drama dando il dovuto spazio al nuovo e fortunato disco, a parere di chi scrive uno dei migliori dischi in assoluto della band, facendo soddisfatti tutti i presenti in sala.

La prestazione dei singoli è ineccepibile e Bjorn fa il diavolo a quattro come un vero frontman deve fare incitando costantemente il circle pit (anche se mi chiedevo dove ci fosse lo spazio), e caricando il pubblico come un demone.

Canzoni come Bastard Chain, Nerve, The Crestfallen sono accolte all’unisono da boati così come tutti i nuovi pezzi proposti facendoci capire che oltre la qualità sopraffina del disco, pure il pubblico ha fatto i compiti a casa. Un’ora e mezzo di puro massacro nella quale non si può rimproverare nulla a una prestazione priva di sbavature dove l’unica pecca di tanto in tanto erano i suoni del rullante non altissimi; particolare del tutto trascurabile considerato l’impatto che ha avuto il combo svedese sul pubblico e su tutto lo show in generale.

Il cambio palco avviene in maniera rapida e indolore, il tempo giusto per rifornire le mani di taniche di birra e posizionarci sulla destra poco distante dal palco per assaporare bene la prestazione dei miei beniamini.

Come dicevo prima questa segna la decima volta che vedo la band live, l’ultima in ordine cronologico è stata quest’estate all’Hellfest dove, al netto delle canzoni dell’ultimo disco che, escluse tre, risultano fiacche e prolisse soprattutto in sede live, la band ha come sempre saputo coinvolgere e addomesticare le folle come veri e propri menestrelli alla corte del Re.

Tornando sull’ultima fatica degli Amorphis oggi è ciò che purtroppo la band ha dimostrato sul palco, freddezza esecutiva, poco coinvolgimento e classica prestazione da mestiere. Una delusione e premio come peggior concerto loro mai visto.

Ma andiamo per gradi.

Luci spente e vai di intro con l’urlo in growl di Tomi che dà il personale benvenuto con la nuova ma già classica The Bee e da subito la sensazione è quella che ci sia qualcosa che non torna, come stare al cospetto di una band stanca, appagata, che è salita sullo stage solo perché deve salire.

La prestazione per tutta l’ora e un quarto sarà di buon livello anche se Tomi non ha eccelso come sempre a livello vocale così come la quasi nulla interazione col pubblico a differenza di un Bjorn che non ha fatto altro che comunicare con i presenti per tutto lo spettacolo. D’altro canto i suoni hanno raggiunto un livello di perfezione non sentito in tutta la serata.

Come era facilmente intuibile il nuovo repertorio, soprattutto dall’ultimo, soggettivamente, scialbo “Queen of Time”, ha avuto il sopravvento con ben sei estratti su quattordici totali e brani come Heart of the Giant, Message in the Amber e Daughter of Hate, di una piattezza disarmante sul disco così come dal vivo non sono riusciti a decollare, anzi, han creato momenti di stanca non indifferente durante lo show, smorzando l’entusiasmo che si veniva a creare nei brani precedenti di sicuro più impatto e coinvolgimento.

Purtroppo dischi come Elegy, Tuonela, Beginning of Time, Silent Waters, senza contare quelli più remoti della discografia, vengono totalmente snobbati recuperando in extremis solamente una classica Black Winter Day lasciando più di qualcuno con un sorriso amaro a fine concerto.

Con House of Sleep, cantata da tutta la sala  Salamandra, cala il sipario anche se quasi la totalità dei presenti si aspettava qualcosina in più dalla band che questa volta non ha dato.

Inutile dire quanto siano bravi e potenti gli Amorphis ma se oggi c’è stato un vincitore sono stati proprio i Soilwork che han tirato fuori una prestazione coinvolgente e perfetta sia scenicamente che musicalmente confermando l’ottimo stato di salute nella quale la band verte negli ultimi anni.

I cari Amorphis hanno fatto il loro, sono saliti sul palco, hanno timbrato il cartellino e sono scesi, nulla più nulla meno risultando la brutta copia di quella band che ho visto tantissime volte. Sarà che il tour è stato lungo e stancante, sarà che  le aspettative come sempre per loro erano ovviamente alte, sarà che una serata storta può capitare a chiunque, sta di fatto che i Nostri probabilmente hanno bisogno di un periodo di pausa per ricaricare le batterie in sede live e soprattutto trovare una maggiore ispirazione per regalarci un nuovo gran disco in quanto ci vuole davvero poco far meglio del predecessore.